I novant’anni di Mons. Nicolosi, padre conciliare e per ventotto anni nostro Vescovo

Lunedì 20 di Febbraio Mons. Nicolosi compie 90 anni di vita. La nostra Diocesi, convocata dal nostro Vescovo Mons. A.Staglianò, si raccoglierà attorno a lui in gioiosa preghiera in una Celebrazione Eucaristica che avrà luogo in Cattedrale alle ore 17,30. Così, attraverso un testo di don Stefano Trombatore, scopriamo le valenze di una ricorrenza per tutta la diocesi.
 
Novant’anni di un uomo. Un numero tondo dentro il quale è condensata una storia, vissuta per quasi metà nella nostra Diocesi.
 
Un uomo che ha dato una sterzata alla nostra chiesa locale, imprimendovi l’accelerazione rifondatrice dello Spirito del Concilio Vaticano II. Egli è da ricordare non solo come uno degli ultimi preziosi Padri Conciliari, memoria vivente di quell’evento epocale, ma soprattutto come l’uomo del post Concilio, essendo la fase essenziale della recezione da parte del Popolo di Dio impresa ancor più ardua e significativa dello stesso Concilio se si pensa a come esso, in diversi ambienti ecclesiali, rischi la marginalità, se non l’oblio. Con la sua sapiente guida la Diocesi è stata così ripensata a partire da due essenziali coordinate, quali la formazione di comunità vive fondate sulla mensa della Parola e del Pane, e l’apertura evangelica verso il territorio e la storia; con il suo discreto impulso essa ha potuto sperimentare l’accadimento altamente comunionale e innovatore del II Sinodo Diocesano, dove la Chiesa è stata esperienza, luce, profezia del futuro.
 
Un uomo certamente grande per quello che ha fatto, ma ancor più per ciò che ha sofferto, per come ha portato la sua parte del peso dell’umanità dolorante, del dulce pondus della Croce del Cristo. Mons. Nicolosi ha pagato per primo lo scombussolamento provocato dal vento impetuoso del Concilio, vedendosi svuotare il seminario di chierici e impoverirsi il presbiterio per l’abbandono di tanti preti (ben 25 in pochi anni), e pur tuttavia riuscendo a tenersi in piedi come Maria sotto la Croce e nel contempo a mostrare amorevolezza e comprensione per la vicenda individuale di ciascuno dei chiamati; ha sperimentato l’angoscia per il crollo improvviso della sua Cattedrale e parimenti l’infamia di venire rinviato a giudizio dalla Procura di Siracusa del tempo (poi prosciolto con formula piena) per quella rovinosa caduta, doppiamente vittima di errori altrui e dell’ingratitudine degli uomini, come si conviene al sacerdote di Dio, al discepolo di Cristo. E l’abbiamo visto, nuovo agnello, caricarsi in prima persona dei drammi della storia, prima che frutti luminosi di vita nuova si riversassero su di noi, segni del Dio benedicente. Non era per lui la gioia del raccolto, né la gloria di questo mondo. A lui spettava il travaglio oscuro della semina.
 
Mentre lo ricordiamo per ciò che ha fatto e ha sofferto, ci sovrasta la sua figura per quel che è per noi. Egli si è talmente immerso nella nostra storia, ha talmente sofferto per essa, scomparso per essa, peccatore con essa, da diventare la nostra storia, una cosa sola con noi, da rappresentare la nostra identità, così che non si possa pensare alla Diocesi di Noto senza pensare a lui, che non si possano progettare cose buone per essa senza rifarsi al suo insegnamento, alla sua persona.
 
A te, carissimo Padre e fratello di viaggio, la nostra stima e gratitudine; per te le nostre preghiere e le nostre manifestazioni di affetto affinchè ti accarezzino i colori tenui del tramonto e ti consegnino la dolcezza del Dio che viene, il cui volto splende come il sole al massimo del suo splendore (Ap 1,16).