Le radici missionarie della Chiesa di Noto

Prima del Concilio Vaticano II la Chiesa di Noto aveva aderito con entusiasmo alle iniziative missionarie come le giornate missionarie mondiali, la giornata per i lebbrosi, le iscrizioni alle Pontificie Opere Missionarie (i sacerdoti specialmente alla Pontificia Unione Missionaria del Clero) ed ancora le adozioni, i battesimi, le Borse missionarie e gli abbonamenti alle varie riviste missionarie. In diocesi c’era anche l’Ufficio Missionario Diocesano presso la Curia Vescovile. Poi, nei primi anni dopo il Concilio nacquero iniziative parrocchiali di preghiera per le missioni, gruppi giovanili missionari, pesche di beneficenza, mostre missionarie ed ancora raccolte di soldi, di indumenti e arredi sacri per le missioni. Si iniziò a partecipare ai convegni missionari a livello nazionale. In un articolo sul settimanale della diocesi (“Primi echi della Giornata missionaria Mondiale”, in  Vita diocesana 44-1966-2) così si legge: «Non ci sia mese senza aver fatto qualcosa per le missioni, senza qualche mia preghiera od offerta per coloro che lavorano sugli spalti avanzati del Regno di Dio». Nell’Ottobre del 1968 si organizzarono a Noto le Giornate diocesane missionarie nella chiesa del Collegio: la prima per i sacerdoti, la seconda per le suore e la terza, coincidente con la Giornata Missionaria Mondiale, per le associazioni e per i fedeli laici. Il papa Paolo VI per l’occasione inviò questo telegramma: «Augusto Pontefice formulando voti affinché Giornate missionarie diocesane siano provvida occasione affermazione et incremento ideale missionario imparte di cuore ven. clero partecipanti tutti implorata apostolica benedizione. (Card. Cicognani)». 

Negli anni Settanta l’impegno missionario in diocesi ebbe un grosso calo. Nonostante la crisi delle iniziative missionarie e l’insufficiente contributo nei confronti delle PP. OO. MM., in questi anni tuttavia la Chiesa di Noto iniziò a maturare la coscienza di essere missionaria in prima persona. Si incrementarono quindi i rapporti con i missionari originari della diocesi di Noto. Venne più volte a Noto monsignor Giorgio Scarso, di origine modicana, vescovo della Chiesa di Pathos de Minas in Brasile. Le visite dei missionari furono benefiche. Dopo una breve permanenza a Pozzallo di monsignor Scarso, così scrissero i componenti del gruppo missionario di una parrocchia: «Ci siamo accorti che anche noi abbiamo bisogno delle missioni. Infatti le notizie di bene, di fervore catechistico, ministeriale, caritativo ci hanno elevato ed infervorato ancora di più e la nostra cooperazione deve essere vista come una contestazione al nostro modo di vivere cristiano e come uno stimolo ad entrare in comunione con le Chiese di altri popoli».

Negli anni Ottanta ci fu un risveglio missionario in diocesi specialmente per la creazione del “mese missionario” in Africa, iniziativa proposta e guidata da don Salvatore Giordanella, allora parroco a Pachino. Don Salvatore denunciò un certo raffreddamento dello spirito missionario in diocesi e cercò di far prendere coscienza alla comunità che anche la chiesa di Noto è chiamata ad essere missionaria, è chiamata alla condivisione di ciò che possiede di più importante: il Signore Gesù Cristo. La missione, diceva, non è più un compito da delegare ad altri ma è un diritto-dovere della stessa Chiesa di Noto. «La Chiesa locale – sottolineò dalle colonne di Vita diocesana – è soggetto di missione, non riceve un compito, non fa opere di missione, non dà qualcosa per la missione, è vera Chiesa di Cristo se vive la missione. La nostra diocesi ha vissuto l’ottobre missionario 1980 con un pullulare di iniziative. Si parla bene, ci si entusiasma, si scrive benissimo sul dramma delle missioni, ma non si è coinvolti in prima persona per l’annuncio di Cristo ai popoli, e questo non è condivisione. La nostra Chiesa locale prega per le vocazioni missionarie, ma non manda nessuno. Il nostro seminario non ha maturato nessuna vocazione missionaria. Si, siamo contenti che abbiamo alcuni religiosi e religiose missionarie di origine della nostra diocesi, ma non sono figli maturati dalla Chiesa di Noto, e questo non è condivisione piena». Don Salvatore annunciò che un gruppo di cinque persone sarebbero partito nel mese di agosto per un viaggio organizzato da “Africa oggi” di Milano, ma non a titolo personale. Piuttosto in nome della comunità diocesana. Il gruppo rappresentava la Chiesa di Noto che gettava un ponte di amicizia e di solidarietà ad un’altra Chiesa giovane, quella di Iringa in Tanzania. L’allora vescovo di Noto, monsignor Salvatore Nicolosi approvò l’iniziativa. Il gruppo si recò in un villaggio dove erano presenti due sacerdoti di Agrigento. Al ritorno tutti erano entusiasti e rinnovati nella mentalità. Dissero: «Eravamo andati a dare, siamo tornati pieni perché abbiamo ricevuto». Nel 1982 partì per un mese per la diocesi di Butembo-Beni in qualità di fisioterapista Ausilia Garofalo, giovane della comunità di san Pietro in Modica, accolta da Concetta Petriliggieri, ginecologa, anche lei modicana, da tempo in missione in quell’angolo dell’equatore. Nel 1984 altri due giovani della comunità parrocchiale di san Pietro in Modica si recarono nella diocesi di Butembo-Beni, avendo come punto di riferimento Lukanga. Nello stesso anno l’esperienza si ripeté ancora nella Repubblica Democratica del Congo, ma nella diocesi di Isiro. Sempre nel 1984 nacque in diocesi il Centro Missionario per la Cooperazione tra le Chiese. Facevano parte del centro il direttore diocesano delle PP. OO. MM., alcuni membri delle comunità parrocchiali che avevano fatto l’esperienza missionaria in Africa e don Salvatore Giordanella.


Fonte: “Il gemellaggio tra la Chiesa di Noto e la Chiesa di Butembo-Beni. Esempio di cooperazione interecclesiale”. Tesi di Baccalaureato di Don Guglielmo Padua.