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FARE STRADA INSIEME: È NATO UNO SPORTELLO MIGRANTI ANCHE A MODICA

Aperto due giorni a settimana, è un centro di ascolto e di supporto. Ma soprattutto un luogo in cui sperimentare la relazione. Ne abbiamo parlato con il nostro direttore Fabio Sammito

Anche a Modica, al nr 59 di via Grimaldi, è operativo da qualche settimana uno Sportello per migranti. Un percorso che rende visibile, nella cura quotidiana, l’attenzione di Caritas verso quei soggetti (volti, storie, famiglie… e non solo numeri) che scontano maggiormente difficoltà di orientamento (sociale, economico, burocratico) dentro le nostre comunità.
Aperto due giorni a settimana, con una mail (modicapresidio@gmail.com) e un numero di telefono (+ 39 379 1387 430) dedicati, lo Sportello intende essere un centro di ascolto e di supporto ma soprattutto un punto di riferimento anche per quelle realtà che si occupano di offrire servizi (sociali, di tutela sindacale, di supporto psicologico, di aiuto economico) agli immigrati che approdano e si stabiliscono nel nostro territorio.
Per conoscere più nel dettaglio il progetto, abbiamo posto qualche domanda al direttore di Caritas Noto, Fabio Sammito. Ecco cosa ci ha risposto.


Qual è il significato profondo di questo secondo Sportello per migranti, attivo a Modica, dopo quello che, da anni, opera a Pachino?

Lo sportello è anzitutto un luogo in cui sperimentare la relazione. Quindi: uno spazio in cui ci si incontra da fratelli, per fare strada insieme. Non è un ufficio in cui si trovano tutte le risposte o tutti i servizi ma vuole essere invece un elemento collante che può aiutare i fratelli migranti presenti nel territorio a “orientarsi” nei meandri della burocrazia e dei servizi attorno a loro. È un segno della nostra Chiesa che sta a fianco, accompagna questi nostri fratelli troppo spesso vittime di emarginazione. È anche un faro e un punto di osservazione e raccolta di dati sul fenomeno migratorio nel territorio, che può aiutare a riflettere su bisogni e servizi. Infine, lo Sportello si inserisce all’interno del più ampio Progetto Presidio che sta per partire nella nostra diocesi e che prevederà altri segni di attenzione al territorio.

Se ne sentiva davvero la necessità?
Assolutamente sì. A poco più di un mese dall’apertura abbiamo già accolto 16 casi, anche molto diversi tra loro,  che testimoniano nell’immediatezza quanto sia essenziale ed importante la creazione di strumenti come lo Sportello per accompagnare i migranti nelle varie esigenze che ogni giorno devono affrontare.

Perché a Modica?
Nasce a Modica perché qui si sono create le condizioni adatte all’apertura ma anche perchè è la città più grande nella zona ragusana della diocesi. È comunque dedicato a fratelli che possono arrivare dalle altre città della diocesi, come Pachino funge da riferimento per la zona di Siracusa.

Quali sano le richieste più frequenti che state ricevendo?
A oggi, una delle richieste maggiormente emergenti è quella di poter usufruire di una scuola di italiano per stranieri. Insieme a questo ci sono poi numerose difficoltà legate al rinnovo di permessi di soggiorno, causate in buona parte da una mancanza di comunicazione negli uffici preposti. Ci accorgiamo che spesso sono anche problemi di semplice risoluzione ma se non correttamente seguiti possono poi diventare insormontabili. Altri temi frequenti: la ricerca di lavoro e della casa. Il tema dell’abitazione è ovviamente trasversare anche alle famiglie italiane ma nel caso di cittadini stranieri si manifesta in maniera ancor più virulenta ed urgente. Siamo, ad esempio, a conoscenza di molte famiglie, anche con minori, che vivono in “case” , che sarebbe più giusto chiamare “ruderi”, in cui a volte si annidano anche comportamenti di sopraffazione da parte dei proprietari . Un tema molto ampio, delicato e complesso: ne siamo consapevoli.

Operativamente, come funziona lo Sportello?
Lo sportello ha al momento due giorni di apertura: il martedì dalle 09.00 alle 11.00 e il mercoledì dalle 18.00 alle 20.00. È coordinato da una piccola équipe in cui è presente una mediatrice culturale, un giovane laureando in giurisprudenza che da anni si occupa di accompagnare i migranti dal punto di vista amministrativo, un operatore che si occuperà di aspetti logisitici (accompagnamenti presso uffici, visite a domicilio, altre varie ed eventuali). All’interno di questo team anche io stesso sarò presente, almeno nei primi mesi di apertura. Si è costituito anche un gruppo di circa 15 volontari che si incontreranno per la prima volta lunedì 3 luglio per un momento di formazione e di conoscenza.

Avete ricevuto feedback positivi alla notizia dell’apertura dello sportello?
Al momento dai vari uffici con cui ci troviamo a fare rete abbiamo ricevuto segni di apertura e di soddisfazione per l’avvio di questo progetto. Anche la disponibilità di volontari di cui sopra è un segno che c’è voglia di mettersi a disposizione da parte di uomini e donne di buona volontà. C’è da dire che lo sportello è partito da poco tempo, per cui ci renderemo conto giorno dopo giorno di come verrà accolto e visto dalla comunità modicana in particolare e del territorio diocesano in generale.

A quali difficoltà vanno incontro i migranti che scelgono di fermarsi nel nostro territorio? Riescono a inserirsi nella comunità? La comunità riesce a mettere in atto percorsi di accoglienza e integrazione?
Il fenomeno della migrazione è estremamente complesso e costituito da tantissime variabili. Guardando al nostro territorio, però, possiamo individuare alcuni temi ricorrenti in quanto a difficoltà: abitazione, lavoro, accesso ai servizi. È importante dire che il nostro sguardo è rivolto non solo al vicariato di Modica bensì, come detto sopra, a tutto il territorio diocesano. Ed è altrettanto chiaro che già spostandosi di vicariato in vicariato sono parecchie le differenze di natura sociale, economica, culturare.

Una testimonianza dal Presidio Caritas di Pachino

IL COSTO DELLA VITA NELLA FASCIA TRASFORMATA

In vista della Quaresima: accogliamo il grido d'aiuto dei fratelli immigrati che affrontano ogni giorno fame, mal tempo, sfruttamento e isolamento

Dal Presidio Caritas di Pachino

Nell’era della globalizzazione, si fanno sempre più i conti con i bilanci aziendali. Le aziende moderne devono avere sotto controllo le finanze delle proprie attività per riuscire ad ottimizzare i costi di produzione. Una delle voci di costo di maggiore incidenza è legata al personale in servizio e, tra i settori maggiormente segnati da questa incombenza, c’è l’agricoltura nella quale la scarsa possibilità di meccanizzazione e la stagionalità delle produzioni obbligano ad un turn over di personale molto spinto.

Incontrando le realtà produttive del Sud-Est Sicilia per analizzare questo fenomeno più da vicino si scoprono anche altri aspetti particolari: per sopperire alla forte incidenza del costo del personale si preferisce ricercare la soluzione nel lavoro irregolare. Questa scelta permette, infatti, di risparmiare in maniera importante sulla quota contributiva dovuta ai lavoratori regolari nonché sulle spese di assunzione e mantenimento del dipendente in forza all’azienda. Continuando il viaggio si può anche scoprire che molti di questi lavoratori irregolari sono travolti nel meccanismo del caporalato.

Questo fenomeno non si limita solo all’aspetto della trattativa economica tra i caporali, i lavoratori e le aziende bensì nasconde tante altre sfaccettature altrettanto gravi e dilaganti. Infatti le squadre di lavoratori che vengono assoldate dai caporali sono per lo più costituite da extracomunitari senza dimora o ammassati all’interno di casolari sperduti per le campagne all’interno dei quali vivono in un regime di semi-schiavitù e di totale isolamento.

Basta fare una camminata tra le campagne della fascia trasformata del Sud-Est Sicilia (da Pachino a Santa Croce Camerina) per trovare tanti piccoli apprestamenti di fortuna dentro i casolari abbandonati o, peggio, sotto qualche albero secolare. In queste “abitazioni” si incontrano vite e storie di uomini tra le più disparate ma tutte caratterizzate da episodi di sofferenza, schiavitù e solitudine; basta guardarli negli occhi per cogliere il bisogno di aiuto e sentire il grido di disperazione che urla nel loro cuore.

Sono uomini fuggiti dal loro Paese a causa delle guerre e che in Italia, contro agni loro aspettativa, affrontano ogni giorno la fame, il mal tempo, lo sfruttamento e il totale isolamento.
Quando li incontri non puoi far a meno di sentire nascere dentro di te un desiderio di fare qualcosa e di aiutarli nelle maniere più semplici e impensate e di pensare che è una situazione così grande che non si sa da dove cominciare.
Poi ci si ferma un attimo a riflettere e viene da pensare: ma come può esistere una situazione del simile nel 2023, in un Paese “Occidentalizzato e civile” e sotto gli occhi di tutti? Sembra assurdo, sembra un paradosso, ma è così! E, mentre il mondo è impegnato, a buon ragione, a trovare soluzioni per i costi di produzione, nessuno discute o pone attenzione sulle situazioni di povertà estrema che una cattiva politica del lavoro e dell’accoglienza può creare. Ci si preoccupa dei costi dei dipendenti ma mai del valore della vita e della dignità umana.

Ma se sul piano politico ed amministrativo non esiste una cura rapida al problema, sul piano umano si può fare molto: basterebbe abbattere il muro di indifferenza che ognuno di noi erige nella propria vita. Non tutti possiamo essere missionari della povertà o salvatori di vite umane ma tutti possiamo dare il nostro piccolo contributo. D’altra parte il principale problema per i fratelli extracomunitari (come per tutti i poveri) è costituito proprio dall’isolamento. Servirebbe accogliere e far nostro l’invito di Papa Francesco: «Non lasciamoci contagiare dall’indifferenza». Rimanendo indifferenti, infatti, ci facciamo anche complici della cattiva politica e della cattiva umanità che ha reso quegli uomini poveri ed emarginati.

Accogliamo il cammino di Quaresima che ci si avvicina come un’occasione per far rinascere in noi il desiderio di aiutare e di essere servitori come Cristo ha fatto con noi, lavando a nostra volta i piedi a chi ha più bisogno e a quanti vivono soli ed emarginati.
«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo», diceva Madre Teresa di Calcutta.

Emanuele Blanco, operatore del Presidio Caritas Pachino


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