«Le città possono diventare senz’anima, pregare per la città è anzitutto farne pulsare il cuore»: così ha introdotto la prima esperienza di liturgia e adorazione eucaristica per la città avviata a Modica nel cantiere Crisci ranni don Manlio Savarino, l’assistente della Caritas diocesana che l’ha presieduta. Insieme a lui l’altro assistente della Caritas, il diacono don Paolo Catinello. Nell’omelia sul vangelo del giorno (la guarigione dell’idropico nel giorno di sabato) don Manlio ha rilevato come Gesù si distacchi dall’ambiente farisaico, per vedere quell’uomo che era rimasto ai margini. Un vedere che oggi siamo chiamati a prolungare accorgendoci di quelli di cui nessuno si accorge. Non solo, Gesù guarisce di sabato per ridare al giorno festivo – oggi per noi la domenica – il vero senso: di giorno consacrato a Dio e per questo all’uomo, giorno in cui ritrovare non un amore di parvenza ma un amore vero che si apre agli altri e supera ogni individualismo. Oltre ogni interesse, calcolo, possesso. Guarendo senza gesti eclatanti ma, come Gesù, prendendo per mano, accompagnando.
Don Paolo rilevava come la città cambia a partire da ciascuno di noi. E il cambiamento era suggerito da un testo di Giorgio La Pira letto subito dopo l’esposizione del santissimo Sacramento, in cui il sindaco “santo” parlava della sua preghiera della sera che – man mano che prendeva contatto con i poveri – diventava da elegante introspezione una tensione forte abitata da tanti bisogni, scoperti anche nella sua dimensione strutturale (non solo il singolo disoccupato che chiede aiuto, ma la disoccupazione) e mondiale. Cogliendo nel giudizio finale su ciò che avremo fatto ad ognuno dei poveri che incontriamo il “metro” di Dio che deve diventare “metro” di ogni scelta. Un “metro”, la misura dell’amore forte e fedele, che si intravedeva mentre le varie preghiere di intercessione portavano la città nel cuore di Dio. Venivano affidate le cure educative delle famiglie, i volti concreti di quanti bussano al Centro di ascolto, il respiro del mondo e l’ennesimo sbarco di immigrati carico di dolori e ancora una volta con notizie di morti, il desiderio di bellezza che rende abitabile la città, i preti per una santa inquietudine che li renda sempre servi del popolo di Dio e dei poveri anzitutto, i giovani e in particolare quelli che sanno seminare il bene. E mentre venivano tutti portati nel cuore di Dio, quasi ripetendo il gesto degli amici del paralitico che sfondarono il tettuccio per portarlo davanti a Gesù, si percepiva anche come Dio entra nella città: in punta di piedi, con segni e gesti che suggeriscono una coralità di bene, nella costanza e tenacia nel far crescere uomini e cittadini, attraverso testimoni umili e semplici del Vangelo.
La “preghiera per la città” si rinnoverà ogni ultimo venerdì e sarà certo piccola cosa, ma con un senso grande: tenere aperta quella porta che permette a Dio di entrare nella città e alla città di entrare nel cuore di Dio! E tra i segni, la tovaglia dell’altare con i ricami dell’Aquila donati come segno della fraternità maturata dopo il terremoto, l’icona del Crocifisso scritto dalle Clarisse di Paganica, l’ostensorio della comunità Papa Giovanni, univano a quanti ogni giorno nelle città del mondo non si rassegnano, ma vivono con amore che intensifica nella preghiera l’impegno di ogni giorno e porta tutti e riporta tutto all’unico e vero Signore della storia.