La parola del nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, ha aperto la XXXIX Settimana Teologica di Modica in una Domus S. Petri che ha registrato anche quest’anno una vasta e qualificata partecipazione. Si tratta, vale la pena sottolinearlo, di un appuntamento che – dal Concilio ad oggi – permette alla Chiesa netina e alla città di Modica il respiro di una forte ricerca di senso della vita e della storia, senza la quale tutto rischia di appiattirsi e di omologarsi alla mentalità dominante. “La teologia serve!”, ha detto con forte convinzione il Vescovo, ricordando che quella sala era stata il primo luogo della sua conoscenza della diocesi quando era venuto nel 2000 come teologo. La teologia serve per una fede adulta, e per questo pensata, e serve per la vita, per
leggerla in profondità. Come si è potuto verificare nello svolgimento delle tre sere. Durante la prima sera, don Corrado Lorefice (sostituendo Massimo Toschi, che non era potuto arrivare in tempo per lo spostamento dell’aereo in tarda serata), ha ripreso la lezione conciliare della Chiesa povera e dei poveri, chiarendo come l’eucaristia è fonte di rinnovamento anche politico per la forza che immette nella storia e come la “questione dei poveri” non è anzitutto una questione etica, legata a cosa fare, ma ontologica e teologica, legata a chi siamo come uomini e come cristiani. Con i poveri impariamo a rifiutare gli idoli del benessere e ritroviamo il valore della relazione, ad iniziare dalla relazione con Dio. Per questo la consapevolezza, per la prima volta esplicitata da papa Giovanni, di una Chiesa che sia anzitutto “povera e dei poveri”, e non solo “per” i poveri, richiede un “accrescimento attuativo”. Come quello del Sinodo diocesano netino, ripreso la seconda sera da Massimo Toschi come un evento di grazia per la Chiesa di Noto, che si è messa così in sintonia con lo stile stesso di Gesù. Una sintonia che colloca sulla linea della profezia, legata anzitutto alle vittime della storia, il cui sangue è più eloquente delle parole e ci invita ancora oggi ad essere accanto per scoprire cosa Dio ha da dirci. Come è potuto essere accanto lui Massimo Toschi, poliomielitico in carrozzella, partendo dai bambini, dalle vittime più innocenti, e potendo arrivare – con la sola forza della fede – a far curare dai medici ebrei i bambini palestinesi, innestando un meccanismo di riconciliazione. Che poi ha anche risvolti politici di grande respiro, come nel caso del Sud Africa che si è liberata dall’apartheid grazia alla capacità di Nelson Mandela e del Vescovo anglicano Desmond Tutu di aiutare a coniugare spiritualità e cittadinanza. Così il Vangelo viene proclamato nel suo modo più proprio: “dalla croce”, in cui continua a soffrire l’innocente, offrendo un messaggio che è “per tutti”, e in primo luogo per le vittime, ma anche per i carnefici chiamati a pentirsi e a ritrovare, nella richiesta di perdono, relazioni nuove. Quando poi la profezia prende corpo in figure esemplari come don Giuseppe Dossetti, Giorgio La Pira, don Lorenzo Milani, allora riceviamo parole che rinnovano la storia. Pensiamo al ruolo di Dossetti nella Costituente e al Concilio, ma anche come politico e come monaco. Pensiamo a La Pira che ha forgiato Firenze come città della pace, lui che veniva dal Sud. Pensiamo a don Milani che, da un luogo isolato e poverissimo come Barbiana, ha saputo dire la parola più seria sulla scuola che sia stata finora detta. E lui l’ha detto con la vita, contro ogni intellettualismo, preoccupato solo di dare la parola agli ultimi perché potessero riscoprire la loro dignità e chiarendo che il “fine vero della scuola è l’amore per il prossimo”! Anche in questo caso, Massimo Toschi ha invitato anzitutto a cogliere il segreto della profezia, ciò che l’ha reso possibile e che la rende possibile e doverosa anche per noi: una robusta vita interiore, una preghiera autentica che permette all’impossibile di diventare possibile. Certo, questo può farlo solo Dio, ma in Lui siamo chiamati a farlo anche noi, accettando di pagare per questo un prezzo. “Quando la grazia è data, è comunque data per intero e non va seppellita!”. Le parole provenivano da uno che in sedia a rotelle è stato più di quaranta volte nel mezzo di guerre e di ingiustizie per favorire processi di riconciliazione; le parole venivano dette con un racconto di sé che arrivava alla confidenza della persuasione che il suo prezzo alto pagato era stato la morte della moglie come era stata per Abramo, dopo la riconsegna di Isacco, la morte di Sara. Una Settimana teologica particolare quella di quest’anno, che ha lasciato nella diocesi e nella città un messaggio forte che invita all’autenticità e ad una speranza operosa e coraggiosa, speriamo anche contagiosa, senz’altro fonte di una vita bella.
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