“Non numeri ma persone”: con le parole del Papa di domenica scorsa don Ignazio La China, direttore dell’ufficio ecumenico della diocesi di Noto, ha introdotto l’incontro di presentazione del dossier 2011 sull’immigrazione curato dal Caritas Italiana e da Migrantes. L’incontro organizzato, oltre che dall’Ufficio per l’ecumenismo, dalla Caritas diocesana e da Migrantes si è tenuto nella chiesa di San Giuseppe di Scicli il 18 gennaio, primo giorno dell’ottavario di preghiera per l’unità dei cristiani. Il relatore, Vincenzo La Monica, ha subito evidenziato come siamo in presenza di una situazione nuova rispetto al passato, passando nei comuni della diocesi in dieci anni dall’1% di presenze rispetto alla popolazione al 6,9%, in linea con il trend nazionale del 7,5% e con una percentuale maggiore rispetto al resto della Sicilia. Con presenze soprattutto di magrebini, ma anche di rumeni e altri gruppi dell’Europa Orientale, soprattutto donne, e di cinesi, presenti nelle città più commerciali come Modica mentre forte a Scicli è la presenza degli albanesi. La crescita anche delle nascite è segno di una tendenza a stabilirsi nelle nostre terre. Consistenti i movimenti economici, compresi 7 miliardi e mezzo di euro per la previdenza con cui gli immigrati pagano anche per le nostre pensioni. Non si può più non rilevare la consistenza del fenomeno, si tratta di percorrere veramente la strada dell’integrazione. Con la consapevolezza che questo ci aiuterà a superare una crisi che non è solo finanziaria ma anche culturale. Avremo da imparare. Molti immigrati ci chiedono una fede più autentica, la loro drammatica ricerca di una vita migliore ci impegna a ripensare il nostro benessere che – anche in tempo di crisi – resta sempre motivo di squilibrio con il resto del mondo. Dovremo soprattutto accogliere come primo passo dell’integrazione e garantire quella vita dignitosa che permette lo scambio di valori e di ricchezze culturali. Con quest’incontro la diocesi intende offrire ulteriori motivi di consapevolezza, ma non vanno dimenticati segni come il Centro Babel che ospita rifugiati e diventa per le parrocchie, le scuole, le famiglie un appello a comprendere quanto sofferenza c’è da parte di chi è costretto ad abbandonare il proprio paese, a fuggire dalle guerre, ad allontanarsi dai loro cari.
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