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“Abbiamo ritrovato la vita!”

E’ questo il tema della XV Giornata dei bambini vittime della violenza, dello sfruttamento e dell’indifferenza che viene celebrata dal 25 aprile alla prima domenica di maggio con celebrazioni di preghiera, incontri culturali e iniziative suscitate dalla fantasia e creatività di tutti.
Da 15 anni l’Associazione Meter, realtà ecclesiale impegnata nel mondo per la tutela dei diritti dei bambini e per la promozione della dignità e del loro benessere, celebra l’annuale appuntamento sia per ricordare le vittime degli ingiustificati atti di violenza,di sfruttamento e di indifferenza sui bambini, sia per esaltare, in una logica evangelica di prossimità e aiuto alle fragilità umane, la pedagogia dell’amore: “dall’amore si può rivivere, nell’amore si ritrova la ragione umana e di fede per riprendere gli interrotti cammini”.
Quest’anno, in particolare, Meter vuole porre in evidenza l’accoglienza  che ha operato nei confronti dei piccoli e degli esclusi: la croce, la sofferenza non sono la fine di ogni speranza, ma , nella fede, rappresentano la sorgente di vita e di risurrezione.
Meter, attraverso il Centro di ascolto e di accoglienza, ha ascoltato e concretamente aiutato più di 1000 bambini e le loro famiglie; ha segnalato più di 250.000 siti pedopornografici, contrastando in tal modo il pericoloso fenomeno della pedocriminalità; ha incontrato migliaia di famiglie, di giovani, di adulti e di bambini, annunciando una consegna di Gesù: “ciò che avete fatto loro lo avete fatto a me!”
Lo scorso anno Benedetto XVI ha rivolto un “saluto speciale”al Regina Coeli per la Giornata dei Bambini Vittime ed un invito pressante rivolto agli educatori e a quanti si occupano di infanzia a tutelare i minori in difficoltà e le loro famiglie. Il puntuale messaggio del Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano  inoltre,sottolineò l’impegno di tutta la società civile per la difesa del bene prezioso dei piccoli cittadini.
Nell’invitare tutte le comunità a diffondere l’iniziativa, Meter ha dichiarato che  “C’è un universo di sofferenza nel quale versano milioni di bambini;  ma c’è anche un universo di sofferenza redenta, accolta, guarita, dove la potenza dell’Amore di Dio, attraverso un’umanità non rassegnata al male, opera percorsi “samaritani” per “guarire e ritrovare la vita”!
Per maggiori informazioni e adesioni consultare il sito dell’Associazione Meter onlus www.associazionemeter.org; scrivere a segreteria@associazionemeter.org 

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Quarta Domenica di Quaresima: Domenica del Cieco Nato

Quando nasce un bambino, con felice espressione si dice che « è venuto alla luce ». Solo questo passaggio permette la continuità della vita. Quando un uomo muore si dice che « si è spento ». E significativo che il linguaggio comune identifichi la vita con la luce e la morte con la tenebra. Luce e tenebre esprimono simbolicamente la condizione umana nelle sue contraddizioni: non solo vita-morte, ma anche verità-menzogna, giustizia-ingiustizia. Lo stesso avvicendarsi cosmico del giorno e della notte sta ad indicare la fondamentale importanza del rapporto luce-tenebra: avvolto nella tenebra il mondo perde la sua consistenza, le cose non hanno contorno né colore, l’uomo è cieco, inerte, afferrato da un senso acuto di solitudine, di smarrimento, di paura. Il primo bagliore risveglia la vita, la gioia e la speranza.

Breve riflessione del Vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò

La vita è “cammino” e camminando s’apre cammino (Arturo Paoli). Per la nostra condizione umana – dobbiamo ammetterlo- la purezza non sta all’inizio ma alla fine di un percorso possibile di santità. Perciò la quaresima è un cammino di purificazione, insieme a Cristo e davanti a Lui. Di Lui abbiamo infatti bisogno, della sua vicinanza premurosa e della sua prossimità compassionevole. E’ vero: senza di Lui non possiamo far nulla.
Dopo la tentazioni nel deserto, dopo la contemplazione della bellezza di Dio sul Tabor, dopo aver scoperto insieme alla Samaritana quanta sete abbiamo di Dio e della sua presenza, in questa settimana la Parola di Dio ci dice cosa significa avere luce e vederci chiaramente per uscire dalla tenebra in cui siamo avvolti. Cristo è colui che disseta e da luce: se alla Samaritana aveva detto di essere lui l’acqua viva al cieconato dirà di essere la luce del mondo quella che illumina il cammino di ogni uomo. La malattia, il dolore e la sofferenza sono diventati nel nostro tempo un problema molto serio, specialmente se colpiscono gli innocenti, chi non ha nessuna colpa se non quella di nascere (situazione paradossale: perché in realtà nascere è una grande benedizione e non una colpa).
Gesù è la luce del mondo, è luce per tutti. Come tale illumina e permette di vederci. Ma cosa c’è da vedere o da vedere meglio?
Esistono cecità molto profonde: tanto più profonde quanto meno vengono riconosciute. Pensiamo alla cecità religiosa di coloro i quali pensavano – seconda la teoria della retribuzione – che alla sofferenza corrisponde rigidamente una colpa. Ora, il cieco incontrato da Gesù è nato proprio così: non ha peccato lui, e allora chi? I suoi genitori, ovviamente: il peccato annidato nell’anima dei padri ricadrebbe in forma di male nel corpo, nella mente o nello spirito dei figli.
Gesù si avvicina e guarisce il cieconato e permette di vedere la salvezza possibile che viene da Dio e dalla fede: “credi tu nella liberazione che il Messia viene a portare?”. Il cieconato crede: è questa la sua forza. Il Messia avrebbe portato un “riscatto” di tutti i bisognosi: avrebbe fatto camminare gli storpi, udire i sordi, vedere i ciechi e avrebbe annunciato la buona novella del Regno di Dio come pace, amore, nuova fratellanza, giustizia e gioia. Il cieco ci crede e per la potenza dello Spirito Gesù lo guarisce dalla sua nativa cecità. Questa condizione – nativa cecità – appare come una metafora piena di significato: è nato così, cieco, emblema per tutti coloro che vengono al mondo. Non nasciamo tutti ciechi? Cioè bisognosi di vedere: acquisiamo la nostra capacità di vedere a poco a poco. Siamo capaci di vedere, ma non ci vediamo da subito. L’oscurità delle tenebre avvolgono i nostri occhi che “usciti dal grembo della madre” restano chiusi perché refrattari alla luce. A poco a poco gli uomini aprono gli occhi e attivano un “processo” attraverso il quale impareranno a vedere la realtà così come la realtà è effettivamente. Non dobbiamo mai dimenticare che per vederci non basta “aprire gli occhi”: è necessario imparare qualcosa, entrare in un cammino in cui tutti i sensi si aiutano e per il quale il bambino appena nato riconosce la madre più per l’olfatto che per la vista. Vedere le cose, gli oggetti che ci stanno davanti è un evento meraviglioso e complesso. Domandiamoci ora: quanto lo è l’evento che ci permette di guardaci dentro le profondità del nostro cuore, di vedere dentro il cuore degli altri, di discernere con una “vista capace di riconoscere la realtà” i fatti dell’esistenza quotidiana.
E allora, chi è il cieco e chi è il vedente?
Quanti di noi – ovviamente togliendosi dalla presunzione della vita e da certa ubriacatura dell’orgoglio personale- possono dire: “io ci  vedo e non ho bisogno che qualcuno come Gesù mi dia la vita, mi sani dalla mia cecità”. Sono convinto che nessuno lo possa seriamente dire. Tutti invece siamo nella condizione del cieconato, nel bisogno che ci fa invocare il dono di un aiuto e ci fa gridare “Gesù Figlio di Davide abbi pietà di me”. Cosa vuoi? Che io ci veda Signore.
Il male è vasto nel mondo. Troppo diffuso per non essere sconfortante. E’ un male che si manifesta in tante malattie, che procura dolore, ma che si radica nel profondo dell’anima e non si risolve semplicemente “assumendo l’aspirina”. Lo sviluppo della scienza aiuta noi umani a risolvere tanti problemi legati al dolore fisico e psicologico. Resta però – quello della scienza – un approccio banale e superficiale se si dichiara risolutivo dei problemi cui siamo inchiodati dalla sofferenza umana. Esiste infatti un soffrire tra gli uomini che nessuna medicina potrà mai dissolvere: è il soffrire a causa delle tenebre che obnubilano la nostra vista e ci impediscono di guardarci come fratelli, riconoscendoci come destinatari del dono, dell’amore. Quanta cecità nelle guerre, nelle lotte fratricide, nelle sopraffazioni dei più forti nei confronti dei più deboli, nel calpestare la dignità umana dei piccoli, dei fragili, delle donne, attraverso la mercificazione dei corpi, nelle tante forme della schiavitù nuovamente possibile anche nel nostro Occidente dell’opulenza. Ancora, quanta cecità nelle società dove la solidarietà umana perde sempre più colpi e l’individualismo esacerbato  occupa sempre più spazi, mentre la competitività mercantile invade le coscienze e ci convince che siamo tutti “lupi” l’uno per l’altro.
E’ vero? Siamo lupi destinati a scannarci, ad aggredirci, a fagocitarci gli uni gli altri? Dio non ci vede così e Gesù ci porta la luce di Dio, cioè il suo sguardo sulla nostra vita. Noi siamo creature amate e pensate dall’eterno, figli dell’unico Padre, fratelli tra noi, chiamati alla comunione e all’amore, a volerci bene fattivamente,  “nei fatti e nella verità”, corresponsabili del nostro destino, costruttori della civiltà umana dell’amore. Gesù fa che noi vediamo di questa vista, fa che possiamo vincere la nostra cecità e vederci come il padre tuo ci vede. Gesù Figlio di Davide abbia pietà di noi.
Guarigione dobbiamo chiedere, della vista dell’anima. Gesù si avvicina e opera oggi come allora lo stesso miracolo. Ci converte all’amore: ci toglie dall’amore di sé fino all’annientamento dell’altro e sanandoci e liberandoci ci introduce nell’amore vero, l’amore dell’altro fino alla rinuncia di sé.
Per operare questa risurrezione della nostra vista, ci vuole o no purificazione del cuore. Purifica il cuore e potrai vederci bene. Se il cieconato ora ci vede, ma non si converte nel cuore, l’acquisto di quella vista non gli servirà, anzi peggiorerà le cose, perché lo immetterà in un abisso di tenebra (quella barbarie dal volto umano che assume le forme con cui l’inimicizia della morte ci offende giorno dopo giorno) da cui il suo essere cieco lo aveva paradossalmente preservato.
In Gesù ora si manifestano le opere di Dio: la pedagogia di Dio vuole che dal male presente nel mondo si esca non con un intervento da Deus ex machina, ma con responsabilità e consapevolezza. Da qui l’urgenza di una conversione vera, di una radicale metanoia (un capovolgimento di mentalità a 360 gradi). Davanti al dolore e alla sofferenza, Gesù non si pone il problema di chi ha peccato per poi condannare: Egli è venuto a salvare.
Come si racconta in altri passi, Gesù chiede se c’è nel cuore del peccatore il desiderio della guarigione, simbolo della guarigione totale che tocca tutta l’esistenza. La salvezza che egli porta non è quella di uno stregone potente che ha la possibilità di utilizzare “medicine segrete e sconosciute”. A questa salvezza deve corrispondere la fede. Spesso Gesù dice, operando miracoli: “va la tua fede ti ha salvato”. La fede presuppone apertura e disponibilità verso l’operato di Dio. Occorre anzitutto riconoscere che Dio c’è e che è all’opera, senza pregiudizi di sorta, senza le mormorazioni dell’incredulità, la quale si fa un Dio a propria immagine e somiglianza e poi lo denigra e lo mette da parte perché non lo vede operare come si desidera. La fede invece accoglie il progetto di Dio che è progetto di amore e di superamento del male, di ogni male. E’ un progetto coinvolgente la nostra libertà e ci chiede di comprometterci nell’operare il bene. Chi invece teorizza a partire dalle proprie idee su questo progetto – come facevano i farisei del tempo – comincia a “fare salotto” sul progetto di Dio e alla fine si giustifica per non operare nulla, per non impegnarsi, per evadere la responsabilità cui la situazione di disagio e di sofferenza dell’altro appella: “non lasciarmi soffrire da solo”.
L’atteggiamento farisaico non si è concluso con l’epoca di Gesù, continua a insinuarsi in tutte le epoche e in tutti i cuori perfino quelli più moralmente predisposti a compiere la volontà di Dio.
L’esperienza del cieconato è anzitutto salvezza per lui, un  cominciare a vedere che lo porta alla vista piena e compiuta, quella della fede che lo apre all’incontro con il suo Salvatore. Per questa via, egli ha ritrovato se stesso, potendosi vedere in relazione ad altri. Il “vedersi” e il “vedere” ha potuto gridare al miracolo, ma i suoi occhi ora riescono a vedere ben altro: che è stato raggiunto dalla multiforme grazia di Dio. Il cieco conclude il suo incontro con Gesù dicendo “Io credo” e si prostra dinnanzi al Figlio dell’Uomo.  Anche noi con il cieco possiamo dire: ” Io credo Signore che tu sei la luce del mondo. Donami la grazia di riscoprire il valore del nostro battesimo e l’identità del nostro essere cristiani”.
Buona continuazione del cammino quaresimale, per rinascere a “vista nuova”. 

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Lasciarsi educare da Gesù

La ricchezza di stimoli rivolti alla crescita umana e cristiana della nostra Chiesa di Noto, rappresentata dai molteplici incontri a carattere biblico e culturale fortemente voluti dal nostro Vescovo mons. A. Staglianò, per rispondere concretamente all’ “emergenza culturale” emersa già nel Convegno di Verona, ha certamente prodotto i suoi benefici effetti sul popolo di Dio del nostro territorio diocesano.
La natura fondante e il valore assoluto dei contenuti di tali incontri ha evidenziato l’opportunità di raccoglierli in questa pubblicazione di facile consultazione, perché rimangano a disposizione di quanti desiderano tornare a rivisitarli per consolidare la propria “cultura” di cristiani maturi, che si esercitano a pensare, progettare e verificare insieme percorsi di fede e di evangelizzazione.
Si tratta di un convergere di autori e competenze vari, che sottolineano unanimemente  la necessità di iscriversi alla scuola dell’unico Maestro, per imparare da Lui a costruire  forti e mature relazioni d’amore con Dio “nella compagnia degli uomini” che vivono nel nostro territorio, il Mezzogiorno d’Italia.
La tematica è affrontata partendo da prospettive diverse, quella biblica e quella teologica, quella sociologica e quella pastorale, ma tutte animate dall’unico desiderio di mostrare la bellezza del vivere la vicinanza agli uomini nella Verità di Cristo nostro Signore. (cfr. Caritas in Veritate).
E’ una raccolta degli Atti del Convegno di inizio anno pastorale 2010-2011 con l’annesso Itinerario biblico sull’educazione, ma riteniamo che possa rappresentare la traccia per il cammino di fede del popolo di Dio della nostra Chiesa di Noto per i prossimi anni.
Un valido strumento per alimentare la spiritualità di comunione educati dallo Spirito del Risorto.

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Famiglia, Scuola, Istituzioni e Chiesa per una società umanizzata e umanizzante

Il 28 Marzo 2011, il nostro Vescovo è intervenuto, a Modica, presso l’Istituto d’Istruzione Superiore “G.Verga”ad un Convegno sul tema: “Famiglia, Scuola, Istituzioni e Chiesa per una società umanizzata e umanizzante”. La kermesse promossa dall’UCIIM si è prefissa  di riflettere su argomenti che interpellano gli uomini del nostro tempo e con precisione quei luoghi ove gli uomini vivono la dimensione umana e religiosa. Il Vescovo ha puntato la sua riflessione nell’elaborare un pensiero non solo religioso ma culturale e filosofico dove ha messo al centro l’incapacità odierna di comunicare. Il linguaggio oggigiorno risulta avere molteplici sfumature e i termini che usiamo hanno diverse accezioni, per questo, a volte, si rischia il fraintendimento o addirittura l’incomunicabilità. Il rischio a cui tutti sono esposti è di essere tentati di assopirsi nel metodo educativo che lascia poco spazio alla pedagogia e che si rifugia nell’istruzione intesa come passaggio di notizie. La Chiesa cattolica si sforza di essere faro per poter indicare alla comunità educante un metodo autentico che pone l’accento soprattutto sulla persona e che offre contenuti e valori validi per tutti.

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Seconda giornata di spiritualità AC

Domenica 27 Marzo a Rosolini, presso l’Oratorio Buon Pastore, si è tenuta la seconda giornata diocesana di spiritualità dell’AC dal tema: “Nel deserto l’acqua viva”, tenuta da don Michele Iacono, vice assistente diocesano dei giovani di ACI, a cui hanno partecipato circa 70 soci provenienti da tutti i vicariati della diocesi.
Don Michele ci ha aiutati a riflettere sul tema del deserto nella nostra vita spirituale e in particolare in questo periodo di Quaresima.
Partendo dal significato letterale di deserto, quale luogo disabitato, arido, distesa sterminata di sabbia dove la vista si perde, ci ha condotti al significato del deserto nella nostra vita spirituale, invitandoci a scoprire quanto sia importante entrare nel deserto della nostra vita. Il deserto è il luogo dove sostare e fermarsi per prendere coscienza del nostro essere, luogo dove Dio parla alla nostra vita e dove possiamo rimetterci in gioco per ri-amare Dio.  E’ il luogo dove emergono le nostre debolezze e dove l’uomo guarda faccia a faccia i propri peccati, ma anche il luogo dell’alleanza di Dio con il cuore dell’uomo e privilegiato per gli appuntamenti privilegiati. La Parola ascoltata nel deserto è un balsamo per la nostra vita. Nel deserto scopriamo la presenza di Dio nella nostra storia e possiamo ascoltare i suoi passi. Lasciandoci prendere per mano dal Signore tra le vie della nostra vita scopriremo l’acqua viva che disseta sempre.
Per farci comprendere come il deserto sia utile per la nostra vita spirituale, don Michele ci ha additato ad esempio due figure vissute nello scorso secolo: Charles de Foucault e Giovanni Papini, il primo convertitosi dopo una vita giovanile dissoluta lontana da Dio e il secondo, ateo al punto da scrivere un libro per dimostrare l’inesistenza di Dio. Dall’incontro con Dio nel deserto, in cui vivevano, hanno trovato l’acqua viva che li ha dissetati dalla loro sete di vita vera.
La giornata si è conclusa con la celebrazione eucaristica e con la condivisione del pranzo a sacco.

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Don Paolo Ruta nella Casa del Padre

Oggi 31 marzo 2011, a Modica nella sua casa paterna, il Signore ha chiamato a sè il caro don Paolo.
Il Vescovo, Mons Antonio Staglianò, i Vescovi emeriti, Mons. Salvatore Nicolosi, Mons. Giuseppe Malandrino e Mons. Mariano Crociata , il Presbiterio e la Comunità diocesana di Noto, grati per il lungo e fecondo servizio ministeriale, affidano a Cristo Buon Pastore e Signore della vita, il Rev. mo Sac. Vincenzo Paolo Ruta, parroco della Madonna del Carmine e di Santa Maria La Nova di Scicli, assistente regionale del MASCI .
La concelebrazione Eucaristica, presieduta da Mons. Vescovo, si terrà sabato 2 aprile 2011 alle ore 11.00, nella Chiesa parrocchiale della Madonna del Carmine in Scicli.
Nella mattinata di venerdì la salma sarà traslata da Modica a Scicli dove verrà allestita la camera ardente nella parrocchia del Carmine.
Siamo vicini, con fraterno affetto al fratello Don Ottavio, nostro stimato confratello, e ai familiari che con tanta amorevolezza lo hanno curato e accompagnato in questa ultima fase della sua malattia, vissuta con serena e cristiana fortezza.
Vi invito a pregare e a far pregare per  il caro confratello, che per molti di noi  e per tanti giovani,è stato un fulgido esempio di infaticabile educatore, durante il suo servizio in Seminario e nei lunghi anni di assistente AGESCI.

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Come Cristo, per i più deboli fino al sacrificio della vita

L’adorazione  eucaristica è stata sapientemente ritmata dall’ascolto della Parola di Dio, da canti meditativi e dalla lettura delle biografie di alcuni martiri dei nostri giorni. Le testimonianze lette di Livatino, Don Puglisi,  Impastato e altri ancora hanno indicato ai presenti come il martirio cristiano abbia  a che fare con la fedeltà a Dio; il loro sacrificio ci ha ricordato che, prima o poi, arriva il momento in cui le creature più deboli devono essere difese contro i soprusi dei potenti, i quali sui bisogni dei poveri costruiscono il loro dominio; la loro morte ha ribadito che mettersi  dalla parte dei poveri può disturbare, inquietare e può far  pagare un prezzo, a volte fino al martirio cruento.
La riflessione del vicario generale, che ha presieduto la veglia di preghiera, ha evidenziato che ogni martirio trae origine e spunto dal primo martire per eccellenza, Gesù Cristo, e che la data del 24 marzo, scelta dalla Chiesa per ricordare tutti i martiri, nasce dal sacrificio di mons. Romero che in quel giorno del 1980 unì il suo sangue a quello del crocifisso. Il vescovo dei poveri venne assassinato proprio durante la celebrazione dell’Eucaristia; la sua unica responsabilità era stata quella di difendere la dignità del suo popolo, custodire i più deboli tra i Salvadoregni dalla bramosia di potere di uomini senza scrupoli.
Dai martiri si riceve una lezione di stile. La loro fedeltà è improntata a serena consegna di sé, nella consapevolezza  che, costituendoci come sua famiglia, Dio ci affida anzitutto i poveri. A noi, se lo vogliamo, l’impegno a rimanere fedeli al nostro battesimo seguendo il loro esempio, “senza lasciarci corrompere il cuore dall’astio e dall’amarezza”.

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Donnalucata istituito il centro di ascolto e di prima accoglienza

Non si poteva scegliere momento più opportuno per dotare la ridente frazione rivierasca di Donnalucata di un Centro di Ascolto e di prima accoglienza che ha aperto i battenti l’altro giorno: a volerlo fortemente è stato il parroco della Chiesa S. Caterina da Siena don Rosario Sultana (che peraltro è il Direttore dell’Ufficio diocesano per le comunicazioni sociali della diocesi di Noto).

Ed è stato don Sultana a innescare e far nascere l’iniziativa avvalendosi dell’apporto indispensabile di un gruppo di volontari motivati da fede cristiana. La principale finalità del Centro è quella di garantire l’ascolto, dando vita ad un colloquio che vada al di là del bisogno immediato che la persona è solitamente portata a manifestare, individuando poi interventi idonei a rimuovere le cause del bisogno, accompagnando e indirizzando le persone ai servizi pubblici o privati esistenti sul territorio, sostenendoli in un momento delicato delle loro vita. E nel centro sarà applicato “alla lettera” quanto è scritto “L’amore del prossimo radicato nell’amore di Dio è anzitutto un compito per ogni singolo fedele, ma è anche un compito per l’intera comunità ecclesiale, e questo a tutti i suoi livelli: dalla comunità locale alla Chiesa particolare fino alla Chiesa universale nella sua globalità».(cfr. DCE, 20).Propedeutica alla istituzione del Centro di Ascolto è stata l’istituzione in quella sede della Caritas parrocchiale che è l’organismo pastorale istituito per animare la parrocchia, con l’obiettivo di aiutare tutti a vivere la testimonianza, non solo come fatto privato, ma come esperienza comunitaria, costitutiva della Chiesa.
“L’idea stessa di Caritas parrocchiale esige, pertanto, una parrocchia intesa come comunità di fede, preghiera e amore”, dice don Rosario: “questo non significa che non può esserci Caritas dove non c’è comunità, ma si tratta piuttosto di investire le poche o tante energie della Caritas parrocchiale nella costruzione della comunità di fede, preghiera e amore”.
La Caritas parrocchiale, presieduta dal parroco don Sultana , è costituita da un gruppo di persone che aiuta il parroco sul piano dell’animazione alla testimonianza della carità più che su quello operativo di servizio ai poveri. L’obiettivo principale è partire da fatti concreti – bisogni, risorse, emergenze – e realizzare percorsi educativi finalizzati al cambiamento concreto negli stili di vita dei
singoli e della comunità, in ambito ecclesiale e civile.

Il Centro di Ascolto di Donnalucata è una realtà promossa dalla Parrocchia dove le persone in difficoltà possono incontrare dei volontari preparati per ascoltarle e accompagnarle nella ricerca di soluzioni ai propri problemi. Valutata la situazione gli operatori cercano di definire con la persona ascoltata un progetto di aiuto specifico, sostenibile e rispettoso delle potenzialità e della dignità di ciascuno. Nell’ambito di questo progetto, quando necessario e compatibilmente con le risorse della comunità, vengono offerti degli aiuti concreti.

Il Centro è aperto il mercoledì e il venerdì dalle ore 16.00 alle ore 18.00 ( info: 0932 1870408 ): la sede operativa è in Via Zara n°4 , presso la Sala della Comunità Parrocchiale “Giovanni Paolo II” di Donnalucata.

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Le Comunità di Parrocchie, casa e scuole di comunione

Lo scorso 19 Marzo, in occasione del Suo secondo anniversario di consacrazione episcopale, il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, a conclusione della solenne Concelebrazione eucaristica in Cattedrale, ha consegnato ai Vicari Foranei lo statuto delle Comunità di Parrocchie. Un’ulteriore tappa verso  il superamento di una concezione individualistica ed autoreferenziale della Parrocchia, per una “pastorale integrata”, che aiuti a lavorare “in rete” e in sinergia, come in una sola Comunità, per una Chiesa tutta ministeriale.
Le Comunità di Parrocchie, se ben intese, non annullano l’identità delle singole parrocchie. Sono invece alveo favorevole per valorizzare carismi e ministeri e per la formazione di un laicato maturo nella fede, corresponsabile e incisivo nell’azione evangelizzatrice.  Inoltre, nella sua quarta lettera ai presbiteri, “Dove dimori, Maestro?” mons. Staglianò descrive le comunità di parrocchie come «case e scuole di comunione, luoghi di grande carità, epifania dell’amicizia e dell’amore».
A tal fine possiamo individuare alcuni “passi concreti” per un proficuo avvio di questo promettente cammino unitario.
Il primo concerne i Presbiteri e i Diaconi e la loro testimonianza di comunione fraterna: la condivisione, il confronto, la programmazione e, soprattutto, la preghiera in comune, come già si sta sperimentando nel vicariato di Noto, dove i sacerdoti si ritrovano con il Vescovo per la celebrazione delle Lodi e la Messa Sabatina.
Il secondo riguarda i  laici che già svolgono preziosi servizi nelle singole Parrocchie, con la possibilità di vivere insieme momenti formativi, l’evangelizzazione, soprattutto nei quartieri di periferia, l’accompagnamento educativo delle nuove generazioni, la costituzione di un Centro di ascolto Caritas per l’intero vicariato.
Con questo spirito e con queste prospettive le Comunità di Parrocchie possono già esercitarsi a lavorare insieme attorno a una programmazione pastorale incisiva e agile, che dia spazio al confronto e alla verifica del cammino fatto, allo scopo di consentire una evangelizzazione capillare, che tenga conto delle problematiche sociali e religiose che interpellano gli uomini e le donne delle nostre città e del nostro territorio.
Insieme si serve meglio il Signore.

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Terza Domenica di Quaresima: Domenica della Samaritana

Vivere da cristiani è assimilare preogressivamente l’esperienza di Cristo sintetizzata nelle prime due domeniche di quaresima: camminare nella fedeltà al Padre per raggiungere la meta della trasfigurazione gloriosa. L’itinerario è reso possibile a una condizione: ascoltare la Parola di Dio, radicarsi in essa, accettarne le esigenze. La liturgia di questa domenica e delle due successive fa rivivere, nel mistero, al cristiano le grandi tappe attraverso cui i catecumeni erano (e sono) aiutati a scoprire le esigenze profonde della conversione a Cristo, nei segni dell’acqua, della luce, della vita.ù
Al centro della liturgia di questa terza domenica di quaresima sta l’acqua come punto di convergenza e di incontro di due interlocutori: l’uomo e Dio. L’acqua diventa il simbolo che compedia ed esprime la richiesta dell’uomo e la risposta di Dio.

Breve riflessione del Vescovo di Noto Mons. Antonio Staglianò

Gesù incontra la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe
“Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna “ (Gv.  4, 13-14)

Avete mai fatto l’esperienza di trovarvi dinanzi ad una persona che ne sa di voi più di voi? Potremmo restare inchiodati alla paura di venire scoperti in qualche magagna. Ci ribelleremmo subito, appellando alla privacy, nella società democratica e della libertà individuale, abituati come siamo a portare in giro le nostre maschere, con le quali pensiamo di poterci difendere dagli altri. La faccia che esibiamo è molto spesso diversa dal nostro volto: quest’ultimo però è guardato sempre da Dio, che ne sa senz’altro più di noi, sempre e comunque. Dio ci conosce nell’intimo, nell’anima e vede i nostri desideri più nascosti, le intenzioni recondite del nostro cuore, la condizione morale che viviamo, al di là appunto della scena sulla quale interpretiamo la nostra parte di uomini e donne “buone”, “oneste” laboriose”, “religiose” etc. etc.
Per la Samaritana fu un appuntamento inatteso con Gesù. E’ Lui ad arrivare prima al pozzo e a “occuparlo”: ha sete, vuole bere. Ricordo una predica di don Primo Mazzolari che presenta Gesù al pozzo di Giacobbe come un “povero”, un “medicante”. E’ Lui infatti a chiedere: “dammi da bere”. Esplicita il suo bisogno, a partire dal quale dischiude una relazione umana con una donna, una  samaritana, anch’ella mendicante, povera in tanti sensi. E’ dunque un incontro tra poveri e mendicanti: è questo il mistero vero di Dio, che pur essendo Dio si fa tutto a tutti, si pone nella stessa condizione umana, raggiungendo certe profondità umane che l’uomo stesso non raggiungerebbe senza il suo aiuto. C’è bisogno di acqua che soddisfi la sete. Nulla però è così materiale nelle parole e nei gesti di Gesù, ma anche nella stessa sete della samaritana. Si tratta di un’altra sete, di giustizia, di verità, di nobiltà d’animo, di fiducia, di trasparenza, di amore. Gesù ha sete della sete della samaritana e vuole soddisfarla definitivamente con l’acqua che zampilla per l’eternità.
E’ l’acqua che non solo disseta, ma ancor prima purifica la vita, rende pulita l’esistenza. Di quest’acqua la samaritana ha veramente sete. E’ come se attendesse da Gesù un “discernimento nel profondo”: “donna l’uomo che vive con te non è tuo marito, perciò hai detto bene di non aver marito”. La donna lo deve sapere: urge una trasparenza morale per vivere la vita umanamente. La miseria morale dell’infedeltà, del tradimento, della mercificazione del proprio corpo (e così via di questo passo) non rende bella la vita e non la fa vivere umanamente: è sempre un piace cercato per sé in faccia e contro la sofferenza di altri. La donna samaritana è simbolo della ricerca umana della autenticità, mentre ci si trova nella condizione “mascherata” dell’inautenticità e si vive la vita “come se … tutto fosse a posto”. In realtà “tutto a posto non è per niente”: c’è sempre qualcosa che ha bisogno di redenzione. C’è sete di un’acqua che può purificare la vita se solo togliessimo la maschera e chiedessi da “mendicanti” un aiuto che può venire solo da Dio.
E’ proprio così: sarà pi questo il vero insegnamento di quest’incontro tra la samaritana e Gesù? Questa donna si trova – al di là delle apparenze e più o meno consapevolmente – in una condizione di “miseria morale” che la rende infelice, comunque insoddisfatta: l’attingere ogni giorno quell’acqua è metafora di una fatica che vorrebbe dissolvere. E’ possibile però solo se riceve l’acqua zampillante per la vita eterna. Con quell’acqua potrà non faticare più ed essere veramente felice. Si tratta ora di venire a sapere cos’è quest’acqua e chi la può donare, per poterla chiedere e finalmente ricevere. La si può chiedere solo a Dio, perché solo Dio la può donare. E però, quale Dio?
La domanda teologica che la samaritana pone a Gesù – probabilmente per il gusto di intrattenersi su “cose serie” con un ebreo, approfittando che un maschio ebreo ha osato parlare (perche di fatto non si poteva) con una donna e per di più samaritana -, non è teorica, ma concrete: riguarda l’adorazione religiosa – dove si adora Dio -, ma coglie la vita. La vita di una persona infatti cambia notevolmente quando si viene a sapere dove si adora Dio. Si trasforma effettivamente  quando si dovesse venire a sapere  – come accade alla samaritana – che Dio non si adora sul monte o a Gerusalemme, ma piuttosto in un esistenza trasparente sul piano etico e morale, una vita vissuta nella logica del dono e dell’amore, e non dello sfruttamento e del dominio. Il Dio di Gesù è “suo” Padre e il Padre suo si adora in “spirito e verità”, perché questo Dio vuole e cerca (è mendicante anche Lui) questi adoratori.
E allora? Ecco il miracolo che accade nell’incontro per la samaritana. Questa è l’acqua che riceve: un discernimento interiore della sua vita che la porta a decidere di vivere umanamente e attraverso una vita umana (= non mascherata, ma trasparente) adorare il Dio vivente. Il proprio corpo, la propria esistenza,la propria vicenda storica diventa il “tempio” nel quale Dio ama abitare e prendere dimora, essere adorato. Così Gesù la converte per davvero e le fa sperimentare una gioia immensa che la samaritana non può trattenere: ella corre, infatti, a raccontare a tutti dell’incontro che le ha ormai cambiato la vita.
E noi?
Ogni anno, forse, viviamo la nostra quaresima con stanchezza e aspettiamo che questo tempo si concluda per riposarci: il pensiero di dover far forza sulla nostra volontà per tentare il cambiamento ci spossa, per cui aspettiamo la Pasqua non tanto per gioire dei cambiamenti che siamo riusciti a ottenere nella nostra vita, ma piuttosto per la tranquillità di riprendere una ferialità  che non ci costringe a dover pensare al mutamento, alla conversione, alla metanoia.
Certo, quaranta giorni sono pochi per  raggiungere una conversione, non per niente cerchiamo di ottenere di più l’anno successivo. Di quaresima in quaresima, grazie alla esperienza della Chiesa, (la quale ci aiuta in questo) speriamo che la prossima sarà più fruttuosa. Tuttavia come la donna di Samaria potremmo essere incontrati in un ora precisa, quando meno ce lo aspettiamo, magari in gesti banali. La donna si trova a eseguire un gesto tra i più semplici e tra i più usuali al tempo: attingere dell’acqua.
Il comune bisogno di bere ha condotto la donna a quel pozzo in quell’ora: non poteva minimamente immaginare che lì avrebbe fatto l’esperienza di incontrare la Verità.
Gesù sa cosa dimora nel cuore della donna, sa che lei non è lì solo per tirare su dell’acqua, ma è anelante. E’ in cerca di chi le faccia chiarezza, di chi le indichi dov’è la verità, di chi le faccia scoprire cosa voglia dire adorare Dio “né su questo monte né in Gerusalemme”, perché chi le sta di fronte è Colui che rivelerà ogni cosa, essendo la manifestazione del Dio vero ed eterno, il Dio vivo dell’acqua via che zampilla per la vita eterna. 
Parlare al cuore è cosa assai difficile, chi può sondare le profondità dell’animo umano? Solo chi ha umanità, lo può fare. Dio lo può in Gesù, perché in Gesù Dio è anche umano, il vero umano. Perciò noi non ci scoraggiamo nel cammino difficoltoso dell’esistenza, spesso segnato dall’incomprensione anche di noi stessi. Quando la nostra coscienza si ritrova inquinata dal peccato, quando non riusciamo a riconoscere e dare senso ai nostri gesti, quando non riusciamo in nessun modo a rimettere all’altro ciò che a nostra volta noi abbiamo avuto condonato, siamo certi che c’è un punto accessibile nel cuore di ogni uomo dal quale può partire tutto il bene possibile e c’è pure un luogo dove solo Dio può accedere: proprio quel luogo, se si tiene aperto, svuotato d’ogni forma di presupponenza, diventa occasione di salvezza e di liberazione.

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