Ciò che si manifesta il “nuovo potere d’amore” che Dio ha donato agli uomini
Natale è passato, ma resta la responsabilità per l’Evento, l’impegno dell’amore tra gli uomini, perché ci sia pace nel mondo e maggiore giustizia e solidarietà tra tutti noi. L’Epifania porterà via tutte le feste e però essa stessa è una festa che dura e permane nella gioia di venire a sapere quanto manifesta (epifania significa manifestazione): “il nuovo potere d’amore” che la grazia di Dio permette agli uomini. E’ il potere generato dallo sguardo del Padre verso di noi suoi figli.
Ogni sguardo di padre verso il proprio figlio è sguardo di fiduciosa attesa e di timorosa speranza che il figlio germogli e cresca bene: la fede cristiana nel mondo è allora comprensibile come l’avventura della libertà dei credenti a crescere e germogliare secondo lo sguardo del Padre di Gesù. Che questa avventura non sia risolvibile nelle noccioline natalizie di qualche preghierina blaterata con la bocca o di qualche magistica partecipazione a cerimonie religiose lo capisce chiunque (non occorre una profonda fede per comprenderlo, basta un poco di testa). L’avventura invece pretende che la propria libertà si giochi, cioè si esponga, in nome di Dio verso l’altro – chiunque altro – in gesti concreti e visibili di carità (=agape) anche a costo del proprio annientamento, della perdita o rinuncia di sé, perché forte è l’affetto che mi lega a ogni persona: a costo della vita, vorrò amare.
Ogni sguardo di padre verso il proprio figlio è sguardo di fiduciosa attesa e di timorosa speranza che il figlio germogli e cresca bene: la fede cristiana nel mondo è allora comprensibile come l’avventura della libertà dei credenti a crescere e germogliare secondo lo sguardo del Padre di Gesù. Che questa avventura non sia risolvibile nelle noccioline natalizie di qualche preghierina blaterata con la bocca o di qualche magistica partecipazione a cerimonie religiose lo capisce chiunque (non occorre una profonda fede per comprenderlo, basta un poco di testa). L’avventura invece pretende che la propria libertà si giochi, cioè si esponga, in nome di Dio verso l’altro – chiunque altro – in gesti concreti e visibili di carità (=agape) anche a costo del proprio annientamento, della perdita o rinuncia di sé, perché forte è l’affetto che mi lega a ogni persona: a costo della vita, vorrò amare.
«Belle parole. Siamo in fondo uomini, fragili, caduchi. Chi potrà essere all’altezza di questo sguardo del Padre. Rinunceremmo volentieri a una sguardo così esigente, costituiti come siamo in debolezza», direbbe il sapientone di questo mondo nella sua stoltezza.
E’ una seria obiezione che può far riferimento all’impotenza umana registrata nella storia, anche lungo il corso dei due millenni passati dalla nascita di Gesù (barbarie umane, guerre etc.). La memoria di quell’Evento benedetto del “Figlio di Dio nato da donna” permane e ora manifesta e attesta un’altra verità: noi non siamo soli in questa impresa di diffusione dell’amore. Questo è anche epifania. Già, perché se il Figlio di Dio può nascere in un uomo, vorrà pur dire che l’uomo – per quanto fragile e povero – può tuttavia contenere la sua immensità divina. L’esagerare l’incapacità dell’uomo (la sua debolezza esistenziale) è un modo a un tempo sottile e superficiale di sfuggire al dono dell’Incarnazione: questo dono dichiara che l’uomo può –nella grazia dell’unione di sé con Dio – vivere nell’obbedienza dei comandamenti del Padre, maturando e crescendo come il Padre si aspetta dai suoi figli.
E’ una seria obiezione che può far riferimento all’impotenza umana registrata nella storia, anche lungo il corso dei due millenni passati dalla nascita di Gesù (barbarie umane, guerre etc.). La memoria di quell’Evento benedetto del “Figlio di Dio nato da donna” permane e ora manifesta e attesta un’altra verità: noi non siamo soli in questa impresa di diffusione dell’amore. Questo è anche epifania. Già, perché se il Figlio di Dio può nascere in un uomo, vorrà pur dire che l’uomo – per quanto fragile e povero – può tuttavia contenere la sua immensità divina. L’esagerare l’incapacità dell’uomo (la sua debolezza esistenziale) è un modo a un tempo sottile e superficiale di sfuggire al dono dell’Incarnazione: questo dono dichiara che l’uomo può –nella grazia dell’unione di sé con Dio – vivere nell’obbedienza dei comandamenti del Padre, maturando e crescendo come il Padre si aspetta dai suoi figli.
L’impresa sarebbe umanamente impossibile se non ci fosse l’unione di Dio con l’uomo. Questa unione però c’è stata in Gesù e continua ad esserci nel battezzato, riempito di Spirito Santo (anche Lui “Dio in persona” presente veramente nel cuore del credente). Lo hanno sottolineato i Padri della Chiesa: l’uomo è capax Dei, è capace di Dio. Questo annuncia l’Epifania dell’Incarnazione: l’uomo è vero uomo perché è unito a Dio, perché permette a Dio di abitarlo, perché fa spazio alla presenza di Dio nella sua vita e riempie il suo tempo di eternità. L’uomo vero accade quando l’Eterno incrocia la nostra fragile temporalità, compiendola, rilanciandola verso orizzonti di pace, di giustizia, di servizio, di amore.
Dunque, alla banalità di chi afferma “sono un uomo, non ce la posso fare”, l’Epifania contrappone la luminosa sapienza “ce la puoi fare se sei un uomo”. Già, perché essere uomini significa – dall’Incarnazione in poi – essere stati resi capaci di una avventura nuova di vita, misurata dallo sguardo esigente – e premuroso (ricco di misericordia) del Padre: quella di vivere nel tempo l’Eternità, vivendo la vita come vita, per esempio, nella fedeltà all’amore dichiarato “una volta per tutte” nel matrimonio o nella consacrazione a Dio.
Dunque, alla banalità di chi afferma “sono un uomo, non ce la posso fare”, l’Epifania contrappone la luminosa sapienza “ce la puoi fare se sei un uomo”. Già, perché essere uomini significa – dall’Incarnazione in poi – essere stati resi capaci di una avventura nuova di vita, misurata dallo sguardo esigente – e premuroso (ricco di misericordia) del Padre: quella di vivere nel tempo l’Eternità, vivendo la vita come vita, per esempio, nella fedeltà all’amore dichiarato “una volta per tutte” nel matrimonio o nella consacrazione a Dio.
“Una volta per tutte” è il linguaggio dell’amore che non è amore se non è definitivo. L’Incarnazione consacra questa definitività una volta per tutte. Il cristianesimo allora non sarà lo sfogo psicologico e sentimentale del “buon Natale”, non è “questione di cibo o di bevande” per l’incremento della nostra società dei consumi (ah!! il consumismo natalizio, fuso senza coscienza con qualche piccola offerta fatta ai negretti dell’Africa che muoiono di fame). No, il cristianesimo è la traccia storica della possibilità del linguaggio dell’amore – una volta per tutte -, amore che è più forte della morte. “Quella grotta è uno specchio/ Dio nasce ancora/ adesso/ solo in te”.
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