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Una testimonianza dal Presidio Caritas di Pachino

IL COSTO DELLA VITA NELLA FASCIA TRASFORMATA

In vista della Quaresima: accogliamo il grido d'aiuto dei fratelli immigrati che affrontano ogni giorno fame, mal tempo, sfruttamento e isolamento

Dal Presidio Caritas di Pachino

Nell’era della globalizzazione, si fanno sempre più i conti con i bilanci aziendali. Le aziende moderne devono avere sotto controllo le finanze delle proprie attività per riuscire ad ottimizzare i costi di produzione. Una delle voci di costo di maggiore incidenza è legata al personale in servizio e, tra i settori maggiormente segnati da questa incombenza, c’è l’agricoltura nella quale la scarsa possibilità di meccanizzazione e la stagionalità delle produzioni obbligano ad un turn over di personale molto spinto.

Incontrando le realtà produttive del Sud-Est Sicilia per analizzare questo fenomeno più da vicino si scoprono anche altri aspetti particolari: per sopperire alla forte incidenza del costo del personale si preferisce ricercare la soluzione nel lavoro irregolare. Questa scelta permette, infatti, di risparmiare in maniera importante sulla quota contributiva dovuta ai lavoratori regolari nonché sulle spese di assunzione e mantenimento del dipendente in forza all’azienda. Continuando il viaggio si può anche scoprire che molti di questi lavoratori irregolari sono travolti nel meccanismo del caporalato.

Questo fenomeno non si limita solo all’aspetto della trattativa economica tra i caporali, i lavoratori e le aziende bensì nasconde tante altre sfaccettature altrettanto gravi e dilaganti. Infatti le squadre di lavoratori che vengono assoldate dai caporali sono per lo più costituite da extracomunitari senza dimora o ammassati all’interno di casolari sperduti per le campagne all’interno dei quali vivono in un regime di semi-schiavitù e di totale isolamento.

Basta fare una camminata tra le campagne della fascia trasformata del Sud-Est Sicilia (da Pachino a Santa Croce Camerina) per trovare tanti piccoli apprestamenti di fortuna dentro i casolari abbandonati o, peggio, sotto qualche albero secolare. In queste “abitazioni” si incontrano vite e storie di uomini tra le più disparate ma tutte caratterizzate da episodi di sofferenza, schiavitù e solitudine; basta guardarli negli occhi per cogliere il bisogno di aiuto e sentire il grido di disperazione che urla nel loro cuore.

Sono uomini fuggiti dal loro Paese a causa delle guerre e che in Italia, contro agni loro aspettativa, affrontano ogni giorno la fame, il mal tempo, lo sfruttamento e il totale isolamento.
Quando li incontri non puoi far a meno di sentire nascere dentro di te un desiderio di fare qualcosa e di aiutarli nelle maniere più semplici e impensate e di pensare che è una situazione così grande che non si sa da dove cominciare.
Poi ci si ferma un attimo a riflettere e viene da pensare: ma come può esistere una situazione del simile nel 2023, in un Paese “Occidentalizzato e civile” e sotto gli occhi di tutti? Sembra assurdo, sembra un paradosso, ma è così! E, mentre il mondo è impegnato, a buon ragione, a trovare soluzioni per i costi di produzione, nessuno discute o pone attenzione sulle situazioni di povertà estrema che una cattiva politica del lavoro e dell’accoglienza può creare. Ci si preoccupa dei costi dei dipendenti ma mai del valore della vita e della dignità umana.

Ma se sul piano politico ed amministrativo non esiste una cura rapida al problema, sul piano umano si può fare molto: basterebbe abbattere il muro di indifferenza che ognuno di noi erige nella propria vita. Non tutti possiamo essere missionari della povertà o salvatori di vite umane ma tutti possiamo dare il nostro piccolo contributo. D’altra parte il principale problema per i fratelli extracomunitari (come per tutti i poveri) è costituito proprio dall’isolamento. Servirebbe accogliere e far nostro l’invito di Papa Francesco: «Non lasciamoci contagiare dall’indifferenza». Rimanendo indifferenti, infatti, ci facciamo anche complici della cattiva politica e della cattiva umanità che ha reso quegli uomini poveri ed emarginati.

Accogliamo il cammino di Quaresima che ci si avvicina come un’occasione per far rinascere in noi il desiderio di aiutare e di essere servitori come Cristo ha fatto con noi, lavando a nostra volta i piedi a chi ha più bisogno e a quanti vivono soli ed emarginati.
«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo», diceva Madre Teresa di Calcutta.

Emanuele Blanco, operatore del Presidio Caritas Pachino


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