I temi delle precedenti domeniche convergono in felice sintesi nell’odierna celebrazione: Gesù, sorgente dell’acqua viva (III dom.) e della luce (IV dom.), è colui che conferisce la vita a chi crede in lui. Le tre letture sottolineano la medesima realtà: solo la forza dello Spirito fa rifiorire la speranza, scioglie i legami della morte e restituisce la vita in pienezza. L’uomo è radicalmente impotente di fronte alla forza della morte. Sintomatico è il lamento degli esiliati a Babilonia: « Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è finita» (Ez 37,11). Ma Dio rassicura il suo popolo: questi « conoscerà » il Signore, farà cioè esperienza diretta della sua potenza vivificante (cf 1″ lettura).
Riflessione del Vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò
Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Io sono la risurrezione e la vita (Gv 11,1-45)
“Lazzaro vieni fuori”: con queste parole Gesù “risuscitò” Lazzaro morto da quattro giorni, cioè definitivamente morto. La sua parola è potente, è capace di ridonare la vita, poiché è la “Vita in persona”, Colui che ha il potere di donare la vita e di riprenderla di nuovo. E’ chiaro, quella di Lazzaro non è come la risurrezione di Gesù stesso dopo la sua morte in croce. E’ più un risuscitamento che una risurrezione: Lazzaro viene riportato alla vita terrena che lo porterà ancora a morire. Diversamente Gesù entra nella Vita eterna che non muore mai più. Eppure questo miracolo – come ogni altro miracolo compiuto da Gesù – è come un simbolo straordinario che annuncia qualcosa di veramente nuovo, una speranza certa: la morte non è l’ultima definitiva parola sull’uomo; l’uomo è per l’immortalità in Dio, è per la risurrezione dai morti, perché Dio è il Dio dei vivi e non dei morti. Certo, occorre credere, aver fede, sperare contro ogni speranza, possedere occhi nuovi sulla vita e sulla morte.
La morte fa paura a tutti, specialmente quanto è prematura e tocca magari l’innocente: perché si muore così, si domandano in tanti, mentre la maggior parte evade dall’interrogarsi stordendosi con i “rumori e gli abbagli” dell’esistenza o anestetizzandosi con certi sofismi del tipo: “non devo aver paura della morte perché quando viene, io non ci sarò più e fino a quando io ci sono, la morte non verrà”. Raccontatelo però a certi genitori, a certe mamme che piangono – come Rachele, la quale non vuole essere consolata perché i suoi figli non ci sono più – i figli tragicamente scomparsi, vite spezzate incomprensibilmente, proprio nel bel mezzo della gioia di vederli crescere, sani, belli. Troppe volte la morte mostra la sua inimicizia verso gli uomini con la sua falce oscura e tenebrosa, ci raggiunge alla sprovvista e colpisce insanabilmente gli affetti degli uomini. La domanda sulla morte resta sempre comunque insoluta.
Tragicamente si viene avvolti da una realtà nuova che sembra non appartenerci, ci piomba addosso, ci travolge e cambia tutto in un istante, ci coglie alle spalle ferendoci irrimediabilmente. Il racconto del Vangelo sulla morte di Lazzaro ci presenta una scena totalmente angosciante.
La narrazione sviluppa elementi a prima vista un po’ strani. Considerando il preambolo dell’autore del quarto Vangelo, Gesù, essendo amico di Marta e Maria, avrebbe dovuto precipitarsi subito per guarire il fratello Lazzaro. Si resta però molto sorpresi nel vedere come Gesù, il taumaturgo, non si scomponga per niente dinanzi alla notizia della grave malattia di Lazzaro e addirittura si fermi altri due giorni nel luogo dove si trovava. Cristo, che è per noi il Salvatore, non ascolta? Non si interessa? Non viene in nostro soccorso? Sono interrogativi che sintetizzano bene lo sconforto che assale quanti percepiscono la “sordità di Dio” di fronte al loro grido di aiuto, rivolto a un Padre di misericordia e di perdono in quelle estreme conseguenze in cui ci si ritrova di fronte alla malattia grave. Misteriosa è la risposta di Gesù: questa malattia è per la gloria di Dio, perché il Figlio di Dio venga glorificato! Gesù ricorda ai suoi discepoli che mentre è giorno non può esserci il buio: la stessa Luce che aveva illuminato gli occhi del cieconato, ora non solo riporterà in vita il povero Lazzaro, ma permetterà a chi crede in Lui di non inciampare, di essere illuminato nel proprio cammino.
Nella comunicazione che Gesù fa ai suoi discepoli sembra esserci un equivoco: Gesù parla di sonno; i discepoli pensano al sonno come riposo; bisognerà attendere che il Maestro dipani l’enigma del sonno rincarando la dose; Lazzaro è morto e Gesù è contento di non essergli stato presente? Un discorso simile lascia sgomenti. Dietro però c’è la visione pedagogica del credente: la permissione della morte di Lazzaro diviene occasione per professare la propria fede nella risurrezione dai morti, questa fede redime il discepolo e lo rende vittorioso sulla paura della morte. “Dov’è o morte il tuo pungiglione, dov’è o morte la tua vittoria”. Niente e nessuno potrà separare il discepolo dall’amore vittorioso di Dio sulla morte: l’episodio di Lazzaro anticipa la verità che la fede delle sorelle attestano. Dio non ci lascia mai soli nella morte e per farlo distrugge la morte nelle su radici più profonde, convertendone la direzione ultima: la morte ci vuole abbattere e disperare, pretende che noi chiudiamo gli occhi alla speranza, impone di seppellirci con i nostri cari defunti nella stessa bara, senza più energie e vitalità, senza più gusto per l’esistenza e per gli altri. No, proprio questo non deve accadere all’occorrenza del morire dei nostri fratelli.
Per Lazzaro non sembrano esserci più speranze, perché è da quattro giorni nel sepolcro. Per Maria la rassegnazione sta prendendo il sopravvento, lo sconforto e la delusione, perché se ne sta seduta. Per Marta invece la partita non sembra ancora finita: sa che l’arrivo di Gesù potrebbe far cambiare le cose. Nonostante la realtà dica altro, anche per Maria l’assenza di Gesù non è del tutto definitiva: l’esperienza fa stare coi piedi per terra … “se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto”, la fede fa elevare il pensare al credere che, “qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà”. Gesù adesso è rassicurante non solo per il futuro, non solo perché c’è, ma soprattutto perché è Lui risurrezione, cioè la rinascita, è in Lui che chi muore vive, è in Lui che la trascendenza dell’Eterno Dio vive vittoriosa nell’immanenza storica delle nostre miserie, anche e soprattutto quelle della morte.
Ora, è certo: davanti al dolore dell’uomo Dio non se ne sta a guardare. Forse noi vorremmo che lo impedisse, che facesse virare il male altrove, che lo ostacolasse, ma piuttosto egli si fa prossimo, si avvicina, si unisce attraverso la commozione, con una immedesimazione profonda, capace di raggiungere la nostra identità: Lui diventa uno di noi e si mette al posto nostro, all’occorrenza, una volta per tutte e per tutti, colpevoli e innocenti.
Gesù si commuove, si turba, scoppia in pianto, mostra la sua vera umanità: questa umanità è tale nonostante Egli sia Dio, ma proprio perché Egli è il Figlio di Dio nella carne. In virtù del fatto che Egli è Dio può umanamente soffrire di più e più intensamente: è la sofferenza umana del Figlio di Dio. Egli ama con un cuore indiviso: ama l’uomo e l’umano e a suo favore interviene con il “dito di Dio”. Perciò, da un lato, è capace di soffrire con l’uomo, dall’altro manifesta la gloria di Dio. D’altronde questa malattia non era per la morte ma perché il Figlio di Dio venga glorificato. Dio non permette il nostro annullamento perché lo ha già assunto su di sé e, pertanto, se crediamo vedremo la gloria di Dio!
Quand’anche la nostra vita sembra essere oppressa da ogni parte non sarà mai schiacciata, se crediamo. La fede riempia di ottimismo la nostra vita. Noi non siamo soli. Il Signore, risurrezione e vita in eterno, è con noi, l’Emmanuele. Il ritorno alla vita è il frutto di una umanità semplice che trova la sua testimonianza in tutte quelle mamme e quei papà che non disperano di vedere i propri figli guarire, in tutti quelli che sperano di ritrovare il lavoro perduto, in tutti quelli che si riconciliano coi propri cari, in tutti quelli che ritornano ad essere uomini liberi dalle schiavitù di un mondo che ci vuole ancora imprigionati da un pessimismo esasperato.
Si, importa ora dare alla fede nel “Signore della vita” uno spessore umano e pratico che non può essere rinchiuso semplicemente nel “religioso”, nel rituale: è nelle opere di carità fraterna, nelle opere di misericordia corporale che mostriamo una vita rinnovata e risorta, testimoniamo che veramente il Signore è capace di convertirci, di cambiare il nostro cuore, di liberarci dalle nostre morti e di risuscitarci a vita nuova.
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