Don Cerruto che si trova a Butembo dal 9 ottobre scorso ci racconta personalmente i fatti della barbara uccisione di Padre Bakulene.
Nel grande cortile della procure di Butembo si è radunata tanta gente ad aspettare l’arrivo della salma di padre Christian Bakulene. Si recita il rosario, si canta. Nella piccola cappella si trovano dal pomeriggio tante suore a pregare dinanzi al Santissimo Sacramento. La grossa jeep che funge da carro funebre, partita da Kanjabajonga intorno alle 15 arriva a Butembo alle 19,30. Il pianto di dolore che fino ad allora era stato trattenuto in petto sgorga ora fra grida e gemiti. Gli uomini che devono trasportare la bara nella cappellina stentano a trovare un varco in mezzo alla folla. Finalmente, deposta la bara dinanzi all’altare, il vicario generale riesce a formulare una preghiera che riusciamo ad ascoltare solo quei pochi che abbiamo trovato posto in cappella. Sul coperchio della bara, all’altezza del viso, un piccolo vetro mi permette di gettare un ultimo sguardo su padre Christian. Dalla bocca gli esce ancora un fiotto di sangue, ma il volto è disteso. Sembra sorridere. Come età, mostra meno dei suoi 42 anni.
Esco dalla cappellina, per lasciare spazio a tutti i fedeli che vogliono avvicinarsi alla salma. Ho saputo che nel momento della sua uccisione, padre Christian era accompagnato da un suo parrocchiano. Un testimone oculare del delitto, dunque. Chiedo di parlare con lui. L’abbe Aurelian, presidente dell’Ufficio Diocesano di Giustizia e Pace, lo fa cercare. Troviamo posto per il colloquio in una stanzetta della procure. Non sono ancora in grado di parlare in Francese per un colloquio così impegnativo. L’abbè Telesforo, che ha studiato in Italia, mi fa da interprete. Entra nella stanza pure il sindaco di Kanjabajonga, responsabile delle indagini sul delitto. Il testimone è ancora visibilmente scosso. Comincia il suo racconto, tenendo la testa abbassata, lo sguardo fisso nel vuoto. Ieri, lunedì 8 novembre, lui e padre Christian erano partiti presto da Kanjabajonga per Kasondo, uno dei centri di distribuzione delle 9000 bibbie in lingua swahili che la diocesi di Noto ha donato alla diocesi gemella di Butembo Beni. Infatti, a causa delle lungaggini di stampa e di trasporto, l’operazione “Una bibbia per Butembo” iniziata già nel 2008, si sta portando a conclusione solo in questi giorni, appunto con la distribuzione delle copie della bibbia. Padre Christian era felice di poter avere finalmente le bibbie per le numerose comunità di base della sua parrocchia, che egli riusciva a visitare solo di rado. Almeno i catechisti – egli pensava – possono disporre ora di una bibbia per istruire i fedeli.
Nel pomeriggio, la jeep, caricata degli scatoli di bibbie, è già pronta per il ritorno. Padre Christian pensa però di fermarsi ancora un po’ a Kasondo. Sente il bisogno di confessarsi con il vicario parrocchiale, come ha già fatto altre volte. Manda l’auto avanti. Egli con il suo parrocchiano faranno ritorno più tardi, con una motocicletta. Gli occhi del testimone si riempiono ora di lacrime. Dopo che padre Christian finisce di confessarsi, viene loro offerto da bere. Fa caldo, una bella birra è anche desiderabile, ma padre Christian preferisce solo un bicchiere d’acqua. Il buio li coglie poco prima di arrivare a Kanjabajonga. Da quelle parti, la guerra è finita ormai da un pezzo, ma i militari – non si capisce bene il perché – non vanno via. Il problema è che, non disponendo di uno stipendio, vivono a discapito della popolazione, perpetrando furti, saccheggi e rapine. Non è tanto sicuro, quindi, andare in giro, e men che meno di notte. Sono già le 18,30 e il sole è tramontato ormai da una mezzora, ma padre Christian e il suo accompagnatore sono già a 4 km circa dal loro villaggio.
Troppo tardi, comunque. Sulla strada un militare, armato di fucile mitragliatore, sbarra loro il passo. Chiede del denaro. Padre Christian risponde di non averne: ed in effetti ha lasciato quel poco che si ritrovava a Kasondo, come contributo alle spese di trasporto per far arrivare le bibbie fin lì. Il suo parrocchiano tira fuori dalle tasche 5000 franchi congolesi, equivalenti in valuta a circa mezzo dollaro americano. Il soldato comincia ad irritarsi. Chiede a padre Christian di togliersi la giacca e di dargliela. Fruga nervosamente nelle tasche, ma non trova il denaro sperato. Dallo sguardo lascia trasparire che è sotto l’effetto della droga. Punta il fucile su padre Christian, che si trova ancora a cavallo della moto, e gli spara sul costato destro. Padre Christian stramazza a terra, il suo compagno rimane pietrificato dal terrore, mentre il soldato riprende a frugare nelle tasche della giacca. Trova il documento d’identità e si accorge di avere colpito un prete. Capisce di averla fatta grossa. Ora dimostra paura anche lui. Fissa gli occhi sull’altra vittima ma non sa bene che fare. Alla fine si fa consegnare il cellulare e fugge in direzione della vicina collina, sul versante opposto della quale si trova da qualche mese un campo di soldati.
A questo punto del racconto, interviene il sindaco di Kanjabajonga, meno di quarantanni, piglio giovanile, tre cellulari in mano, polsini e colletto della camicia sdruciti. Altre persone – egli sostiene – hanno subito l’aggressione da parte dello stesso soldato sulla stessa strada, pochi minuti prima dell’assassinio. Hanno esporto denuncia. Il fatto è diventato ora di una gravità inaudita. Gli hanno telefonato dal ministero degli interni di Kinshasa e dal governatorato di Goma, incaricandolo di iniziare subito le indagini del delitto e di trovare il colpevole. Ha già inviato la sua polizia municipale nel campo di soldati; il comandante che non dimostrato sufficiente collaborazione è ora suscettibile di arresto …!
Il sindaco continua a parlare ed io abbasso il capo con tristezza ad ascoltare quella che mi sembra diventata ora una tragicommedia: i politici mostrano indignazione e condannano il fatto non tanto per fare giustizia, ma per cercare di nascondere le loro responsabilità sul problema dei soldati che non sono rientrati dalla guerra e che non ricevono regolare stipendio. Ma mi faccio di nuovo forza e rialzo il capo: bisogna andare avanti su questa linea. Occorre prendere sul serio la denuncia da Kinshasa, quella da Goma e le indagini del sindaco di Kanjabajonga, per cercare in qualche modo di ottenere giustizia. La diocesi di Butembo Beni, tramite l’Ufficio Giustizia e Pace, si costituirà in tribunale come parte civile.
La gente che amava padre Christian, intanto, si trova quasi in sommossa. Ieri sera tutto il villaggio è andato a prelevare la salma dal luogo del delitto per portarla in parrocchia. Stamattina, come segno di protesta, è stata occupata e sbarrata la strada principale che porta verso il sud. Neanche le forze della MONUC (i caschi blu dell’ONU) sono riuscite a passare. Ma forse in questa estrema arrendevolezza della MONUC si nasconde gran parte del problema, giacché occorrerebbe che essa mostrasse un po’ più i muscoli contro i militari governativi e a difesa della popolazione civile.
I funerali di padre Christian Bakulene saranno celebrati oggi, mercoledì 10 novembre, nella cattedrale di Butembo.
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