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Mons. Salvatore Nicolosi: la carità e la benevolenza cuore pulsante della testimonianza!

Abbiamo stamani appreso con grande commozione la notizia della dipartita di Mons. Salvatore Nicolosi, Padre Conciliare e per ventotto anni Vescovo di Noto.
Un Padre! – è l’espressione più ricorrente con cui si sta esprimendo la riconoscenza e la consapevolezza di quanto grande è stato il suo episcopato, nell’impegno ad attuare il Concilio Vaticano II ma anche nello stile umano ed evangelico con cui ha aiutato la crescita non solo della Chiesa di Noto ma anche di questo territorio e di tante persone.
 
Uno stile che univa autorevolezza e affabilità, un’eredità preziosa ricca di tante opere (non ultima la Fondazione Madre Teresa da lui voluta per i malati, ma non possiamo dimenticare la forte convinzione con cui appoggiò l’inizio della Casa don Puglisi a Modica in tempi difficili e tante alte opere di carità in tutti i Comuni della diocesi).
 
Soprattutto, ha testimoniato ciò che oggi occorre di più: una autentica paternità, un servizio al Vangelo svolto con quella libertà e freschezza che ammiriamo in papa Francesco e che tante volte abbiamo potuto riscontrare in Mons. Nicolosi.
 
Ora insieme a tutta la Chiesa di Noto e a tanti uomini e donne di buona volontà che lo rimpiangono, lo affidiamo alla misericordia del Signore in cui ha tanto confidato.
 
E ci impegniamo a custodire e ad attuare il suo costante e convinto invito a fare della “carità il cuore pulsante della testimonianza”, come ebbe a dire nella lettera conclusiva del Secondo Sinodo diocesano. Sinodo da lui fortemente voluto per “riscoprire Gesù lungo le strade della vita”, ricordando che la Chiesa è comunione, che è fatta da tutti i battezzati ed è chiamata a guardare con simpatia ogni uomo e cercare con tutti la pace e la giustizia.

E’ morto oggi 10 gennaio Mons. Salvatore Nicolosi, Vescovo emerito di Noto. I funerali lunedì 13 in Cattedrale ore 16:00

Sua Eccellenza Mons. Antonio Staglianò, i Vescovi emeriti Mons. Giuseppe Malandrino e Mons. Mariano Crociata, Mons. Melchisedec Sikuli Vescovo di Butembo-Beni, il Presbiterio, i Diaconi e il Seminario Vescovile, annunciano che stamane alle ore 6,00 il Signore ha chiamato a sé nel giorno in cui la liturgia della Parola nella Celebrazione Eucaristica propone il suo motto episcopale: «questa è la nostra vittoria che ha sconfitto il mondo: la nostra fede» (1Gv 5,4)
 
MONS. SALVATORE NICOLOSI,
Vescovo emerito della nostra Diocesi,
all’età di 91 anni e 51 anni di episcopato
 
Riconoscenti per i suoi 28 anni di ministero episcopale, prodigato con paterna sapienza a servizio della nostra Comunità Diocesana sulle orme del concilio Vaticano II, essendone stato padre conciliare, lo affidiamo alla misericordia di Dio Padre ed eleviamo la nostra corale preghiera di suffragio per la sua anima.
 
Si invitano i fedeli a partecipare o a unirsi alla Veglia di preghiera sabato 11 gennaio alle ore 20,00 e alla Celebrazione Eucaristica di suffragio, concelebrata dagli Arcivescovi e Vescovi di Sicilia, insieme ai Presbiteri e Diaconi, lunedì 13 gennaio alle ore 16.00 nella medesima Cattedrale, dove da domani mattina verrà allestita la Camera ardente.
 
Biografia di Mons. Salvatore Nicolosi
 
Nato a Pedara (Catania) il 20/2/1922, viene ordinato sacerdote il 22/10/ 1944; Vescovo di Lipari il 25/3/1963; consacrato Vescovo il 21/4/1963 viene trasferito dal Papa Paolo VI alla sede vescovile di Noto il 27/6/1970. Entra ufficialmente a Noto il 28/8/1970. Ha guidato la Diocesi per 28 anni.
Ha promosso e condotto con determinazione e lungimiranza l’attuazione del Concilio Vaticano II, a cui partecipò da giovane Vescovo. È stato convinto assertore nel coinvolgimento attivo e responsabile dei laici.
Momento forte del suo lungo episcopato è stata la dettagliata Visita Pastorale alla Diocesi. Tra le tante realizzazioni pastorali, due storiche per la Chiesa netina sono state il gemellaggio con la giovane Diocesi di Butembo-Beni (Repubblica Democratica del Congo) siglato solennemente nella Cattedrale di Noto il 21 aprile 1988, in occasione del XXV della sua Consacrazione episcopale, e la celebrazione del secondo Sinodo diocesano (1995-1996).
Presentate le dimissioni per raggiunti limiti di età il 15/4/1997, S.S. il Papa Giovanni Paolo II lo nomina Amministratore Apostolico della Diocesi ad interim con Lettera del 19/6/1998. È divenuto Vescovo emerito il 19/6/1998. Sceglie di rimanere a Noto. Il 21 aprile 2013 alla presenza dei Vescovi di Sicilia ha celebrato nella Cattedrale di Noto il 60° anniversario episcopale.
 
 
 

Venerdì 10 Gennaio 2014. Incontro unitario dei catechisti, degli animatori della liturgia e della Caritas

 Venerdì 10 gennaio 2014 dalle ore 17 alle ore 20 presso l’Oratorio San Domenico Savio di Rosolini si terrà l’incontro unitario dei catechisti, degli animatori della liturgia e della Caritas, dei volontari di Centri di aiuto, Centri di ascolto e opere caritative per riflettere insieme, aiutati da fra Gaetano La Speme (ministro provinciale dei cappuccini, biblista e psicoterapeuta) su “come Gesù ci educa alla carità” e quindi per confrontarsi su come impostare rinnovati cammini di fede e carità nella quaresima e nel tempo pasquale. Nell’anno dedicato alla misericordia come cuore della vita di ogni giorno, si pensa ad una quaresima in cui la prima carità sia nei nostri rapporti, chiamati come siamo a testimoniare la qualità delle relazioni che scaturiscono dal Vangelo e che ci impegnano ad una continua riconciliazione. Una comunità che vive rinnovati rapporti sarà più capace di comunicare nel territorio la bontà e la bellezza di vita generata dal Vangelo: si pensa quindi al tempo pasquale come tempo di visita evangelica, di concreta esperienza di quell’andare nelle periferie con l’unzione di Cristo, a cui ci invita il papa e che ci fa attenti a tutti e ai poveri in particolare. L’incontro inizierà con la meditazione di fra Gaetano, quindi si avvierà un primo confronto insieme e successivamente in gruppi vicariali.
 

Concluso a Modica il convegno ‘La pittura di Orazio Spadaro nel Novecento modicano’

 L’Aula consiliare di Palazzo San Domenico ha ospitato  il convegno “La pittura di Orazio Spadaro nel Novecento modicano”, organizzato dalla Fondazione “Giovan Pietro Grimaldi” e dal Rotary Club di Modica, con il patrocinio del Comune di Modica e della Diocesi di Noto. Il convegno e l’annessa mostra, aperta fino al 12 gennaio a Palazzo Grimaldi (da lunedì a sabato, ore 9.00-13.00 e 16.00-20.00), intendono riscoprire e valorizzare una figura di artista da molti dimenticata.
Dopo i saluti istituzionali dell’assessore alla Cultura Orazio Di Giacomo, del presidente del Consiglio comunale Roberto Garaffa, del vicario generale della Curia vescovile di Noto mons. Angelo Giurdanella e del presidente del Rotary di Modica Roberto Falla, il convegno è entrato nel vivo con le relazioni degli studiosi, moderate dalla giornalista Marcella Burderi.
Ad aprire i lavori è stato Salvatore Maiore, direttore dell’Archivio storico diocesano presso la Curia vescovile di Noto. L’archivista netino ha compiuto un’analisi quantitativa e distributiva delle opere già censite del prete artista (oltre cento) che si trovano per l’80% tra Noto e Modica. I temi trattati -ciclo mariano, cristologico e vite di santi – ne fanno un’utile strumento di catechesi. Il relatore ha sottolineato, inoltre, la modernità di don Spadaro, capace di anticipare con il suo magistero di prete-artista, l’apertura post-conciliare della Chiesa all’arte contemporanea contenuta nel discorso di papa Paolo VI agli artisti (1964) che sancì un ritorno alla complementarietà di arte e fede. Maiore ha concluso l’intervento con quattro proposte e un auspicio: inventario delle opere dentro e fuori la diocesi, pubblicazione di un catalogo, mostra itinerante e percorsi dedicati in un “museo diffuso”, per poter valorizzare le opere dell’artista-sacerdote.
Gino Carbonaro, critico d’arte, nel suo intervento, ha tracciato un profilo biografico dello Spadaro, evidenziando le tappe della sua formazione artistica (Roma, Firenze, ecc.) e l’influsso che il movimento dei cosiddetti Macchiaioli, gli impressionisti di scuola italiana, ebbe sulle sue opere con la “scoperta” della pittura en plein air. Lo Spadaro “pittore della luce” emerge non tanto nei quadri di soggetto sacro dove i contenuti e le forme erano stabiliti dalla committenza e dalla tradizione, quanto nei bozzetti rurali, nei ritratti e nelle marine dove l’artista poteva esprimersi più liberamente e con maggiore originalità.
Paolo Nifosì, storico dell’arte, ha proposto una lettura iconografica delle opere dello Spadaro individuando, con l’ausilio di alcune diapositive, gli elementi di continuità e quelli di novità nel confronto con i referenti artistici che ispirarono i quadri del sacerdote pittore. Dall’analisi è emerso come l’artista non prediligeva una corrente particolare, ma si confrontava di volta in volta con i grandi maestri della pittura italiana ed europea, dai ritrattisti fiamminghi del Seicento ai Macchiaioli di fine Ottocento, dall’arte Preraffaellita alla pittura simbolista e floreale di alcune opere realizzate con lo stuccatore Sebastiano Giuliano. Un eclettismo pittorico, quello dello Spadaro, non esente da una certa originalità soprattutto nell’innovazione della gamma coloristica.
Andrea Guastella, critico d’arte, ha rilevato come un giudizio più chiaro della pittura del sacerdote modicano potrà aversi solo quando sarà stata completata la ricognizione delle opere di carattere sacro e soprattutto dei quadri da cavalletto, “invisibili” poiché custoditi da collezionisti privati. Proprio queste opere, dove le consegne della committenza erano meno vincolanti, potrebbero riservare, infatti, parecchie sorprese ai critici d’arte.
A tirare le conclusioni è stato Giuseppe Barone, storico e presidente della Fondazione Grimaldi. Nel suo intervento, lo studioso ha sottolineato come lo Spadaro, negli anni tra le due guerre, sia stato il maestro riconosciuto di una schiera di discepoli, tra cui si segnalano i fratelli Beppe, Enzo e Valente Assenza, ma anche Tanino Napolino, Giuseppe Malandrino e Giuseppina Frasca Spada. «Il suo atelier – ha concluso Barone – negli anni bui del fascismo divenne una scuola, una koinè e un cenacolo di artisti e intellettuali che tennero alta l’identità e le tradizioni culturali di questa città».

AVVISO PUBBLICO “MICROCREDITO PER L’AVVIO D’IMPRESA”

 Informiamo che dal 9 dicembre 2013 è pubblicato l’Avviso che disciplina l’accesso al Microcrocredito per avviare un’attività nei settori dell’artigianato, del commercio, dell’agricoltura, dell’industria, del turismo e dei servizi.
 
Il progetto è fruibile SOLTANTO per i residenti nella provincia di Ragusa ed è realizzato in collaborazione con la Diocesi di Ragusa e la Camera di Commercio di Ragusa e, pertanto, anche presso i loro Uffici è possibile ritirare l’Avviso e ricevere ogni utile informazione:
– Centro Servizi del Progetto Policoro, via Mons. Blandini 9, Noto. (Per appuntamenti chiamare 3401440956)
– Centro di Ascolto di Modica, Via Clemente Grimaldi, Modica, il mercoledì dalle ore 16.00 alle ore 19.00.
– Camera di Commercio di Ragusa, Segreteria Generale, Area 1 e 3, Piazza Libertà, 97100 Ragusa, dal lunedì al venerdì dalle ore 10.00 alle ore 12.00 e il mercoledì dalle ore 16.00 alle 18.30.

Modica. Quattro giornate di iniziative, dall’8 all’11 gennaio, sulla figura del Sac. G. Rizza a 30 anni dalla sua scomparsa

 Nella memoria collettiva modicana c’è una figura che certamente non è stata consegnata all’oblio. Si tratta del sacerdote Mons. Giuseppe Rizza, morto nell’epifania del 1984 e che a 30 anni di distanza dalla sua scomparsa continua ad essere oggetto di attenzione da parte della città di Modica e della comunità ecclesiale del Sacro Cuore. Ne sono testimonianza tutti gli eventi in programma dall’8 all’11 gennaio nella fascia orario che va dalle ore 18,00 alle ore 20,30, organizzati dall’associazione cristiana per la famiglia che porta proprio il nome “Sac. Giuseppe Rizza”, dal Consiglio pastorale della chiesa del Sacro Cuore, in collaborazione con l’ Ufficio Cultura della Diocesi di Noto e il Caffè Letterario “S. Quasimodo”, e con il patrocinio del Comune di Modica.
 
Le iniziative rievocative si snoderanno in quattro giornate. Si comincerà l’8 gennaio con la “giornata della spiritualità”, che vedrà l’apertura ufficiale degli eventi con una concelebrazione presieduta dal vescovo emerito di Noto Mons. Giuseppe Malandrino il quale ebbe come prefetto il sacerdote Rizza, e si proseguirà il 9 gennaio con la “giornata della testimonianza”, che prevede una celebrazione eucaristica con gli interventi di persone che lo hanno conosciuto da vicino, apprezzandone lo stile e la spiritualità.
 
Un altro momento importante nel quale sarà focalizzata l’eredità morale, spirituale e religiosa del sacerdote Rizza sarà la “giornata della riflessione teologica”, dedicata alla presentazione della ristampa del libro a lui dedicato e dal titolo “Il Padre, l’amico e il fratello” , pubblicato dal sottoscritto nel 1986, ove si trovano delineati gli aspetti più rilevanti della sua figura e del suo impegno sacerdotale e civile. All’incontro interverranno don Ignazio Petriglieri, vicario per la cultura della Diocesi di Noto, il sindaco di Modica Ignazio Abbate, l’attore Giorgio Sparacino che mosse i primi suoi passi artistici proprio sul palco del salone parrocchiale, e il musicista Corrado Cannizzaro che eseguirà brani musicali con la fisarmonica, strumento che suonava lo stesso Giuseppe Rizza.
 
L’evento culminante sarà quello dell’11 gennaio, dedicato alla “giornata della famiglia” con un convegno sul tema “Essere genitori oggi: missione impossibile?”, al quale interverranno don Stefano Modica, Direttore dell’Ufficio cultura della Diocesi di Noto , il presidente dell’associazione cristiana per la famiglia “sac. G. Rizza,prof. Giuseppe Giannì, e il sacerdote Armando Matteo, docente di Teologia Fondamentale presso la Pontificia Università Urbaniana di Roma.
Di umili origini, Giuseppe Rizza nacque a Modica il 28 ottobre 1922 in una famiglia molto religiosa e fu il dodicesimo dei tredici figli venuti alla vita. Con l’appoggio incondizionato della madre, dopo la scuola elementare continuò gli studi nonostante il parere contrario del padre e di alcuni fratelli che volevano si dedicasse al lavoro dei campi. Dimostrò sempre volontà e intelligenza, che gli permisero di proseguire nello studio in maniera brillante e di superare tutte quelle difficoltà che il vivere in campagna comportava, come il raggiungere ogni giorno a piedi prima la scuola elementare ed in seguito la casa del professore Parroco Palazzolo, sita in Modica Alta.
Nel 1934 Giuseppe Rizza entrò in seminario, dove si fece apprezzare per equilibrio, bontà e rettitudine tanto da essere quasi sempre preposto dai superiori come “prefetto” con compiti di responsabilità. Qui curò, come risulta dai suoi vari appunti dell’epoca, in maniera precipua la sua vita spirituale, dedicandosi altresì con impegno e assennatezza allo studio.
 
Il 29 giugno del 1947 fu consacrato sacerdote da Sua Eccellenza Mons. Angelo Calabretta e fu subito assegnato al Piccolo Seminario di Modica, nella qualità di Direttore: una non piccola responsabilità, se si pensa che allora Modica era un vivaio di vocazioni e il Piccolo Seminario era il primo vaglio dei candidati al sacerdozio, la prima esperienza di vita seminaristica. Furono sette anni di dedizione esemplare, che diedero alla Diocesi netina frutti consolanti.
Nel 1954 venne affidata a Don Giuseppe Rizza la chiesa del S. Cuore. Era una piccola parrocchia di campagna che accoglieva villeggianti del centro modicano e per la cui erezione nel 1931 si costituì un piccolo comitato formato dalla famiglia del dott. Giorgio Galfo, dalla famiglia Floridia e dalle famiglie Galfo e Trombadore, Odierna e Micieli. Il comitato operò una sottoscrizione per raccogliere i fondi necessari per l’erezione della parrocchia, sottoscrizione che diede il risultato £. 29.378.
 
Nel dicembre del 1929 venne a Modica l’ingegnere del Vaticano, Mons. Chiappella, per occuparsi della costruzione della casa canonica e di una piccola chiesa; nel giugno del 1930, poi, il Vescovo Vizzini venne a Modica e, convocato l’antico comitato, diede la lieta notizia che di lì a poco si sarebbero potuti iniziare i lavori. Intanto bisognava procedere subito alla compera del suolo; ecco allora il comitato mettersi all’opera: la sera del 23 giugno, alle ore 21, Padre Celestino poteva fare il compromesso per £. 4000 dinanzi al notaio avv. Ignazio Stella. Così il 4 luglio 1930, Sua Eccellenza Mons. Vizzini, vescovo di Noto, poteva benedire la prima pietra alla presenza di tutte le autorità civili e militari.
Il 10 Novembre del 1931 la Chiesa fu completata e il 15 dello stesso mese veniva benedetta e vi si celebrava la prima S. Messa. In questa chiesa don Giuseppe Rizza non mancò, nella buona e cattiva salute, di profondere per 30 anni tutte le sue energie, vedendone crescere in maniera esponenziale il numero dei residenti che dal centro storico si spostavano verso il quartiere Sorda.
 
Dunque nella prima metà del ‘900 il sacerdote Rizza diventa testimone dei profondi mutamenti demografici, sociali, culturali, urbanistici del quartiere Sorda di Modica, e dal 1954 sino alla fine degli anni ’80 dovette affrontare non pochi problemi pastorali per raccogliere attorno al campanile giovani, bambini e famiglie che si trasferivano dagli altri quartieri della città. Un suo cruccio fu proprio la ristrettezza delle strutture parrocchiali e l’impossibilità di accogliere nella piccola chiesa il consistente esodo dalla zona alta e bassa della città di Modica.
 
Tutte le testimonianze, ecclesiali e non, raccolte nel volume “Il Padre, l’amico e il fratello” convergono in maniera singolare nel delineare una figura di sacerdote che mai fu sfiorato, specie nel periodo della contestazione del ’68 e agli inizi degli anni ’70 quando parecchi sacerdoti della diocesi netina lasciarono il sacerdozio, dalla tentazione della disobbedienza e dell’abbandono dell’abito sacerdotale, né offri il fianco al vento delle ideologie e delle mode del tempo che tendevano ad operare un’ emancipazione dalla fede; al contrario rimase come terra ferma, continuando ad essere un sacerdote fedele fondato sulla roccia della fede. Del resto, la sua vita seminaristica era stata sempre caratterizzata dal desiderio di diventare sacerdote e i suoi scritti giovanili testimoniano con chiarezza come ci fosse in lui l’ardore di diventare sacerdote santo e il tormento interiore di riuscire nella sua missione piacendo a Dio in tutto.
Nel pieno della sua attività pastorale il sacerdote Rizza non fu risparmiato da critiche per il fatto che non si schierò a fianco di alcuni teologi e preti innovatori sulla scia del Concilio Vaticano II. In realtà egli non fu per nulla un prete anticonciliare, anzi seguiva il Concilio soprattutto nelle sue proiezioni pastorali che cercavano di mettere al centro la nuova evangelizzazione delle famiglie, tant’è che la sua parrocchia divenne un primo esempio di aggregazione di famiglie cristiane.
 
Lontano da forme di ideologizzazione della fede, era abituato a vivere nella preghiera e nel nascondimento, non amava atteggiamenti da prima donna e la caratteristica dei suoi insegnamenti era sempre “la semplicità”, una semplicità che si articolava entro dimensioni espositive non di certo superficiali o prive di supporti di riflessione, ma, anzi, ben coordinate e saldate nell’ armonia di un discorso fedele ai dettami biblici e alle loro relative implicazioni esistenziali, radicato nella Tradizione e attento alle direttive della Chiesa magisteriale. Era, in sostanza, una semplicità che nasceva in lui dalla preoccupazione, a volte anche eccessiva, di mettere i suoi parrocchiani, i membri più vicini alla comunità, i catechisti, le famiglie, i più umili, gli artigiani e i lavoratori nelle condizioni di poter capire e accogliere il Kerigma cristiano con estrema facilità.
 
Il suo linguaggio era quindi volutamente scarno perché mirava all’essenziale e alla enunciazione dei concetti primari della fede cristiana. Sotto questo aspetto i suoi insegnamenti riuscivano a calarsi nella realtà sociale perché scaturivano da quella sua paternità spirituale umile, semplice e sincera, riuscendo a determinare uno scavo interiore nel cuore dei fedeli.
 
Di questo sacerdote sono rimaste molte tracce di testimonianze che possono sintetizzarsi in alcune frasi: “Uomo di preghiera e di ricca vita interiore”(Padre Francesco Vinci); “Testimone di vita sacerdotale”(Suore benedettine di Sortino); “Parroco fondato su solide basi”(Padre Callisto, cappuccino).E ancora, le parole di alcuni cittadini della zona Sorda: “Padre Rizza è stato il sacerdote della mia vita”; “Ha costruito al Signore un tempio vivo, spirituale”; “Era un sacerdote completo: dolce, umano, di una linea pastorale unica”; “Ci ha guidati a saper leggere la nostra vita in chiave cristiana”.
 
Molte anche le testimonianze di altri sacerdoti, religiose e di coppie:“Formatore dei futuri sacerdoti, pastore operoso”(Padre Francesco Viola); “Il fratello di tutti”(Mons. Matteo Gambuzza”); “Sacerdote di profonda vita spirituale e di eccezionale equilibrio”( Giorgio ed Enza Collemi); “La sua serena parola di fiducia e di forza(avv. Elio Ripoli, Roma); “Ci metteva in rapporto di amicizia con Dio”(Salvatore e Maria Bono); “Servo fedele, amava il sacerdozio”(Madre Rosa Graziano, vicaria generale della Congregazione Figlie del Divino zelo- Roma).
 
Ecco, in queste testimonianze si trova la chiave di lettura del sacerdote Rizza, un prete della gente e per la gente, un parroco del popolo e per il popolo, un sacerdote che ha conquistato il cuore dei più semplici, degli anziani, dei bambini, delle famiglie, dei giovani, degli operai e che nella sua vita ebbe solo una aspirazione: vivere pienamente il sacerdozio cercando di fare di se stesso un “alter Christus”.
 

POZZALLO. 110° ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI GIORGIO LA PIRA. Dal 7 al 9 GENNAIO 2014: “L’attesa della povera gente“

La Diocesi di Noto, il Vicariato di Pozzallo, il Comune di Pozzallo e di Firenze, l’Associazione per la gioventù Giorgio La Pira, il servizio di Pastorale giovanile vocazionale diocesano insieme ad altri organizzano dal 7 al 9 Gennaio prossimo il 110° anniversario della nascita di Giorgio La Pira che aprirà i battenti il 7 gennaio con una concelebrazione eucaristica presieduta da S.E. Mons. Armando Dini, Arcivescovo Emerito di Campobasso e Bojano. A conclusione della celebrazione eucaristica verrà presentato il progetto “Lampada della pace in Terra Santa”. A seguire vi sarà la consegna e l’accensione della “Lampada della pace in Terra Santa” che sarà posta sul fonte battesimale dove è stato è stato battezzato Giorgio La Pira.
l’8 Gennaio alle ore 17.00 dalla Chiesa San Giovanni Battista al Porto di Pozzallo si terrà la marcia per la fratellanza e l’amicizia dei popoli.
 
Il 9 Gennaio alle ore 10,00 presso lo spazio cultura “Meno Assenza” si terrà un incontro per gli studenti dal tema: “La crisi economica in atto: prospettive e soluzioni“; introdurrà il Prof. Carmelo Nolano dell’Associazione per la gioventù Giorgio La Pira, i relatori che interverranno sono: S.E. Mons. Armando Dini, il Prof. Piero Roggi, Università di Firenze, la Prof.ssa Monika Poettinger, Università Bocconi di Milano, mentre Interveranno: la Dott.ssa Cristina Giachi, l’ Assessore all’educazione del Comune di Firenze, Don Lorenzo Paolino, Responsabile per la Toscana Caritas di Gerusalemme.
 
Nel Pomeriggio del 9 Gennaio alle ore 18.00 presso lo Spazio Cultura “Meno Assenza“, si terra un Convegno dal tema: “L’attesa della povera gente“, introdurrà i lavori Don Vincenzo Rosana, Parroco della Chiesa Madre Madonna del Rosario, mentre a presiedere il Convegno sarà il Dott. Michele Palazzolo, Giudice presso il tribunale di Ragusa.

Relazioni:
– La spiritualità di Giorgio La Pira
S.E. Mons. Armando Dini, Arcivescovo Emerito di Campobasso e Bojano
 
– L’economia per Giorgio La Pira
Prof. Piero Roggi, Università di Firenze
 
– La povera gente e le sue attese per l’economista Amartya Sen
Prof.ssa Monika Poettinger, Università Bocconi di Milano
 
Interventi:
Luigi Ammatuna, Sindaco di Pozzallo
 
Conclusioni:
S.E. Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto

“La pittura di Orazio Spadaro nel Novecento modicano”, una mostra-convegno. La Fondazione Grimaldi celebra il prete-artista modicano

“La pittura di Orazio Spadaro nel Novecento modicano” è il titolo di un convegno e di una mostra, organizzate dalla Fondazione Giovan Pietro Grimaldi con il patrocinio del Comune di Modica, della Diocesi di Noto e del Rotary Club, per celebrare la figura del prete artista (1880-1959) autore di pregevolissime tele di soggetto sacro e profano che oggi abbelliscono chiese e palazzi di Sicilia.
 
Il convegno, previsto per sabato 21 dicembre alle ore 16,30 nell’aula consiliare del Comune, dopo i saluti del sindaco Ignazio Abbate, del presidente del Rotary Club Roberto Falla e del presidente della Fondazione Grimaldi Giuseppe Barone, vedrà gli interventi degli storici dell’arte Gino Carbonaro, Paolo Nifosì e Andrea Guastella e dell’archivista della Diocesi di Noto Salvatore Maiore. Coordinerà i lavori la giornalista Marcella Burderi. Le relazioni affronteranno i nodi storico-artistici, ponendo le basi per un primo censimento e catalogazione delle opere del canonico. A seguire, a Palazzo Grimaldi sarà inaugurata (ore 19,30) una mostra con oltre cinquanta opere dello Spadaro, tra riproduzioni e originali provenienti da collezioni private.
 
La mostra, aperta fino al 19 gennaio, osserverà i seguenti orari: dal lunedì al sabato, ore 9.00-13.00 e ore 16.00-20.00 (chiusa il 25, 26 dicembre e 1° gennaio).
 
Orazio Spadaro, terzo di nove figli, iniziò a dipingere da autodidatta. Dopo gli studi teologici nel seminario di Noto e l’ordinazione a sacerdote nel 1906, perfezionò la propria arte a Roma, Firenze, Venezia, Milano, Padova e Bologna, studiando le opere dei grandi maestri della pittura italiana del secondo Ottocento. Fu allievo di alcuni tra i maggiori artisti dell’epoca, come Aristide Sartorio, Francesco Paolo Michetti, Antonio Mancini, Giovanni Segantini, Domenico Morelli e altri. Dipinse opere di soggetto sacro, ma anche ritratti, nature morte e scene agresti ispirate alla campagna modicana. Nel 1924, su invito della nobildonna Grazietta Castro Grimaldi, sua protettrice e mecenate, il prete-artista si trasferì nella chiesetta rurale di Pozzo Cassero dove poté dedicarsi con maggiore impegno ai suoi quadri, immerso nel verde e nella tranquillità della campagna. Numerosi i giovani che uscirono dalle sua “bottega”: i nipoti Beppe, Enzo e Valente Assenza, Tanino Napolino e altri. Morì a Modica nel 1959.
Maggiori dettagli sull’iniziativa saranno forniti in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’evento che sarà convocata nei prossimi giorni.
 
 

Video messaggio di Natale del Vescovo Staglianò alla Diocesi

 
 
Dov’è tuo fratello?
Usciamo dalle nostre abitudini per annunciare sulle strade degli uomini e delle donne del nostro tempo la gioia del Vangelo
 
Carissimi figli amati della Chiesa di Noto,
fratelli e sorelle in Cristo Signore,
padri e madri che abitate il nostro territorio diocesano, col desiderio di testimoniare la fede e di annunciare il Vangelo che salva e libera le nostre esistenze dai falsi idoli della odierna società del consumo, donando la vera gioia del sentirci felicemente umani, secondo il progetto di Dio su di noi. Dio viene, Dio avviene in Gesù, diventa nostro compagno di strada. L’Avvento è attesa e preparazione, perché – venendo Dio nelle nostre vite, nelle nostre case, nei nostri affetti, nelle nostre solitudini e afflizioni, nei nostri desideri di bene, di giustizia e di amore – noi possiamo accoglierLo, riceverLo con dignità e farci istruire da Lui sull’essenziale che ci riguarda: l’amore che vorremmo ricevere in abbondanza e donare senza misura.
 
“Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per Maria i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c’era posto per loro nell’albergo” (Lc 2,6-7).
 
Il viaggio della vita è faticoso, lo so. Molto più faticoso, a volte, di quanto le nostre spalle possano sopportare. Smarriti nel cuore, abbiamo l’impressione di restare sempre al punto di partenza, incastrati in una identità che non è quella che vogliamo, annaspando alla ricerca di risposte immediate all’incessante infelicità che incombe su di noi e che sembra perseguitarci, dimenticando la nostra vocazione ad essere uomini dell’attesa capaci di fede nel grande Re che nasce piccolo bambino e che pur giacendo ancora nel presepe regna già in cielo e sulla terra. Smarriamo così la nostra vocazione ad essere capaci di obbedienza attenta alla parola di Dio, consapevoli che la nostra fedeltà permetterà a chi verrà dopo di noi di ricevere l’eredità di salvezza dalla morte e dal peccato donataci da Gesù, “via santa attraverso la quale ritorneranno i riscattati dal Signore ed entreranno in Sion con grida di gioia”.(Is 35,10)
In questa ottica, ognuno di noi è chiamato ad intraprendere il viaggio verso Betlemme, qualunque cosa comporti, alla ricerca di un angolo di Amore nella mangiatoia della nostra storia. Proprio in quell’angolo, il volto spaurito degli oppressi, le membra dei sofferenti, la solitudine degli infelici, l’amarezza di tutti gli ultimi della terra, possono trovare “riposo”, attraverso l’esperienza di spazi concreti di solidarietà, accoglienza e comunione.
Capita a tutti, infatti, di attraversare momenti di estrema difficoltà, di profondo disagio, di radicale debolezza. Sono i momenti in cui il disorientamento e lo scoraggiamento s’impossessano di noi, a tal punto da convincerci che esistere sia insopportabile. Allora, la morte si presenta come l’attesa e il desiderio più naturale di una vita nella quale avvertiamo di essere privati dei diritti più elementari di giustizia umana e di equità sociale. Così, talvolta, taluni, non avendo nulla da perdere – se non la miseria e l’abbruttimento che si vive quotidianamente, in preda allo scoramento-, tentano il tutto per tutto, anche a costo dell’annientamento della vita.
Ora, è vero, tutti hanno diritto alla felicità e alla serenità, a quegli attimi di normale esistenza, nei quali poter guardare i propri figli giocare e sorridere, senza temere di non poter dar loro sostentamento, di perdere la casa perché non abbiamo pagato il mutuo, di morire perché ci siamo irrimediabilmente ammalati, di rimanere disoccupati dopo lunghi anni di studio, di dover scappare dalla nostra terra dove c’è soltanto fame e guerra alla ricerca di un paese che ci accolga e ci consideri finalmente “figli di Dio” e non bestie da macello in un mercato asettico e omologante.
Nel tempo di Avvento gustiamo di più l’esperienza di un Dio che si fa uno-di-noi e, per questa Via, (è Gesù, la Via della Verità che conduce alla Vita) chiede a noi d’essere immedesimati nelle vicende di tutti, facendole effettivamente nostre. Siamo dunque “Noi” – per questa immedesimazione natalizia – che, assaliti da un dolore indicibile, c’imbarchiamo allo sbaraglio sulle zattere del salto nel buio diretti verso mete dove ancora sia possibile respirare e sperare. Tanti si perdono per strada abbagliati dalle effimere luci d’ingannevoli felicità, numerosi sono inghiottiti dall’oscurità delle acque profonde della depressione, della disperazione, incapaci di credere ancora nel miracolo della vita. Altri intraprendono rassegnati viaggi senza ritorno, alla fine dei quali nessuno ricorderà più il loro nome, chi sono stati, cosa cercavano, quale è stata l’ultima parola che hanno pronunciato, così come in vita, travolti inevitabilmente anche nella morte, dall’oscurità dell’indifferenza e dell’isolamento.
Sì, fratelli e sorelle carissime, lo dobbiamo ammettere, aprendo gli occhi del cuore: è facile diventare preda dello sconforto quando prendiamo soltanto batoste, quando bussiamo alle porte dell’amicizia in cerca di riparo, di una parola di conforto, di un semplice gesto di affetto, di comprensione e troviamo soltanto il silenzio assordante del vuoto di sentimenti. E’ quasi istintivo entrare nello scoramento quando la politica, le istituzioni non ci guardano per quelli che siamo – risorse umane per la costruzione di un futuro migliore e giusto-, ma piuttosto come dei ”problemi da risolvere”, “dei numeri da far quadrare” calpestando la bellezza ineffabile dell’universo e delle creature di Dio alle quali deve essere garantito il diritto a una vita qualificante e sostenibile. In questo triste scenario, ormai all’ordine di ogni giorno, mi chiedo quanti di noi siano veramente pronti ad accogliere Dio! O lo lasciamo nell’angolo di un vago sentimentalismo senza impegno, senza cuore e senza ospitalità sincera? Mi domando, ancora quanti abbiano tempo e spazio per Lui che si manifesta continuamente ai nostri occhi ed ha il volto dei disagiati, degli sfollati, dei drogati, dei poveri, degli ammalati, degli immigrati, dei profughi della terra!
Restare emozionati nell’addio ai tanti che non ci sono più o accennare un tiepido dispiacere per quanti vivano condizioni di disagio, non basterà a lavarci la coscienza dal sangue degli innocenti morti o sofferenti a causa della nostra indifferenza, della superficialità delle istituzioni, della sordità della politica. Ancora è forte (e mai si sopirà) il loro grido di dolore, le loro urla di paura, le loro richieste di aiuto, il loro terrore andando incontro alla morte fisica e morale. Eh, sì, fisica e morale, perché si può morire in tanti modi, si può esistere ed essere morti dentro, si può respirare, ma affogare nella disperazione. Ed è proprio in questi casi che emergono imbarazzanti le incongruenze tra il nostro professarci, a parole, cristiani e il nostro agire nel quotidiano, talvolta “come lupi”. Papa Francesco lo ha proclamato, con grande semplicità (come solo Lui sa fare) e con altrettanta chiarezza (per chi ha orecchi per intendere). Lo fa ogni giorno con la testimonianza dei suoi gesti di vicinanza e di amore per i più poveri e i più afflitti. Lo ha anche fatto a Lampedusa. Sarebbe più giusto soffermarsi, allora, a pensare che si può uccidere il fratello in diversi modi soprattutto quando siamo incapaci di abbandonare i recinti delle nostre sicurezze, i calcoli cinici dei nostri egoismi, le lusinghe dei nostri patrimoni economici, la superbia delle nostre conquiste, per andare incontro ai nostri fratelli che come “Gesù bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia” restano indifesi, al freddo, al gelo, avviliti dalla miseria fisica e morale, sfiancati dalle nefandezze di un quotidiano che li vuole eternamente sconfitti. La parola, la luce, racchiusa in quel bambino, viene di notte nella povertà della grotta di Betlemme.
Gesù nasce povero a Betlemme per indicarci la ricchezza della fede come unica strada che generi speranza, confermando che si può cambiare vita solo se impariamo a essere più sobri, più solidali, più fraterni. Dobbiamo convincerci tutti (il vostro Vescovo per primo) che le vere novità sono possibili solo con sentimenti profondi, capaci di veri gesti solidali di amicizia e di fraternità, mediante esperienze non superficiali, avendo uno sguardo nuovo sulle persone che ci stanno accanto, per cogliere in loro qualcosa di diverso e di bello, alla fine – per noi cristiani che viviamo l’Avvento-, per riconoscere in loro il volto stesso di Cristo che viene. Dunque, come stiamo ripetendo da qualche tempo: non più solo sentinelle della carità, ma anche esploratori della misericordia. Sarà necessario guardare le cose con la luce di un sorriso, con la tensione di una fiducia, che sa vedere anche nel “brutto del presepe” qualcosa di bello non avvertito prima: si scorge così la Perla della vita tra le lacrime della storia, contemplando la presenza di Gesù in mezzo a noi anche quando arriva la notte. L’amore (lo sapete voi più di me), diventa grande e vero soltanto quando supera l’emozione, quando costa, quando diventa sacrificio, cioè rende sacro ciò che ama. L’Amore diventa grande e vero soltanto quando si traduce in comportamenti di amore senza condizioni, nella consapevolezza che le cose che ci accadono non siano mai fini a se stesse, o senza un senso: ogni incontro, ogni piccolo evento racchiude in sé un significato che ci riguarda intimamente. Perciò, la comprensione di se stessi nasce dalla disponibilità ad accogliere l’Evento, dalla capacità in qualsiasi momento di cambiare direzione, lasciare il vecchio sentiero per andare a Betlemme, guidati da una stella, convinti, non solo a parole, che Gesù sia la ragione per cui vivere e che il Natale sia l’attimo eterno di Amore di Dio verso il suo popolo, il tempo vero che cambia a fondo tutte le cose.
 
“Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: «Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere»” (Lc 2,15)
 
Andare a Betlemme in quest’ottica diventa l’indicazione per l’unico cammino credibile. E’ il cammino di chi sa dove vuole andare, di chi ha una meta precisa, di chi ha scelto Gesù ed ha capito che senza di Lui non può vivere: non è una questione di cammino materiale, con le gambe, è un cammino che deve fare il cuore, la mente, l’affetto. Camminare verso Gesù vuol dire desiderare di incontrarLo, di conoscerLo, di volerGli bene, di seguirLo, di imitarLo. E’ un cammino in salita, un cammino che ti pone davanti tutto ciò che non si vorrebbe mai vedere, un cammino senz’altro impervio per noi che siamo chiusi saldamente nel nostro egoismo e nella nostra diffidenza. Mettersi in cammino vuol dire, quindi, scegliere in maniera inequivocabile la meta, non andare a spasso: la nostra meta è Gesù.
Papa Francesco nella sua recente Esortazione apostolica Evangelii Gaudium (La gioia del Vangelo) conferma e rilancia quanto con insistenza ha proclamato in questi primi mesi del suo servizio a tutta la Chiesa cattolica in quanto “vescovo di Roma”: andiamo oltre il recinto e inoltriamoci nei pascoli della vita degli uomini e delle donne del nostro tempo; abbandoniamo le nostre sicurezze (“dalle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli”) e inoltriamoci sulle strade degli uomini di oggi, raggiungendoli nelle loro “periferie esistenziali”; poiché Gesù sta alla porta e bussa, ma dal di dentro del nostro cuore, delle nostre famiglie, delle nostre chiese e vuole uscire, insieme a noi, a portare “per le strade del mondo” la gioia del Vangelo, la felicità che sgorga dall’incontro con Gesù che per primo viene per incontrarci e lasciarsi toccare, per sanare, liberare, purificare, renderci pienamente umani; perciò la Chiesa tutta è “in uscita missionaria”, con le porte aperte, capace di parlare al mondo, esperta com’è in umanità.
 
Siamo chiamati a lasciare tutto alla ricerca della fragilità e della miseria di quel Bimbo. Dovremo stare attenti e vigilanti per riconoscere il tempo della Sua visita, in qualsiasi modo essa accada: nella consapevolezza, però, che scegliere il percorso giusto significherà inevitabilmente “sporcarsi le mani”, scorgere la presenza del Dio Bambino nel volto di chi mi sta accanto, di chi soffre, di chi è solo, di chi è povero. Potremo allora scoprire – per noi, per la nostra Diocesi-, cosa concretamente significhi quanto Papa Francesco dice di preferire in Evengelii Gaudiumi al numero 49: “preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze […] Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita”. Perciò: “Usciamo, usciamo ad offrire a tutti la vita di Gesù Cristo”.
Accogliere il fratello come un dono, non come un rivale, non come un pretenzioso che vuole scavalcarmi, un possibile concorrente da tenere sotto controllo perché non mi faccia le scarpe. Accogliere, quindi, il fratello con tutti i suoi bagagli, essere comunità che accetta le diversità dell’altro e le integra in un ambiente di sacra famiglia. Gesù chiede a tutti di superare certo buonismo che trapela nella frase “a Natale si è tutti un po’ più buoni”. E’ bello essere “buoni”, ma come Gesù vuole, cioè con un serio impegno a vivere intensamente i valori e le virtù della misericordia, dell’accoglienza, del rispetto reciproco. Dobbiamo, infatti, convincerci che – di fronte alle moltitudini, carenti di tutto, affamate, indigenti, abbandonate e afflitte dalla solitudine-, sia grave la responsabilità di un cristianesimo fin troppo accomodante e troppo poco coerente. “Se uno ha ricchezze di questo mondo e vedendo il proprio fratello in necessità gli chiude il proprio cuore, come dimora in lui l’amore di Dio?” (1 Gv 3,17).
In questa direzione, Papa Francesco azzarda “ad occhi aperti” il sogno di una Chiesa povera e dei poveri. Vorremmo poterlo seguire in questo sogno, nella speranza di non sognare (noi) “ad occhi chiusi”. E’ per questo che ho inteso accogliere, nell’obbedienza della fede, il monito del Papa ad aprire i “conventi chiusi” ai nostri fratelli immigrati: aprire le nostre strutture alla solidarietà. Fino ad ora è stato possibile fare qualcosa, lavorando soprattutto su “piccole strutture”, messe a disposizione da alcune comunità di suore. Tuttavia, le nostre “grandi strutture” resteranno veramente e concretamente disponibili per fronteggiare la futura emergenza. Apprezzo per altro il gesto di qualche sacerdote che ha manifestato il desiderio di collaborare anche con la propria parrocchia, mentre attendo dai vicari foranei la “mappatura” delle piccole o grandi strutture che potrebbe risultare “preziose” allo scopo della manifestazione della nostra solidarietà e accoglienza. Sono però i nostri cuori chiusi che dovremo aprire e insieme ai cuori anche le nostre case. Il Vescovo deve dare l’esempio per tutti e, perciò, ho chiesto ai miei collaboratori stretti di immaginare la possibilità di ospitare anche nella foresteria dell’episcopio qualche famiglia che si trovi in particolare disagio (fosse anche qualche “famiglia” nostra, specialmente bisognosa).
 
“Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore” (1Gv 4,8)
 
É un cambiamento di rotta radicale, che porta dritto al cuore del Cristianesimo i nomi propri delle persone e non le loro generalità anagrafiche, i volti concreti della gente e non delle immagini, il prossimo “in carne e ossa” con cui confrontarsi e non tante delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi.
Non è il Cristianesimo del “a Natale si può dare di più”, del “a Natale bisogna essere più buoni”, della classica buona azione: come aiutare la vecchina sulle strisce pedonali, inviare un sms del valore di due euro a qualche sconosciuta fondazione che, però, si occupa – parola magica – di bambini, o acquistare una stella di Natale per il villaggio dell’Africa dal nome impronunciabile (in fondo, un vero affare: poca cosa, minimo tempo perso, spesa, tutto sommato, limitata!).
E’ il Cristianesimo, invece, di chi non si accontenta di essere buono solo a Natale, ma in ogni istante della propria esistenza diventa compagno, amico, fratello di tutti i poveri del mondo. Perché, come dice san Giovanni della Croce, “alla sera della vita quello che conta è aver amato”. E’ il cristianesimo di chi può affermare: “Sì, io so dov’è mio fratello, lo so perché prego per lui, condivido con lui quello che posso e nelle mie scelte quotidiane lo porto sempre nel cuore”. Andiamo con speranza a Betlemme, andiamo a vedere il mistero stupendamente buono di chi ci ama instancabilmente e ci cerca soprattutto a partire dalla miseria della mangiatoia delle nostre vite, di chi ci attende e cerca tra tanti il nostro volto. Andiamo a vedere che l’unica luce è la sua!
Mettiamoci in cammino dunque – la Verità è cammino, insegna Papa Francesco-, senza paura, recuperando in Gesù la festa di vivere, il gusto dell’essenziale, il sapore delle cose semplici, la fontana della pace, la gioia del dialogo, il piacere della collaborazione, la voglia dell’impegno storico, lo stupore della vera libertà, la tenerezza della preghiera.
In questo cammino non dimentichiamo la nostra Chiesa sorella di Butembo-Beni. Nei prossimi mesi, mi porterò con una numerosa delegazione in quelle terre martoriate ancora dalla guerra: potremo insieme vivere la gioia di inaugurare il Centro cardiologico “Pino Staglianò” (ormai finito come edificio, mentre le attrezzature acquistate stanno partendo proprio in questi giorni da Pozzallo) e contemplare anche le “meraviglie di carità” che il Signore sta compiendo con la “Scuola di formazione agraria “Nino Baglieri” che avanza con i suoi ambiziosi progetti.
Pregate per la Visita pastorale in corso. La affido a San Corrado Confalonieri, ma anzitutto e soprattutto a Maria di Nazareth: la nostra amata Santa Maria Scala al Paradiso accompagni, preghi e assista con la sua grazia (Colei, che è “piena di grazia”, gratia plena, grembo di tutte le grazie) la nostra comunità diocesana.
Con questa intenzione: perché, in questo Santo Natale, ogni pena sia consolata da una presenza amica; ogni peccato sia perdonato nell’abbraccio della riconciliazione dei fratelli; ogni desolazione intraveda la vocazione alla pace promessa dal Signore; ogni incertezza sia presa per mano e condotta alle decisioni sapienti e desiderate dalla giustizia e dalla dignità umana; ogni distacco si rassereni nella speranza della vita eterna, l’Alba radiosa della nostra vera felicità, somma, immensa, divina e perciò pienamente “umana”.
 
Con grande affetto vi benedico tutti, mentre vi stringo tutti nel mio cuore e vi auguro buon cammino di Avvento e buon Natale, vostro nel Signore