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Il nostro giornale diocesano abbatte i costi dell’abbonamento

In un momento in cui la Comunicazione è divenuta una necessità non trascurabile, la nostra Diocesi dispone già di una preziosa risorsa mediatica che va meglio utilizzata e maggiormente incrementata per raggiungere il maggior numero possibile di destinatari. Mi riferisco al nostro periodico “La Vita Diocesana”, dalla pluridecennale presenza, che si è rivelato uno strumento sempre più efficace e prezioso.
Ecco perché, dopo essermi consultato con il Consiglio Episcopale, con il Direttore e i membri della Redazione, mi sembra che vada sempre più potenziata la qualità e la diffusione del nostro giornale per avviare una comunicazione sempre più capillare.
 
L’idea, in effetti, non è nuova: il patrono dei giornalisti, San Francesco di Sales (1567-1622), non riuscendo a raggiungere le persone con la predicazione, “passava per le strade” a porre foglietti scritti sotto le porte delle case. “Strada facendo … Annunciate il Vangelo” (Mt 10,7).
 
Mi rendo conto, però, che in un momento di prolungata crisi, molte famiglie non possono affrontare la spesa dell’abbonamento.
 
Ho pensato, pertanto, di chiedere alla Diocesi di fare un ulteriore sacrificio perché il nostro giornale possa raggiungere tutti e così essere sempre più strumento di evangelizzazione e promozione umana, mostrando la prossimità della Chiesa ad ogni uomo e ad ogni comunità, specialmente in questo difficilissimo momento di crisi economica, culturale, familiare ed occupazionale. Sarà questo anche uno dei preziosi frutti della Visita Pastorale in corso.
 
Ho deciso, pertanto, di ridurre il prezzo di abbonamento al nostro giornale “La Vita diocesana”, già dal prossimo anno 2014, dalle attuali 33,00 Euro a 10,00 Euro con una capillare consegna del giornale stesso presso tutte le parrocchie (15,00 Euro per coloro che desiderano riceverlo tramite spedizione postale a domicilio).
 
Nella speranza che questa mia decisione possa trovare la più ampia accoglienza, vi saluto con affetto e vi benedico di cuore.
 
 
 
 


Lettera del Comitato Regionale di Bioetica ai pazienti e ai familiari sulla proposta di legge per l’applicazione della cura Vannoni

Il Direttore del Comitato Scientifico di Bioetica, don Antonio Stefano Modica, rende nota la lettera indirizzata dal Comitato Regionale di Bioetica ai pazienti e ai familiari dei pazienti sulla proposta di legge per l’applicazione in Sicilia della cosiddetta cura Vannoni della Stamina Foundation, affinché si conosca il parere scientifico in merito al problema. Come si evince dai toni della lettera, la comunità scientifica che opera con coscienza nell’ambito delle problematiche mediche e cliniche, non è insensibile (così come appare nell’immaginario dei nostri casi locali) alla condizione dei i pazienti e dei loro familiari.

Noto, 8 novembre un Convegno sulla Legge 180/1978

A 35 anni dalla legge 180 del 1978 (la cd Legge Basaglia) inserita integralmente nella legge 833 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, al fine di contribuire al dibattito in corso – mettere a confronto le diverse realtà di psichiatria di comunità italiane – giorno 8 p.v, nell’aula magna del Seminario Vescovile, con inizio alle ore 9,00, sarà dedicata un’apposita giornata di studio sulla specifica tematica.
 
Al convegno, promosso dalla Coop. Sociale Onlus “Si Può fare”, nata grazie alla sensibilità del Vescovo Staglianò e con il sostegno della Diocesi di Noto, interverranno all’evento, fra gli altri, il presidente della Regione Siciliana On. Rosario Crocetta e gli assessori regionali Lucia Borsellino (Sanità) e Dario Cartabellotta (Risorse Agricole).
 
La psichiatria di comunità: un modello per favorire l’inclusione sociale di persone con disturbi psichici gravi. Il miglioramento delle possibilità di cura e di inclusione sociale delle persone afflitte da disturbi mentali gravi è il prodotto dell’interazione di più fattori: dai percorsi personali di validazione alle strategie di protezione e promozione sociale realizzati all’interno dei diversi ambiti territoriali.
 
Occorre mettere al centro dell’intervento la capacità di un territorio di fornire risposte che integrano i bisogni di cura con quelli sociali, lavorativi e residenziali sperimentando percorsi integrati e personalizzati di inclusione sociale per quei pazienti maggiormente discriminati dal contesto socio-culturale-lavorativo.
 
L’idea di organizzare questo convegno nasce proprio dall’esigenza di mettere a confronto alcune realtà di psichiatria di comunità italiane per riflettere sulle esperienze fatte in questi anni. Ma soprattutto per proiettarci su futuri scenari.
Si allega il programma della giornata.
 

Comunicato Stampa – 8 Novembre Convegno sulla legge 180/1978

 A 35 anni dalla legge 180 del 1978 (la cd Legge Basaglia) inserita integralmente nella legge 833 che ha istituito il Servizio Sanitario Nazionale, al fine di contribuire al dibattito in corso – mettere a confronto le diverse realtà di psichiatria di comunità italiane ‘ giorno 8 p.v, nell’aula magna del Seminario Vescovile, con inizio alle ore 9,00, sarà dedicata un’apposita giornata di studio sulla specifica tematica.
Al convegno, promosso dalla Coop. Sociale Onlus ‘Si Può fare’, nata grazie alla sensibilità del Vescovo Staglianò e con il sostegno della Diocesi di Noto, interverranno all’evento, fra gli altri, il presidente della Regione Siciliana On. Rosario Crocetta e gli assessori regionali Lucia Borsellino (Sanità) e Dario Cartabellotta (Risorse Agricole).
 

Lettera di Staglianò al clero di Noto: “i profughi sono nostri fratelli”

Il Vescovo Staglianò, in data 21 ottobre, ha inviato a tutti i presbiteri e diaconi della sua Diocesi una lettera in merito alla necessità di considerare i profughi non come stranieri ma piuttosto fratelli, figli dell’unico Dio-Padre. Nella lettera spedita dal prelato netino così, vi leggiamo: 
 
“vi saluto cordialmente, nella speranza che solo il Risorto crea nella nostra esistenza, trasformando i nostri cuori continuamente, di giorno in giorno, rendendoli “cuori umani”, capaci di lacrime vere per le tante ingiustizie, per le innumerevoli sofferenze, ed oggi per la tanta afflizione che cogliamo nei tanti fratelli profughi, molti dei quali nemmeno giungono sulle nostre coste, perché muoiono in mare.
 
Papa Francesco è stato molto chiaro nel suo ammonimento: “aprite con coraggio i conventi chiusi alla solidarietà”. Ha voluto per altro essere “crudamente chiaro” quando ha detto che le strutture chiuse non dovrebbero essere indirizzate a ristrutturazioni per far profitto, ma alla solidarietà verso questi nostri fratelli.
Pertanto, facendo seguito al mio appello alla fine del Convegno diocesano, “ascoltato il Consiglio presbiterale”, in sintonia con i successivi appelli della Caritas italiana e delle Caritas di Sicilia riunitesi a Lampedusa nei giorni scorsi, vi chiedo di aprire il vostro cuore, di acuire la vostra intelligenza e sapienza, per uno sforzo ulteriore (e più grande) nell’accogliere i fratelli profughi che sbarcano nelle nostre coste, intensificando ciò che già spontaneamente si fa o si è fatto da parte di singole comunità ecclesiali e da tante persone di buona volontà.
 
Mentre pensiamo nel tempo ad un segno diocesano, utilizzando le strutture esistenti, (che certo necessitano di interventi di sistemazione e di adeguato supporto umano per un’accoglienza dignitosa), invito le parrocchie e le comunità religiose a verificare le loro possibilità attuali di accoglienza, in termini di strutture idonee e già pronte e, soprattutto, di un’adeguata rete di volontariato per l’accompagnamento. Chiedo dunque ai Vicari foranei di fornire al più presto una mappatura di queste strutture, quanto più estesa al momento e senza “scremature particolari”. Le varie ipotesi potranno poi essere meglio precisate attraverso un raccordo con la Caritas diocesana, che farà da tramite anche per ogni contatto istituzionale da parte delle realtà ecclesiali della nostra diocesi.
 
Le iniziative di accoglienza certo avranno bisogno anche di supporti economici che dovranno essere il frutto di una vita più sobria e fraterna. Fin d’ora vi comunico che dedicheremo all’aiuto degli immigrati e dei profughi le offerte dell’Avvento di fraternità di quest’anno. Contemporaneamente, nei cammini di fede – secondo quanto proposto dagli uffici diocesani (catechistico, liturgico, Caritas) – matureremo passi concreti e corali di vera e duratura carità.
 
Cercheremo anche di conoscere meglio i Paesi di provenienza dei profughi per riflettere su come fare fronte a quella che papa Francesco chiama “la globalizzazione dell’indifferenza”. Ci uniremo poi a tutte le iniziative attraverso le quali si richiedono leggi adeguate con cui riconoscere la dignità e il diritto alla vita di ogni persona che fugge dalla guerra e da persecuzioni e con le quali s’invocano forme di asilo e corridoi umanitari. Facciamo altresì nostra la proposta di una Conferenza del Mediterraneo che, con il nostro Giorgio La Pira, vogliamo pensare come mare di pace e d’incontro tra civiltà e popoli nella “convivialità delle differenze”.
 
Nel frattempo, sul piano più immediatamente operativo e progettuale, vi comunico di aver istituito una Commissione tecnica che per conto della Diocesi dovrà interloquire autorevolmente con le Prefetture di Siracusa e di Ragusa: il Vicario Generale, il Direttore della Caritas, l’Economo diocesano, il Direttore dell’Ufficio tecnico, il vicario foraneo di Scicli, il vicario foraneo di Avola e il Vicario episcopale per la cultura. Li ringrazio molto per aver accettato di lavorare con zelo e cura affinché l’appello del Papa assuma nella nostra Diocesi forme concrete e si esprima in gesti e segni di Vangelo.
 
Mi sono sentito per altro più volte con i rispettivi Prefetti di Siracusa e Ragusa, i quali si aspettano da noi grande collaborazione, per l’affidabilità che ci riconoscono, proprio per la “profezia” che portiamo nel nostro DNA: noi amiamo le persone che accogliamo perché Gesù lo chiede, perché il Padre di Gesù è anche “Padre loro”, essendo “Padre nostro” e noi tutti – anche loro, sono “nostri fratelli”. Oggi il cristiano potrà dunque dire “Padre nostro”, solo se a queste persone potrà/vorrà dire “sei mio fratello”.
 

Messaggio dei Vescovi di Sicilia ai fedeli e agli uomini di buona volontà all’indomani della tragedia di Lampedusa

Riuniti per la consueta sessione autunnale a Siracusa nel 60° anniversario della lacrimazione della Beata Vergine Maria, noi, Vescovi di Sicilia, abbiamo trattato i temi concernenti la vita delle nostre Chiese. Da un lato, abbiamo avuto presente la catastrofe sconvolgente dei naufraghi nelle acque di Lampedusa e, dall’altro, i giovani che abbiamo incontrato in un’esperienza di fraternità e di comunione. In questa città è stato immediato riandare con la memoria all’apostolo Paolo, qui approdato da Malta e rimasto per tre giorni (cfr At 28,11-12), e rivivere con lui, attraverso il racconto del libro degli Atti degli Apostoli, la forte tensione drammatica delle sciagure in mare con gravissimi e ripetuti rischi per la vita. Ci siamo lasciati interrogare dalle migliaia di persone morte nel nostro mare Mediterraneo, provocati dai gesti e dalle parole di Papa Francesco nel corso della sua visita a Lampedusa dell’8 luglio scorso. Il Papa continua a riproporci l’interrogativo: “Dov’è tuo fratello?” e torna a metterci in guardia dalla “globalizzazione dell’indifferenza che ci rende tutti «innominati», responsabili senza nome e senza volto”. E di fronte a tanti morti non ci siamo sottratti alla nostra responsabilità pastorale per rivolgere una parola accorata ai fedeli e alle persone di buona volontà.
 
Questi morti, e le migliaia che negli anni sono stati travolti in queste acque, chiedono verità, giustizia e solidarietà. È ora di abbandonare l’ipocrisia di chi continua a pensare che il fenomeno migratorio sia un’emergenza che si auspica ancora di breve durata. La consapevolezza che spregiudicati criminali speculano sul dolore di persone in fuga dalle persecuzioni e dalle guerre non può far pagare a questi ultimi la malvagità dei mercanti di morte. Il grido di aiuto e la domanda di soccorso non possono lasciare freddi o indifferenti noi e quanti, per cultura e per sensibilità, sentiamo forte a partire dal Vangelo il senso dell’accoglienza e del dialogo.
 
La gente di Lampedusa, alla quale va la nostra gratitudine e la nostra ammirazione per l’instancabile apertura di cuore nei confronti di quanti hanno cercato approdo tra loro, ha mostrato al mondo il valore e l’efficacia dei gesti semplici e significativi del quotidiano: la vicinanza, il soccorso, il pianto, la collera, la pazienza. E nello stesso tempo ha dimostrato l’inutilità controproducente di talune risposte istituzionali che non hanno contribuito a risolvere il problema, ma anzi hanno moltiplicato il numero delle vittime.
 
Di fronte a tanto dolore, che sembra non aver fine, occorre cambiare atteggiamento a partire dalle nostre comunità e coinvolgendo quanti si sentono interrogati da questa sfida umanitaria. A tal proposito invitiamo a vivere il prossimo Avvento come tempo di fraternità e di condivisione nella luce del mistero dell’incarnazione. Solo facendoci prossimi ai nostri fratelli ultimi, infatti, potremo dare un senso alla celebrazione liturgica del Figlio di Dio fatto uomo. Sarà un’occasione propizia per approfondire la conoscenza del fenomeno migratorio, liberandosi da pregiudizi e luoghi comuni; per studiare forme possibili di aiuto e di solidarietà verso gli immigrati; per sollecitare interventi politici ai diversi livelli che contribuiscano ad affrontare realisticamente il problema e a elaborare soluzioni efficaci.
 
Gli innumerevoli morti (uomini, donne, bambini), che sono seppelliti nel Mediterraneo con la loro speranza di vita e di libertà, scuotono le nostre coscienze con il loro grido di giustizia. Che il nostro silenzio e la nostra inerzia non vanifichino il loro sacrificio.
 
Ai nostri giovani, per primi, abbiamo affidato questo messaggio e questa consegna, certi che sapranno dare voce e cuore alla speranza. A loro ci rivolgiamo con le parole dei padri conciliari nel cinquantesimo anniversario del Concilio Vaticano II perché saranno loro a raccogliere il meglio dell’esempio e dell’insegnamento dei genitori e dei maestri per formare la società di domani: “Costruite nell’entusiasmo un mondo migliore di quello attuale!”.
 

Le Caritas di Sicilia e Migrantes a Lampedusa. “Pensare diversamente l’immigrazione, pensando a come farsi prossimi”

 Anche la nostra Caritas ha partecipato insieme alle altre di Sicilia ad un coordinamento degli organismi ecclesiali a Lampedusa (vi era anche Migrantes) per comprendere l’appello di Dio e corrispondervi in modo evangelico Questa la prima impressione che ci hanno trasmesso Salvo Garofalo e Fabio Sammito: «Appena si atterra a Lampedusa due immagini forti colpiscono: la prima è quel casermone blu in fondo alla pista di atterraggio che sta custodendo in questi giorni i corpi dei fratelli morti nel naufragio della scorsa settimana. “È il grido di Dio verso la nostra indifferenza!” ci sussurra Don Franco Montenegro, vescovo di Agrigento. “Qui tra le viuzze strette – continua – vedrete i lampedusani che continuano a lasciare di notte i termos davanti i portoni delle loro case perché, se di notte ci sarà uno sbarco, i migranti potranno almeno bere un caffè o un the caldo. Qui vedrete la gente che apre le loro case per far fare la doccia ai fratelli o regalare una coperta: gli armadi qui sono sempre vuoti!”. Poveri che accolgono poveri. Non a caso appena la strada gira la prima curva dopo l’aeroporto trovi un filo elettrico dell’illuminazione pubblica che disegna BENVENUTI tra le casette.
 
La seconda immagine è il leggio realizzato con un timone e dei legni di barche naufragate, da cui Papa Francesco tre mesi fa ha invitato a piangere per tutti i nostri fratelli morti. Il leggìo si trova davanti la parrocchia di San Gerlando e ci ricorda che non può esistere Eucaristia senza immergersi nelle sofferenze dei nostri fratelli. “Questo è un esodo – continua Mons. Montenegro –: al posto del faraone ci sono le multinazionali che stritolano i paesi poveri con l’ingiustizia economica, anche qui c’è un mare da attraversare come il Mar Rosso e da questa parte c’è una terra promessa che non può rimandare indietro chi scappa dalla violenza e dalla fame. In Tunisia i centri di salute mentale sono intasati da chi viene rimpatriato e non riesce più a riprendere il filo della propria vita! Lampedusa per questo può essere il segno di un mondo nuovo. Iniziando a non parlare più solo in termini di emergenza, discutendo diversamente di immigrazione, pensando a come farsi prossimi”». Da qui l’impegno a pensare subito all’accoglienza, in modo evangelico, non emozionale e senza clamore (come testimoniato dal vescovo elemosiniere del papa, che è stato notte e giorno con i soccorritori senza rilasciare volutamente alcuna dichiarazione) e contemporaneamente a sviluppare il ruolo pedagogico e profetico della comunità cristiana perché altrimenti – lo sottolinea sempre don Franco –anche l’accoglienza può essere solo una facile scorciatoia!”.
 
Questa è la via che abbiamo intrapreso nella nostra diocesi, con l’accoglienza affidata alla generosità di volontari e comunità, con la riflessione che faremo negli incontri con Gianni Novello sulla globalizzazione dell’indifferenza, con cammini educativi come quelli di Avvento in cui vorremo portare davanti al Signore i “nomi” dei fratelli profughi, migranti o soli, per cammini di condivisione con cui testimoniare nella quotidianità lo stile di Dio.

Il Vescovo Stagliano’ lancia un appello: farsi “esploratori della misericordia”, “predicatori itineranti” aprendo i conventi chiusi, alla solidarietà

 A conclusione del Convegno Pastorale diocesano, il Vescovo di Noto, Mons. Antonio Staglianò ha esortato tutti gli operatori pastorali a farsi “Esploratori della misericordia” in un rinnovato atto catechistico e in una “predicazione itinerante”, per costruire insieme – Vescovo e Presbiteri – comunità di parrocchie realmente missionarie, capaci di esprimersi sulla scena della storia come porte aperte agli ultimi e alla solidarietà.
 
Il prelato netino ha invitato tutti a mettersi in ascolto obbediente agli appelli di Papa Francesco
 
Incarnando una nuova vivacità cattolica che lo stesso Pontefice sta “a poco a poco”, “pezzo dopo pezzo” riedificando, avviando di fatto una “rivoluzione” e “cambiamento”. Questo “vescovo di Roma” – ha detto Staglianò – “si affianca, si avvicina, telefona, risponde alle lettere, s’intrattiene, relativizza le forme e le formalità, punta all’essenziale, alla misericordia e all’amore concreto, per una Chiesa più povera e dei poveri, “ospedale da campo” nel quale curare le ferite di quanti sono afflitti, disperati, disillusi, vilipesi, offesi nella loro umanità, nella loro dignità di essere umani”.
 
 

In obbedienza a Papa Francesco – ha sottolineato il Vescovo – “apriamo i conventi chiusi, alla solidarietà” a cominciare dal Seminario diocesano

“Pensate al dramma di tante persone che giungono in questi giorni sulle nostre coste nella speranza di trovare qualcuno che non li rigetti in mare e li faccia morire. Pensate alle persone provenienti dall’Eritrea che l’altro ieri erano solo salme distese sulla nostra spiaggia di Sampieri o alla tragedia che si sta consumando a Lampedusa proprio in queste ore (centinaia sono i morti e i dispersi). A questo punto il Vescovo ha posto una domanda seria ed inquietante: che fare? E’ un interrogativo che dobbiamo porci come credenti in Cristo e dunque si formula così: che cosa Dio in Gesù ci chiede di fare? Vorremo allora con coraggio e profezia accogliere il monito del nostro amato Papa Francesco: “aprite i conventi chiusi” e testimoniate la solidarietà. Sì, abbiamo il coraggio di “aprire i conventi chiusi” – ha esclamato il prelato – : chiedo a tutti questo grande coraggio. Dobbiamo prepararci e meglio di quanto fino ad ora abbiamo fatto ad accogliere e comunicare, a testimoniare il vangelo come accoglienza della vita e fratellanza per la comune appartenenza alla specie umana.
 
Mons. Staglianò ha dunque chiesto ai suoi più stretti collaboratori di “adoperarsi per individuare sul nostro territorio diocesano “strutture di accoglienza” che appartengano alla Diocesi o alle famiglie private (ognuno di noi può essere un “convento da aprire” per qualcuno di loro), a cominciare dal Seminario diocesano di Noto che ha una grande ala ancora “chiusa e fatiscente”. Soprattutto però “attrezziamoci umanamente” per essere capaci di accoglienza fraterna, con amore e grande apertura di cuore, per dire a tutti e specialmente a questi nostri fratelli che Dio è Padre di Tutti, che in Gesù Dio è amore, solo amore”.
 
Desidero le “sentinelle” e gli “esploratori della misericordia”
 
Per questo il Vescovo si auspica che nella sua Diocesi nascano delle “sentinelle” e si costituiscano “esploratori della misericordia”. Per questo – ha proseguito Staglianò – la metafora dell’ospedale da campo proposta a noi dal Papa che ben interpreta il servizio del buon samaritano che la Chiesa deve incarnare. E’ necessario però che venga interpretata nella “spinta missionaria” che Papa Francesco sta imprimendo a tutte le iniziative delle Chiese locali. In realtà – ha posto l’accento il prelato – il “campo” è il mondo e dunque è il mondo, in ogni suo aspetto, in ogni sua dimensione (territoriale ed esistenziale) che va considerato. Questo spinge alla missione che qui vogliamo concepire come “esplorazione” del disagio e delle povertà, da individuare, da stanare, da scoprire (qualora fossero mascherate). La nostra Chiesa locale si dovrà dunque dotare, oltre che di sentinelle, anche di esploratori. Per questo – evidenzia il Vescovo – ho voluto in Diocesi le comunità di parrocchie che sono state pastoralmente progettate per questo: per sviluppare sinergia e comunione pastorale, ma soprattutto spinta missionaria verso le periferie esistenziali che oggi – consapevolmente o inconsapevolmente – invocano la nostra presenza affettuosa e misericordiosa.
 
Abbiamo bisogno di cristiani adulti, formati, – ha esclamato con determinazione il Vescovo – che siano capaci di assumersi responsabilità nell’evangelizzazione, perché anzitutto vogliono convertirsi da maestri in testimoni.
 
Il Vescovo Staglianò si augura che la Chiesa che è in Noto si renda capace di rinnovare l’atto catechistico. “Potremmo rinnovare l’atto catechistico in parte così: i nostri ragazzi potrebbero ricevere la catechesi dell’iniziazione cristiana dai genitori che si organizzerebbero anche nelle zone di una città (che sono pure poiché territorio umano, “parrocchia”). La parrocchia forma i catechisti per la famiglia e verifica quanto i genitori hanno fatto (mensilmente!) organizzando percorsi formativi nei quali stringere fortemente il legame tra insegnamento ricevuto e gesti testimoniali di carità solidarietà, amicizia, fraternità, comunione”.
 
Il catechista per Staglianò è la figura adulta del credente – non più semplicemente “collaboratore” dei parroci, ma “corresponsabile” dell’evangelizzazione. Abbiamo bisogno di adulti nella fede che mostrino al vivo (ecco il senso giusto della testimonianza) che questa buona notizia è vera perché si vede in loro. Penso in questa direzione tutti voi – ha affermato il Vescovo – vorrei convocare in una sorta di predicazione itinerante.