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PER ANNUNCIARE: EVANGELIZZAZIONE E MISSIONARIETA . Secondo giorno: la sntesi dei gruppi di studio

 Mercoledì 20 Novembre – Sintesi dei gruppi di studio
 
LABORATORIO 1
Rosario Sultana – Salvo Priola
 
Gli stimoli di Botturi ci hanno chiesto di saper leggere i segni dei tempi per trovare strade concrete nei nostri organismi regionali.
 
Bisogna incrementare gli incontri formativi per la consulta regionale; bisogna accompagnare, sollecitare e stimolare attraverso la consulta ed offrire proposte concrete al territorio; suscitare da parte di vescovi e presbiteri entusiasmo e interesse; ripartire dalle periferie per superare forme di rassegnazione e di apatia.
 
Quanto detto assume senso solo nell’incontro che è evento di salvezza, dunque, bisogna lavorare insieme, in comunione per poter annunciare la speranza, incrementando il dialogo interno, che richiede una relazione costante, permanente e non meramente funzionale.
 
Tappe fondamentali per una efficace azione nel mondo in cui viviamo sono: l’eventuale revisione degli statuti degli uffici pastorali, l’analisi attenta dell’esistente, la valorizzazione delle risorse, giovani e famiglie, la definizione di obiettivi chiari da verificare costantemente e concretizzare.
 
Regola fondamentale è non cedere alla tentazione dell’autoreferenzialità. La sfida è una: curarsi della vita delle nostre chiese.
 
 
LABORATORIO 2
Gli uffici diocesani nella loro programmazione scelgono la via più breve passando direttamente dalla progettazione alla realizzazione degli eventi, trascurando ipotesi di lavoro più strutturate e sacrificando in tal modo il tempo dell’ascolto, tempo necessario che consente di lavorare in maniera unitaria.
 
In alcune diocesi esiste uno scollamento tra gli uffici di pastorali e il consiglio pastorale diocesano. Tutto ciò si riverbera sui rimanenti livelli: parrocchie, uffici diocesani, uffici regionali, vescovi.
 
I nuovi strumenti di comunicazione, pur essendo un supporto preziosissimo, non possono sostituire la relazione diretta ed individuale, esigenza primaria della autentica comunicazione.
 
Ulteriormente ci è sembrato necessario sottolineare l’impegno a discernere i segni dei tempi, ascoltando il bisogno di salvezza, presente in ciascuno individuo attraverso un processo che parta dal basso e dall’alto nello stesso tempo, in un intreccio fraterno e profetico che consenta al Vescovo di leggere i bisogni della Chiesa locale.
 
I tre modelli del contadino, del pescatore e del pastore hanno tratti comuni con le virtù teologali: il contadino la fede, il pescatore la speranza, il pastore la carità. Tutti e tre hanno un elemento in comune: uscire per andare fuori. L’esodo deve portare a consumare più le scarpe che le ginocchia per essere realmente insieme. Per fare ciò bisogna avere più tempo per trovare occasioni di solidarietà che aiutino gli operatori a non sentirsi soli, passando da una pastorale di massa ad una che abbia al suo centro l’individuo.
 
Se l’azione degli uffici è importante i direttori debbono avere una formazione specifica per ricoprirne il ruolo.
 
 
LABORATORIO 3
Il coordinamento stabile dei vari uffici, porta a rendersi conto in maniera pratica che il dipartimento pastorale chiamato a coordinare ed integrare il lavoro viene prima dei singoli uffici.
 
Necessario il richiamo alla sinodalità, liberandoci da atteggiamenti paternalistici e di superiorità che rendono difficile il dialogo.
 
Esperienze da raccontare sono quella della pastorale universitaria della diocesi di Catania dove è stata costituita una consulta per l’ascolto permanente del territorio per potere rispondere più adeguatamente alle esigenze; quella del Policoro che vede lavorare in maniera integrata diversi uffici. anche se permane la sensazione di piccole risposte davanti un mare di necessità; quella di suor Valeria che opera nel quartiere di Ballarò alle prese con la realtà della tratta delle donne, realtà triste e difficile e bisognosa di maggiore consapevolezza e forze da impiegare. Particolarmente significativa la lettere indirizzata ai clienti delle donne, il lavoro di formazione nelle scuole e un dvd formativo presente sul sito della caritas di Palermo.
 
Tre i nodi problematici:
• lo scollamento tra la base pastorale e gli uffici diocesani, ai quali spesso si richiedono indicazioni di tipo pratico e metodologico più che di indirizzo generale
• l’impegno dei laici negli uffici pastorali che comporta sacrifici non indifferenti sotto il profilo economico e delle ferie, che non consente a chi non ha un lavoro stabile di fornire il proprio contributo, anche se il sacrificio fatto è ampiamente ripagato dalla ricchezza ricevuta.
• l’abituarsi all’idea di cammino lento e progressivo e alla necessità di diventare compagni di strada di giovani e famiglie sottolineando l’importanza dello stare accanto.
 
Si sottolinea, ancora, la necessità di ritornare ad una ridefinizione del concetto di parrocchia per renderla più aderente alla odierna realtà sociale, superando stereotipi e rigide suddivisioni territoriali, cercando di avere la massima attenzione nel curare la ricaduta tra quanto si elabora e il vissuto concreto, riscoprendo e attuando una pastorale integrata.
 
Fondamentale nel servizio è la dimensione dell’ascolto, puntando sulla centralità dei concetti di sussidiarietà, solidarietà, gratuità, reciprocità.
 
 
LABORATORIO 4
Gli interventi del laboratorio sono partiti dalla relazione del prof. Botturi, apprezzata perché permette di capire qual è il contesto nel quale operiamo, quali sono i rischi e le risorse. C’è bisogno sempre di avere, mentre si opera, la possibilità di allargare gli orizzonti e comprendere qual è l’origine dei disagi che si vivono.
 
Da queste considerazioni è nata la richiesta di riaprire la stagione dei convegni delle chiese di Sicilia. Se le sfide sono quelle che ha illustrato la prima relazione del mattino, occorre mettersi insieme per fare fronte. Oltretutto stare insieme fa nascere la speranza.
 
A livello operativo è stata illuminante l’esperienza della diocesi di Nicosia nella quale, a seguito di un cammino sinodale, tutti gli uffici, che si propone di chiamare servizi per la pastorale e non uffici, sono stati affidati a laici. Tutte le attività pastorali sono state articolate in progetti condotti da più servizi di pastorale. E’ cambiato il linguaggio, è stata abolita la dualità dei piani (relazione Savagnone), si è attivato uno scambio di esperienze e di idee e ci si è conosciuti meglio. Un’altra proposta legata a questa è stata quella di girare per le parrocchie per comprenderne i bisogni e attivare nuove iniziative.
Interessante è stato un vivace dibattito su chiese locali e movimenti che ha messo in evidenza come il problema della collaborazione non sia ancora risolto. Ancora una volta è stato sottolineato che qualunque discorso non può prescindere da quel lasciarsi penetrare dalla Parola, da quell’entrare nel Vangelo di cui papa Francesco ci sta dando testimonianza.
 
LABORATORIO 5
La discussione si è sviluppata seguendo la traccia proposta dal prof. Savagnone anche se la prima relazione ha fatto da sfondo ideale a tutti gli interventi. Sono emerse criticità e sono state formulate delle proposte. Le criticità che emergono riguardo le identità e il servizio che svolgono gli uffici.
 
Sono diverse:
1. La stessa definizione di ufficio dà l’idea di staticità, stabilità, di fabbrica di documenti. L’ufficio dovrebbe produrre vita pastorale e non carte per la pastorale
2. Lo scarso ricambio dei direttori degli uffici crea stanchezza, fa perdere l’entusiasmo e il carrozzone si appesantisce. Ci sono gli ulivi secolari…ci sono i direttori secolari.
3. Manca una comunicazione e un reale dialogo tra gli uffici e degli uffici con la base
4. Mancanza di aderenza alla realtà (manca il riferimento ai reali problemi della società). Si fanno progetti interessanti ma il mondo cammina per i fatti suoi.
5. Il linguaggio non è adeguato alla capacità di comprensione della base.
 
Le proposte che emergono:
1. L’integrazione è interazione tra gli uffici affini già a livello diocesano per diventare modello funzionale da proporre a livello regionale.
2. Si auspica che gli uffici siano formati da equipe e non dal solo direttore per favorire un servizio più efficace verso l’ambito di cui si occupa l’ufficio
3. Si auspica una maggiore comunicazione tra gli uffici e degli uffici con la base. Riprendendo l’immagine del piano mobile e del piano terra questa comunicazione si prefigura come il corridoio, la scala che favorisce la traduzione nel duplice senso di trasportare e di interpretare quello che si dice al piano di sopra per quello che si deve fare al piano di sotto.
4. Sviluppare una maggiore conoscenza del piano terra ossia una maggiore analisi del territorio
5. Sapersi porre come interlocutori aperti e disponibili ad un dialogo ricettivo anche oltre lo stretto ambito ecclesiale.
6. Sapere osare per immettersi nella pasta della società come lievito, non in maniera escludente ma inclusiva
7. Ridefinire chiaramente l’identità degli uffici, stabilendo ne i confini, le competenze e gli ambiti.
8. Riscoprire l’entusiasmo di lavorare in maniera sinergica a livello interparrocchiale e vicariale per sottolineare il valore dell’unità come mezzo e come fine di qualsiasi pastorale.
9. Continuare a zappare il terreno per evitare di avere tanti inizi e poche conclusioni. Belle idee, cioè, che rimangano solo sulla carta. Fare poche cose, quindi, ma portarle al termine.
10. Andare al piano ultimo per incontrare Dio riscoprendo la preghiera come luogo del discernimento che indichi alla chiesa il suo dover essere e la sua vera differenza da proporre al mondo.
 
 

LA CULTURA DI OGGI COME RISORSA PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE . Al Convegno Regionale: la sintesi della relazione del prof. Francesco Botturi

Sintesi della relazione del prof. Francesco Botturi
 
Il prof. Francesco Botturi, nella terza giornata del Convegno degli Organismi pastorali regionali, ha approfondito il tema “La cultura contemporanea come risorsa dell’evangelizzazione”.
Per comprendere la cultura contemporanea bisogna ripercorrere le tappe del pensiero umano a partire dal XVI secolo durante il quale si consuma la lacerazione tra cattolicesimo e protestantesimo con la conseguente tragedia delle guerre di religione.
 
Nel XVII secolo si impongono importanti posizioni: da una parte la cultura religiosa postridentina ha tentato di riaffermare la capacità propria dell’umanesimo cristiano; dall’altra si sono affermati umanesimi i cui principi non si radicano nella fede: universali tipici sono la Scienza, la Natura etica dell’uomo, la Politica, l’Economia.
 
Ulteriormente grande il travaglio della successiva modernità che conduce l’uomo nel “tempio di nuovi dèi” ridotti allo stato di semplici privati borghesi. Traghettato alle sponde della postmodernità l’uomo, falliti gli archetipi universali di riferimento, sperimenta smarrimento e solitudine: non è più figlio della Chiesa, orfano della bi millenaria cultura che lo ha generato.
La miseria che sperimenta, però, può essere essa stessa risorsa nella misura in cui questo uomo si mette al lavoro, alla ricerca di un luogo di senso.
 
Questo appare riconoscibile nella categoria dell’intersoggettività, purché la relazione intersoggettiva che è generativa non resti chiusa tra singoli. Essa, infatti, ha effetti sociali e storici: è in essa che i legami sociali trovano la loro linfa. Come direbbe Aristotele, la società umana ha bisogno di “amicizia civile”.
 
Se essere generativi significa essere grembo ospitale per la vita dell’altro e custode responsabile per ciò che si è fatto nascere, l’alleanza coniugale e la società famigliare ne sono un ambito di realizzazione primario ed esemplare, ambito che trova il suo senso più profondo nel mistero della persona di Cristo, il Generato, che viene a noi dal Dio Padre.
 
Nessuna religione, se non il cristianesimo, pone, in modo non mitologico, la generazione in Dio e fa della figliolanza divina la definizione dell’identità ultima dell’uomo, mentre mette sotto il segno della generazione-rigenerazione umana tutta la storia della salvezza. Se anche la Chiesa, a tutti i suoi livelli, si conforma nella vita alla sua natura di sacramento della generazione divina può parlare all’uomo d’oggi in modo culturalmente pertinente, rimanendo profondamente fedele a se stessa.
 
Tutto questo, la generazione che proviene dalla intersoggettività, è quindi la risorsa per l’evangelizzazione, perché porta alla luce una struttura umana che è razionalmente fondata e comprensibile, vera e concreta, e può servire come criterio diagnostico del nostro vivere.
 

LA CHIESA TRA ESODO E PENTECOSTE. Al Convegno Regionale: la sintesi della relazione del prof. Giuseppe Savagnone

Quali le difficoltà che incontra oggi un direttore di un ufficio diocesano.
I problemi riguardano non tanto l’organizzazione né i singoli. Si tratta di un insieme di mentalità, di stili consolidati che sono la cultura dei nostri ambienti ecclesiali che condizionano il funzionamento delle strutture.
 
Tre modelli di evangelizzazione
1. Il modello del contadino
È il modello della nostra evangelizzazione: gettare il seme e attendere. Non siamo noi che salviamo ma il Signore e questo ci insegna l’umiltà. È il terreno che è decisivo. Quello che conta è la fedeltà, la tenacia, l’ubbidienza.
 
2. Il modello del pescatore
È un avventuriero, uno che non ha strade su cui camminare, deve inventare la sua rotta e questo lo abitua ad inventare. La società liquida ha bisogno di pescatori più che di contadini. Kipling nel suo “capitani coraggiosi” dice che il pescatore di merluzzi diventava anch’egli merluzzo, cioè mettendosi dal suo punto di vista. Fuori di metafora ciò vuol dire mettersi nella mentalità di coloro cui siamo inviati ad evangelizzare. Spesso il nostro linguaggio i merluzzi non lo comprendono e questa non è una loro colpa. Siete voi che gettate le reti dove i pesci non ci sono più da tempo. Occorre dunque imparare nuove virtù: l’empatia,
 
3. Il modello del pastore
Anche il pastore si muove molto e rischia cercando strade e pascoli diversi. Ma mentre il pescatore non si muoverebbe mai alla ricerca dell’unico merluzzo che gli manca, mentre invece il pastore si muove per una sola pecora perché ognuna di esse è importante. La pecora sa che quello è il suo pastore. Oggi non c’è più il dialogo personale. Non facciamo solo cose di massa o di gruppo ma il singolo non viene attenzionato. Nessuno ha più tempo di ascoltare nessuno. Manca il dialogo personale. Il modello del pastore è quello di perdere tempo, stare con l’altro, condividere la sua vita.
 
Tutto questo ci suggerisce che la cultura del contadino non è sufficiente. Le altre due ci danno l’idea biblica dell’esodo-Pentecoste.
L’esodo ci suggerisce di uscire, di perdere, abbandonare le proprie sicurezze per avventurarsi nell’apparente vuoto del deserto, dove però ci aspetta Dio. Questo stile può essere individuato a diversi livelli:
Esodo spirituale, uscendo dalla propria logica e lasciandosi prendere da Dio.
Esodo mentale: superare gli schemi.
Esodo linguistico: cambiamo i nostri linguaggi (anche la parola ufficio è brutta).
Esodo temporale: come rinuncia a rimpiangere il passato
Esodo ecclesiale: andare oltre i confini della propria diocesi
Esodo spaziale: uscire dal territorio
Esodo etnico-culturale: apertura alle diverse culture presenti sul nostro territorio
Esodo di genere: accettare il ruolo delle donne nella chiesa
Esodo di status: accettare il ruolo dei laici nella chiesa.
 
I protagonisti di questo esodo sono principalmente quelli che esprimono un movimento che va dalla Diocesi, alla Regione, dall’ufficio alle parrocchie e ai movimenti, dal tempio al territorio, dalla parrocchia alla società.
Qui ci interessa l’esodo degli Uffici. Il problema decisivo è superare la sorda incomunicabilità tra piano nobile e piano terra. Cioè alla base non arriva nulla. Si lavora a livello di convegni, parole, progetti, ma là dove si opera non interessa perché non si risponde ai loro bisogni.
 
È necessario recuperare tutti e tre i modelli evangelici.
Lavorare per il futuro (stile del contadino): pazienza e progettualità.
Mettersi nel punto di vista dell’altro e battere vie nuove (stile del pescatore): l’empatia e la creatività.
La capacità di prendersi cura, ascoltando e dialogando con le persone (lo stile del pastore): il rapporto umano.
 
 
 

Il frutto dei laboratori al Convegno Regionale. Primo giorno: COMUNICAZIONE E SINODALITÀ

INSIEME: COMUNICAZIONE E SINODALITÀ
Laboratori
 
LABORATORIO 1
Salvo Priola – Rosario Sultana
 
Le nostre chiese locali debbono essere capaci di fare rete. Occorre riscoprire la sinodalità anche attraverso un Direttorio comune sia in ambito pastorale che morale. La speranza è il nostro futuro. Perciò formare i formatori è un punto essenziale irrinunciabile. Ripensare una chiesa più simile a quella delle origini studiando come realizzare una pastorale più unitaria e perciò più credibile. In Sicilia occorre una comunione effettiva recuperando il valore della Metropolia. È forse venuta a mancare una metodologia pastorale. Dopo questo convegno che sarà? Una priorità sono i giovani, la famiglia e formazione alla vita sociale e politica. Ritrovare e riscoprire una mentalità di collegialità uscendo dalla settorializzazione. Gli organismi regionali dovrebbero stare insieme su tematiche comuni. I Direttori regionali dovrebbero coltivare maggiori relazioni con i direttori diocesani facendo anche visite in loco. Ripensare gli incarichi regionali in un’ottica nuova non pensando solo alle ricadute parrocchiali. Bisognerebbe sollevare i direttori regionali da altri incarichi in modo da potersi dedicare più intensamente al proprio compito. Nelle commissioni regionali manca una progettualità comune.
 
LABORATORIO 2
Ina Siviglia – Giuseppe Lonia
 
Si richiede maggiore sinergia tra gli uffici Pastorali, mettendo in atto, là dove sia possibile, dei “tavoli di concertazione pastorale”, che siano di supporto al lavoro dei Vescovi e facciano da collante con le parrocchie e le foranie. Si tratta di lavorare in questo senso in vista del piano pastorale e a partire dal piano pastorale diocesano. È necessario anche un maggiore “coordinamento” di tutti gli Uffici, sia a livello diocesano che regionale, così da evitare i “compartimenti stagni” o esperienze chiuse in sé. Si rende necessaria, anche, la presenza della Consulta delle Aggregazioni Laicali negli Organismi regionali della CESi. Si chiede di riprendere la “seduta pubblica della CESi”, conclusiva, alla presenza dei vari rappresentati.
La “Collegialità”, richiede ancora molta attenzione e priorità, dentro i nostri organismi. Collegialità per un senso nuovo di Parrocchia, fatta da tutti, con la valorizzazione soprattutto degli Organismi di partecipazione, per una lettura comunitaria dei segni dei tempi.
Si è parlato di Parrocchia come soggetto sociale. Ma per fare ciò essa deve essere in grado di raccogliere le sfide del territorio e le domande della gente. Per questo sarà necessaria una solida e adeguata formazione sia del clero che dei laici. Si possono promuovere dei veri e propri “Osservatori sociali” coinvolgendo i vari soggetti sociali interessati ai problemi presi in esame (assessori, Pres. delle provincie, ecc.). Osservatori in grado di spingere non solo all’attività caritativa, ma soprattutto alla promozione sociale delle persone.
I Vescovi ci hanno detto che bisogna guardare al “Volto missionario delle parrocchie in un mondo che cambia”, documento che ci spinge al cambiamento, a renderci conto delle mutate situazioni della nostra realtà, a guardare in faccia ai problemi e a stare accanto alla nostra gente, a progettare una pastorale dinamica. Si chiede, infine, un maggiore coinvolgimento del laicato nella “corresponsabilità” fondata sulla coscienza di essere tutti parte del Corpo mistico di Cristo.
 
LABORATORIO 3
Giuseppe Savagnone – coniugi Li Pira
 
Ha molto colpito il tema della genitorialità. Occorre perciò tornare alle radici. Lavorare insieme è una esigenza imprescindibile. Occorre potenziale il lavoro degli uffici pastorali. La sinodalità ci fa guardare a come funziona il nostro corpo. I presbiteri non sono abituati al lavoro comune. Occorre dunque puntare alla formazione dei presbiteri. Gli uffici pastorali diocesani debbono riunirsi periodicamente per favorire la sinodalità. Convenire é stato bello ma occorrono anche altre occasioni di verifica.
 
LABORATORIO 4
Maurilio Assenza – Alfio Briguglia
 
La sintesi del laboratorio può essere preceduta dall’intervento finale di un presbitero: “grazie per questa occasione di condivisione, di riflessione, per questa esperienza di “cerchio fraterno” che ci è data in questo convegno. Ha colpito la relazione di dell’Agli e molti interventi sono stati suggeriti dalla sua relazione. Le parole che sono risuonate sono state soprattutto formazione alla relazione, all’adultitá e alla nuzialità, conversione e vita spirituale esichia, con riferimento particolare alla liturgia, tenerezza e misericordia, genitorialità. La formazione dei presbiteri è stata oggetto di una attenzione particolare. Finora si sono curati i presbiteri ora occorre curare i presbitèrii. Occorre che diventino luogo di comunione insieme al vescovo. Per questo ci vuole anche un vescovo diverso, meno viaggiante. Occorre più tempo per stare insieme, anche tagliando altre iniziative. A proposito di nuzialità si auspicano cammini paralleli di presbiteri e famiglie, che incarnano aspetti diversi della nuzialità. Qualcuno ha lamentato un processo di clericalizzazione dei laici e di laicizzazione dei presbiteri. Questo non giova a nessuno.
La conversione permanente auspicata deve riguardare anche gli stili di vita e le nostre relazioni, non solo con gli altri, ma anche con le cose e con la natura.
 
LABORATORIO 5
Calogero Cerami – Giuseppe La Placa
 
Sono emersi i due modelli di fraternità e sinodalità. Fare cerchio ė difficile. La passione per la relazione significa pagare un prezzo e compromettersi di persona. Significa dare attenzione agli altri. Ma siamo obbligati alla fraternità. La fraternità implica la disponibilità ad accogliere anche chi non fa parte di questo cerchio. Occorre ridefinire perciò il nostro modo di relazionarci con gli altri. Essere fratelli ė un dato, ma deve diventare un compito.
Si fa molta fatica a vivere la sinodalità. Occorre cercare un nuovo modo di viverla. Più che documenti ci servirebbero proposte concrete: proposte formative che abbraccino tutte le vocazioni e convegni tra diocesi vicine per favorire la partecipazione.
 
 
 

‘AUTORITÀ, CARISMI E SERVIZIO. INSIEME VERSO UNA RINNOVATA SINODALITÀ’ Dal Convegno Regionale la sintesi della relazione della Prof. Ina Siviglia

Prof. Ina Siviglia
La relazione è articolata in tre parti nelle quali si fa memoria di quello che è stato l’impegno delle Chiese di Sicilia a vent’anni dalla celebrazione dell’ultimo Convegno regionale, uno sguardo alla realtà e una proiezione verso il futuro.
 
 
 
Ieri
 
Il viaggio di ricezione del Concilio nella nostra Isola parte da lontano. Le Chiese di Sicilia, nel fervore del post Concilio, si sono dati obiettivi comuni, focalizzando l’attenzione ai presbiteri, ai laici e ai religiosi in un contesto drammatico contrassegnato dalla presenza della mafia. La Gaudium et Spes ci ha consegnato la categoria dei “segni dei tempi”.
 
La recezione del concilio è stato un meccanismo complesso. In quegli anni abbiamo assistito a scene drammatiche. Tante morti, quasi ostentate. La chiesa di Sicilia ha dovuto fare discernimento anche al suo interno per purificare alcuni suoi aspetti. Si era messa in opera una sorta di Segreteria regionale che aveva il solo scopo di pensare. Una segreteria sempre in atteggiamento di ricerca. Allora la società siciliana ha atteso dalla Chiesa dei segnali. Ed essa si è compattata soprattutto a partire dalle sfide che il mondo le poneva. Perciò questa sfida è la sfida del mondo che appella la chiesa ad una testimonianza comunionale.
 
La nuova evangelizzazione è ormai vecchia. Ma l’azione evangelizzatrice è sempre nuova. Il proemio di GS rimane sempre valido. È questa assunzione del grido di sofferenza del mondo che appella ad una chiesa testimoniante. Il martirio di padre Puglisi è venuto fuori da questo terreno di sensibilizzazione e di coerenza. Questo “ieri” aveva uno sguardo costante sulla storia e una assunzione di responsabilità sulla base di una lettura attenta dei segni dei tempi.
 
La storia è perciò per la Chiesa il luogo della salvezza. Solo ciò che è assunto viene redento. Non si trattava di recepire il Concilio soltanto dal punto di vista dei contenuti dottrinali. Ciò che emergeva allora era soprattutto il desiderio di confronto con il mondo laico e questo ci ha fatto acquisire delle abilità che prima non si avevano. Anche il modo di vivere la sinodalità deriva in particolare dal ruolo dei vescovi. Ci può esse il pericolo di chiese ripiegate, un po’ narcisistiche che non guardano al di fuori cercando di superare le diversità. Il cammino delle chiese di Sicilia, contrassegnato anche da una forte coesione in quegli anni, impegna ad una riflessione.
 
 
 
Oggi
 
C’è stato un ricambio generazionale. Occorre un dialogo e una comunicazione profonda. In questo tempo buio che stiamo attraversando sembra non ci siano soluzioni. La speranza cristiana non si rassegna. Il cristiano ha un’altra prospettiva: se siamo capaci di camminare insieme, forse come chiese potremo dare un contributo. Da qui la responsabilità dell’oggi. La crisi non è sociologica o politica, è principalmente di carattere culturale e religioso. La speranza cristiana si innesta nel vangelo per illuminare la storia.
 
La chiesa in questi anni ha subito un allontanamento da parte di tanti. È necessario fare esodo per poter vivere il noi ecclesiale.
 
Un’altra categoria che ci consegna il Concilio è quella dell’aggiornamento attraverso l’acquisizione di nuovi linguaggi e di nuovi contenuti. Già Giovanni XXIII si era accorto della necessità di questo rinnovamento che ha poi messo in moto diversi aggiornamenti, dalla pastorale al linguaggio, alla comunicazione.
 
Dunque oggi rimane sempre valido l’impegno delle Chiese di Sicilia di rimettersi insieme per continuare a leggere la realtà e per formare cristiani in grado di incarnarsi sempre più nella storia quotidiana. La Chiesa siciliana deve darsi una spinta nell’ambito della profezia con la consapevolezza che le ideologie sono cadute e si è aperto uno spazio che attende di essere colmato da una responsabilità sociale, politica e dalla capacità di elaborare progetti vitali per la nostra terra.
 
Per fare ciò occorre ripartire dalla sintassi eucaristica. In quella sintassi Cristo raduna la sua Chiesa e vi si manifestano i carismi.
 
In questo ricompattarci i movimenti e i gruppi ecclesiali debbono superare le spinte esclusivistiche che tendono a fare chiese parallele ed agire e pensare in unum con il vescovo e con la Chiesa.
 
 
 
Domani
 
Il papa invoca per la chiesa una rivoluzione di tenerezza, cioè che si umanizzino le relazioni, per creare un clima di comunicazione, comunione e reciproca appartenenza. L’immagine dell’ospedale da campo ci consegna una dimensione di Chiesa che è fondata sull’aiuto fraterno a chi è ferito.
 
Una Chiesa eccentrica che si riferisca da un lato al Cristo storico ed escatologico, tesa verso il regno che porti frutti in questa storia. Una rinnovata capacità di profezia e di corresponsabilità. In essa sono coinvolti ovviamente il Papa, i vescovi, i sacerdoti. Ma perché non pensare anche ai coniugi, alla famiglia…? La consultazione di Papa Francesco sul sinodo sulla famiglia è un segno di questa sinodalità e del valore dell’auctoritas riconosciuta anche ai laici.
 
 
Esiste infine la via della bellezza, non solo quella dello studio o del diritto. Perché il cristiano si riconosce dalla sua gioia di credere e di sperare.
 
 

“ADULTITÀ RELAZIONALE. SINODALITÀ E CORREZIONE FRATERNA” Dal Convegno Regionale la sintesi della relazione di P. Nello Dell’Agli

Sintesi della relazione di P. Nello Dell’Agli
 
Cercheremo di mettere in luce quali competenze tipiche dell’adultità relazionale è necessario diventino obiettivi formativi ecclesiali, perché sia possibile una sinodalità effettiva (e non retorica) e una correzione autenticamente fraterna (e non “impossibile” o sfogo di rancori personali).
 
Questi i punti da sviluppare: la passione per il cerchio fraterno, lo sviluppo del pensiero nuziale, lo sviluppo del pensiero genitoriale, la credibilità sapienziale, la custodia di ciò che i padri del deserto chiamavano esichia (una pace che vuole amare, frutto del lavoro ascetico su di sé).
 
 
 
1) La passione per il cerchio fraterno
 
Interrogandosi sul frate ideale, San Francesco affermava che «sarebbe buon frate minore colui che riunisse in sé la fede di Bernardo, la semplicità e la purità di Leone, la cortesia di Angelo, l’aspetto attraente e il buon senso di Masseo, la mente elevata nella contemplazione di Egidio, la virtuosa incessante orazione di Rufino, la pazienza di Ginepro, la robustezza fisica e spirituale di Giovanni delle Lodi, la carità di Ruggero, la santa inquietudine di Lucido» (FF 1782). Insomma, nella visione sanfrancescana, non esiste un frate ideale, l’ideale è la fraternità.
 
Abbiamo a che fare con una sfida complessa e per affrontarla va posta una premessa: la necessità della «conversione relazionale». Si tratta di convertirsi dall’individualismo alla cura del cerchio fraterno, di riconoscere che vivere insieme, appartenersi, collaborare, continuare a dialogare, incontrarsi con assiduità per confrontarsi, gestire cristianamente le inevitabili ferite interpersonali, è valore in se stesso: la fraternitas come valore in se stesso.
 
 
 
2) Lo sviluppo del pensiero nuziale
 
Tutti i credenti, sposati e celibi, siamo chiamati, per progredire verso la maturità di Cristo, a sviluppare un pensiero di tipo nuziale. Anche i consacrati e le consacrate, infatti, non siamo chiamati (ce lo ha ricordato papa Francesco) a rimanere single tristi o zitelle acide, ma a «sposarci spiritualmente» (non solo con il Signore, ma con la famiglia spirituale cui decidiamo di appartenere e che ci accoglie). Da cosa è caratterizzato il pensiero nuziale? Essenzialmente dalla custodia del senso di appartenenza, dalla capacità di “pensare con” e dalla capacità di collaborare; anzitutto con Dio (siamo chiamati ad essere alleati di Dio e collaboratori di Dio come dice l’apostolo), ma certamente anche tra di noi.
 
Appartenenza significa non permettere che le inevitabili sofferenze interpersonali ci portino all’isolamento, al fare da soli, senza avere a che fare con altri leaders. O non permettere che le inevitabili sofferenze interpersonali ci portino alla rabbia senza fine, alla critica acida, all’amarezza che non passa mai. Potremmo, allora, dire che le sofferenze interpersonali ci sono consegnate non per fuggirle, ma per sviluppare in noi, al servizio della comunione, quegli aspetti essenziali oggi della capacità di discernimento che sono l’intelligenza interiore, l’intelligenza relazionale e l’intelligenza spirituale. Cosa intendiamo per intelligenza interiore? È la capacità di ritornare a se stessi per leggere le parti vulnerabili del nostro cuore evidenziate dalle sofferenze interpersonali; o per leggere i conflitti interni del nostro cuore, illuminati da quelli esterni.
 
L’intelligenza relazionale ha due aspetti. Il primo: approssimarsi al mistero dell’altro volendo apprezzare il mondo interiore altrui e i suoi travagli, anche quando è in conflitto con il nostro. Il secondo: vedere in che modo ci incastriamo in situazioni di dipendenza reciproca. Ovvero, ad es., “cosa ancora non vedo o non capisco delle reazioni del mio prossimo (primo aspetto dell’intelligenza relazionale); “in che modo il mio sentirmi inferiore spinge l’altro a farmi la predica, o in che modo il mio sentirmi superiore spinge l’altro ad allontanarsi da me o a covare rabbia nei miei confronti? (secondo aspetto)”.
 
L’intelligenza spirituale ha a che fare con la capacità di neutralizzare i pensieri istintivi del nostro cuore per assumere progressivamente i pensieri di Cristo. È frutto insomma di ciò che i padri del deserto chiamavano metodo antirretico. Così, ad es., se l’invidia mi porta a pensare “devo fargliela pagare”, assumere il pensiero di Cristo significa, ad es., ricordare: «portate i pesi gli uni degli altri», «sta’ attento all’animale accovacciato alla tua porta», etc.
 
Che cosa significa, invece, pensare con e progettare con? Significa avere fiducia nel cerchio fraterno (non solo passione per) e realizzare l’invito dell’apostolo: «gareggiate nello stimarvi a vicenda». Mentre il pensiero autocentrato ritiene: “la mia idea è la migliore, l’importante è fare a modo mio, gli altri mi sono di ostacolo, etc.”, la fiducia nel cerchio fraterno porta a pensare che ciascuno coglie un pezzo di verità che è prezioso e che merita di essere valorizzato; per questo è necessario stimare ciascuno, anzi gareggiare nella stima reciproca.
 
Tutto questo richiede di fare i conti con il superamento della tentazione tipica di chi è leader (dentro e fuori la comunità credente), ossia quella di identificarsi con il proprio ruolo.
 
Per concludere, riguardo a questo secondo punto, vorrei ora toccare un altro tasto: parlare di pensiero nuziale ci porta alla necessità del confronto uomo-donna nella chiesa. I maschi maturiamo grazie al piacere e alla fatica di confrontarci con il “cervello” femminile e viceversa; il processo di umanizzazione richiede questo. Perché l’elogio del genio femminile non divenga retorica, è necessario che in ogni organismo, anche di governo, formazione e cura, siano garantiti la presenza e il contributo femminile. Tanto per fare un esempio: nei seminari non sarebbe importante la presenza di formatrici, o basta che vi siano donne a preparare in cucina?
 
 
 
3) Lo sviluppo del pensiero genitoriale
 
Tutti i credenti, sposati e celibi, siamo chiamati a divenire genitori spiritualmente, a maturare fecondità. Chi è leader nella chiesa deve allora sviluppare paternità/maternità e pensiero genitoriale. Infatti, molta possibilità di riuscita della sinodalità e della correzione fraterna dipende dalla capacità dei leaders, dei coordinatori, di chi presiede, di favorire e custodire un clima che sia veramente fraterno e di ricerca.
 
Ma cosa significa pensiero genitoriale? Esso è caratterizzato dalla consapevolezza dell’asimmetria relazionale che si concretizza in tre punti: il non appoggiarsi emotivamente sui figli (fisici o spirituali), il non triangolarli nei conflitti con i pari, il pacificarsi emotivamente nei conflitti con loro. Ciò permette di accedere al pensiero eucaristico caratterizzato dalla logica del dono in pienezza, ossia dall’offrire il proprio corpo e il proprio sangue in favore dei figli.
 
In sintesi, allora, lo sviluppo del pensiero nuziale e del pensiero genitoriale come logiche adulte che permettono il superamento del mito giovanile dell’autorealizzazione individuale e che permettono di accedere meglio alla logica del dono di sé nel cerchio fraterno e attraverso il cerchio fraterno.
 
 
 
4) La credibilità sapienziale
 
Chi coordina un ufficio, chi presiede nella carità, chi rende un servizio dalla posizione di leader, è necessario che sia credibile; in altri termini, adultità relazionale significa anche credibilità. Ma ognuno di noi, anche se leader, è peccatore, è fragile, ha elementi di stoltezza, ha dei travagli di crescita, che durano lungo tutto il corso della vita. Ma se siamo peccatori, fragili, sempre in travaglio, stolti, etc., come essere credibili? Ebbene, la credibilità adulta non è quella sognata dagli adolescenti (il successo e la perfezione), ma nasce dall’integrazione di alcuni elementi: il riconoscimento della propria parte oscura (trasparenza), l’esigenza di una seria e continua conversione, la consapevolezza di condividere tutti, credenti e non credenti, la barchetta della stessa umanità.
 
La credibilità sapienziale non nasce dall’essere senza peccato, ma dallo sforzo di connettere umilmente Parola di Dio e vita, compreso quell’aspetto della nostra vita che è il peccato, vivendo sempre in spirito di apprendimento e di ricerca con gli altri, assimilando l’azione umiliante della vita e del Signore a nostro favore. Sì, la vita e il Signore ci umiliano e questo fa bene, ci guarisce.
 
Insomma, credo che un desiderio profondo di noi tutti sia questo: basta con quegli aspetti del nostro cuore che favoriscono una chiesa ricca per i ricchi, una chiesa chiusa in se stessa e una chiesa malata di senso di superiorità (con l’inevitabile gravidanza dell’ipocrisia necessaria per mantenere l’illusorio senso di superiorità). Sì, invece, ad una chiesa povera per i poveri, aperta all’incontro, capace di stare in una posizione di minorità dal punto di vista relazionale, ossia ai piedi della crescita altrui.
 
 
 
5) L’esichia
 
È necessario pacificarsi sempre, lavorando su di sé. Riprendiamo ora questa necessità di pacificarsi nell’amore a proposito della correzione fraterna.
 
Intanto, è necessario distinguere tra normale conflittualità ecclesiale e correzione fraterna. Quest’ultima richiede alcune caratteristiche essenziali proprie dell’esichia: la pace interiore, l’interesse per l’altro, la verifica della saldezza del rapporto di alleanza.
 
La pace interiore: se sono coinvolto nelle problematiche altrui, non ci può essere correzione fraterna, ma solo normale conflittualità..
 
L’interesse per l’altro: prima di correggere, devo verificare se ho interesse per l’altro e se ho le necessarie informazioni che lo riguardano.
 
La verifica della saldezza del rapporto di alleanza: in Cristo siamo alleati e collaboratori di Dio e tra noi, ma è necessario verificare il grado di percezione soggettiva della saldezza di tale rapporto; inutile correggere se l’altro è arrabbiato con me o non si fida di me; prima c’è da chiarire con disponibilità tale rabbia o sfiducia.
 
Ma l’esichia è necessaria anche per la correzione fraterna ricevuta. Ascoltare con disponibilità le correzioni, le critiche, le sofferenze degli altri con noi, ristabilendo la pace nel nostro mondo interiore in tumulto.
 
 
 
6) Conclusione
 
La sinodalità e la correzione fraterna richiedono il servizio specifico di chi presiede, di chi è adulto nella fede, ed oggi essere leader è complicato e non è certo augurabile a nessuno. Ringraziamo il cielo che le varie difficoltà che permette ci aiutano a capire che presiedere è un servizio faticoso, al di là della retorica ecclesiale del servizio.
 
 

Convegno Regionale della CeSi: L’intervento del Presidente della Segreteria pastorale

 “Progettare il futuro pastorale”. Questa la parola d’ordine consegnata da mons. Carmelo Cuttitta, Vescovo ausiliare di Palermo e Presidente della Segreteria pastorale della Conferenza Episcopale Siciliana in apertura dei lavori del Convegno degli Organismi pastorali regionali.

“Venti anni fa, in questi giorni, proprio dal 18 novembre si è tenuto il 3° Convegno regionale delle Chiese di Sicilia. Ne facciamo memoria per ricollegarci idealmente alla nostra storia, la nostra tradizione, il nostro cammino pastorale. Lì si misero in evidenza gli obbiettivi e soprattutto gli ambiti pastorali d’azione: cultura e comunicazione, famiglia, impegno sociale e politico, parrocchia. E quali di questi non sono ambiti che ancora oggi ci interpellano?

I Vescovi hanno inteso convocare gli Organismi pastorali regionali, Uffici e Commissioni insieme con gli Organismi collegati alla Cesi, la Consulta delle Aggregazioni laicali e i consacrati, Cism , Usmi, Ciis.

Siamo qui radunati: forze vive della Cesi e delle Diocesi perché incaricati di progettare e accompagnare il cammino delle Chiese. Radunati ‘insieme’ per guardare al futuro non rimanendo inerti, piuttosto impegnati nel progettare il cammino pastorale della nostra Regione. Ci ritroviamo a vivere momenti di stanchezza, ad affrontare la tentazione dell’isolamento. Vogliamo trovare linee comuni che ci portino a guardare alla nostra identità di popolo di Dio nella terra di Sicilia.

Il nostro convenire insieme è occasione propizia per ascoltare la gente della nostra terra, i suoi bisogni e le sue aspirazioni insieme all’impegno di evangelizzazione.

Ogni Diocesi elabora un proprio progetto pastorale, ma la nostra Isola ha una sua identità storica, culturale, ecclesiale che ci caratterizza: per questo abbiamo bisogno di incontrarci, per raggiungere mete comuni senza mortificare i particolari progetti pastorali delle singole Chiese.

La nostra Conferenza Episcopale, con i suoi organismi, ha il compito di leggere il proprio territorio, di individuare le emergenze e di discernere il vissuto ecclesiale per compiere le scelte che non possono che essere maturate insieme.

La parola “insieme” l’abbiamo scelta ed inserita nel titolo del Convegno che stiamo celebrando. Insieme è una parola chiave molto significativa. Gesù ha chiamato i suoi apostoli, li voluti “insieme” come gruppo – i dodici – , ed “insieme” hanno fatto l’esperienza dell’annuncio, della morte e della risurrezione. “Insieme” sono stati inviati per annunciare la speranza.

Spetta a noi, oggi, discernere, sotto la guida dello Spirito, la storia, lavorando alacremente perché essa possa diventare storia di salvezza, attraverso una rinnovata seminagione del Vangelo che conduce la Chiesa a compiere un esodo da se stessa per incarnarsi nel mondo quale lievito che fermenta la massa. 

Gli Organismi Pastorali Regionali a Convegno per annunciare insieme la speranza

Inizia oggi 18 novembre fino al 22, il Convegno degli Organismi Pastorali organizzato dalla Segreteria Pastorale della Conferenza Episcopale Siciliana. Si svolgerà all’Hotel Garden Beach, a Campofelice di Roccella (Pa).
 
Il Direttore della Segreteria Pastorale, mons. Francesco Casamento, presenta l’evento regionale come “occasione di incontro”. In particolare, dice che: “Il convegno “degli addetti ai lavori”, così lo abbiamo inteso nei mesi scorsi che sono stati di preparazione all’evento, ha l’obiettivo di rimotivare tutti i membri degli Organismi pastorali della o collegati alla CESi. Rimotivare non solo la partecipazione alle Commissioni regionali, che, teniamo a sottolineare, prendono la loro forza dalla presenza di tutti, perché vera protagonista della attività pastorale rimane la Chiesa diocesana, ma anche il senso della comunione ecclesiale regionale che è ben sintetizzato dallo slogan degli anni passati: una presenza per servire. Oggi – aggiunge mons. Casamento – tentiamo di aggiungere a quel tema una specificazione sottintesa, ma altrettanto necessaria che è la comunione intesa nel termine “insieme”, insieme per annunciare la speranza. Servire per la Chiesa è annuncio, annuncio di speranza in un mondo che appartiene a tutti e a maggior ragione a chi come noi vuole rispondere al mandato divino di occuparcene con amore”.
 
Il Convegno si sviluppa su 5 giorni. Il primo si apre con l’introduzione del Cardinale Paolo Romeo, Presidente della CESI, seguita da una lectio sull’icona biblica del Convegno stesso, tenuta da Fra Enzo Bianchi; nell’ultimo le conclusioni sono affidate al Segretario della CESi, il Vescovo mons. Carmelo Cuttitta.
 
I 3 giorni centrali sono strutturati in modo da fondare con due relazioni scientifiche al mattino una riflessione da condividere nel pomeriggio con 9 laboratori stabili. Nell’ultimo dei tre giorni centrali il laboratorio pomeridiano è praticamente un incontro di Commissione di ciascun organismo pastorale, con il proprio Vescovo delegato.
 
“L’auspicio – termina mons. Casamento – è che, superate le tante difficoltà che si possono sollevare, si scelga di partecipare al Convegno con l’entusiasmo di chi sa che risponde a quel mandato sopra richiamato”.

Appuntamento con la Bioetica. La nascita rispettata tra evidenze scientifiche e questioni bioetiche

 La tradizione umana affida il bene della fecondità alla vita della coppia e della famiglia come luogo di accoglienza della vita e soggetto della sua trasmissione. Il nascere è legato al mistero della vita e al corpo che contiene in sè i codici strutturali e funzionali che danno compimento alla vita. In questa prospettiva il nascere è fortemente segnato dall’esperienza del parto che sappiamo essere potenzialmente drammatica. Questa consapevolezza ha portato a sviluppare una medicina capace oggi di garantire un parto sicuro nella stragrande maggioranza delle situazioni cliniche. Il monitoraggio della gravidanza, la prevenzione e l’assistenza moderna al parto hanno straordinariamente abbassato la mortalità e la morbilità infantile e materna. Nonostante gli oggettivi risultati ottenuti e dai quali si può prescindere, nei confronti della medicina ostetrica si è diffuso un certo “malessere” legato all’idea che gli straordinari risultati raggiunti sul piano tecnico siano avvenuti favorendo una spersonalizzazione e disumanizzazione del parto. Già negli anni Settanta la cultura femminista aveva parlato di “ espropriazione del parto e del corpo della donna” da parte della medicina, invocando un ritorno al parto a domicilio in contrapposizione all’alternativa ospedaliera. Spesso la discussione si è accesa con toni polemici e con il risultato di generare fraintendimenti e polarizzazioni ideologiche. Tuttavia è innegabile che il mondo della medicina non sempre riesce ad integrare fra le sue preoccupazioni i bisogni complessi delle persone verso cui rivolge la propria attenzione. Alla fine si rischia di contrapporre in modo artificioso la tecnica e l’umanità, e l’ostetricia è il caso più evidente in cui è necessario pensare ad una integrazione in cui il contributo indispensabile della tecnologia deve armonizzarsi con l’esigenza di umanizzare l’esperienza della nascita senza rinunciare alla sicurezza. Umanizzare la nascita vuol dire allora pensare innanzitutto che il nascituro è persona proponendo per lui una nascita senza violenza ricomponendo le fratture avvenute nell’ecosistema del nascere; è noto che il modo stesso con cui si svolge il parto può avere un’influenza determinante sullo sviluppo della personalità del bambino. E ‘ oggi possibile attutire il trauma e l’angoscia legati al parto che ogni bambino sperimenta con una serie di accorgimenti che rendono più graduale il passaggio dall’ambiente uterino ( ambiente liquido, a temperatura costante, con stimoli sensoriali attutiti e omogenei) all’ambiente esterno in cui si sperimenta lo shock dell’adattamento cardio-respiratorio. Viene oggi data molta importanza all’influenza di questo tumultuoso inizio della vita per l’armonica maturazione futura della persona. La tutela della gravidanza, sia sotto l’aspetto della salute fisica della madre e del nascituro che del supporto sociale, sono la conseguenza concreta dell’applicazione del principio della responsabilità. Umanizzare la nascita non significa concedere spazio alla retorica delle emozioni, quanto piuttosto assumere responsabilmente scelte ed atteggiamenti concreti che tutelino le diverse dimensioni della vita delle persone coinvolte nella vicenda del nascere, una tutela che non si limita alla vita fisica, ma assume in modo armonico tutta la vicenda umana che vede idealmente coinvolta tutta la famiglia.

E’ tornato alla Casa del Padre il Sac. Giovanni Borgh

 Il Vescovo di Noto Sua Ecc. Mons. Antonio Staglianò, i Vescovi emeriti Mons. Salvatore Nicolosi, Mons. Giuseppe Malandrino e Mons. Mariano Crociata, il Presbiterio, i Diaconi, il Seminario, unitamente alla comunità diocesana, consegnano a Gesù Buon Pastore il sacerdote Don Giovanni Borgh di anni 86 e 61 di sacerdozio già parroco di S. Gaetano in Portopalo.
 
Riconoscenti per la dedizione e il servizio incondizionato alla nostra chiesa locale, rendono grazie al Signore ed elevano la preghiera si suffragio.
 
 
La concelebrazione eucaristica avrà luogo Giovedì 14 Ottobre 2013 alle ore 10.00 nella Chiesa Parrocchiale di S. Gaetano in Portopalo di Capo Passero