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Come evangelizzare la religiosità popolare

La suggestiva festa di S. Corrado, che si è celebrata l’ultima domenica di agosto, a ricordo della beatificazione del Santo, ha sancito il gemellaggio della nostra Diocesi con la Diocesi di Piacenza, patria del Santo dei Pizzoni, alla presenza del Vescovo Mons. Gianni Ambrosio e di una delegazione che lo accompagnava.
L’idea di un gemellaggio con la città di S. Corrado l’ha accarezzata il nostro vescovo, Mons. Antonio Staglianò, per offrirci l’occasione di confrontarci con una diocesi del Nord su un tema, quello della religiosità popolare, cosi presente nella nostra realtà e passaggio obbligato per progettare una evangelizzazione che raggiunga l’uomo del nostro tempo e lo interroghi su Dio e sulla presenza del Figlio amato, Gesù il crocifisso-risorto, che è venuto per rivelarci il volto del Padre e liberarci dal male antico. E’ quasi impossibile incontrarci con Gesù e il suo vangelo senza la mediazione di quelli che lo hanno conosciuto, l’hanno seguito e ne hanno incarnato il messaggio: i santi, che la Chiesa ci addita come modelli. La gente li vede più vicini e vi si rivolge con fiducia. Ignorarli e disprezzarne le modalità con cui ci si rivolge a questi testimoni diventa un boomerang e si rischia di allontanare l’uomo anche da Dio. Accettare acriticamente tutte le manifestazioni di religiosità che il popolo nel tempo s’inventa può essere pericoloso per un serio cammino di fede perché ci si potrebbe ritrovare invischiati in forme pagane che possono sfociare nella superstizione. Ripetuti interventi dei nostri vescovi e non ultimo il nostro Sinodo ci chiedono di valorizzare questa realtà attuando un sano discernimento tra manifestazioni positive da incoraggiare e forme deviate da correggere. A questo scopo ci sembra utile ed arricchente il dialogo pastorale con una Chiesa del Nord, dove il fenomeno è meno rilevante e in ogni caso mostra una diversa connotazione. Per questo si è pensato alla Diocesi di Piacenza che ha dato i natali a S. Corrado, il santo che guidato dalla Provvidenza, si è stabilito nella nostra terra, che ha visto svilupparsi una forte devozione tra la nostra gente che non teme l’usura del tempo.
Il progetto, messo a fuoco in occasione della visita della delegazione piacentina, guidata dal vescovo Mons. Gianni Ambrosio, presentato dalla commissione, creata ad hoc, alla presenza del nostro vescovo, Mons. Antonio Stagliano, e del Consiglio episcopale, si propone di analizzare il processo di inculturazione della fede attraverso un dialogo tra le due realtà che miri alla conoscenza delle esperienze, certamente diverse, di religiosità popolare presenti nelle due Diocesi, analizzando le manifestazioni più significative per scoprirne le radici più o meno profonde. Il vescovo di Piacenza, e la delegazione che lo accompagnava, hanno intanto avuto modo di rendersi conto di una manifestazione tra le più significative della religiosità della nostra gente, quella legata a S. Corrado. Altre avremo modo di farle conoscere attraverso lo scambio di esperienze, pensiamo per esempio a quelle che riguardano i riti della Passione e della Pasqua e le feste di alcuni Santi patroni. Una prima messa a punto la si potrebbe avere il prossimo anno in occasione della festa estiva di S. Corrado allorché, ci è sembrato di capire, la diocesi di Piacenza potrebbe organizzare un pellegrinaggio e per l’occasione potremmo dar vita, in uno o due pomeriggi, a scambi di esperienze e fare così uno primo passo nella direzione della evangelizzazione della religiosità popolare.
 
 
Dopo questo primo approccio, un secondo dovrebbe avvenire a Piacenza, quando, ricambiando la visita, potremmo affrontare in loco un ulteriore aspetto. E’ un progetto che necessita di ulteriori apporti che si chiedono alle due realtà coinvolte. Quando più apporti ci saranno tanto meglio decollerà il progetto a vantaggio della nuova evangelizzazione, cioè di una evangelizzazione incarnata.
 

Chiesa che va amata con fede con amore con la preghiera e la speranza creativa

E’ proprio vero che il Signore scrive dritto sulle righe storte degli uomini; solo così si spiega come una sessione di Esercizi Spirituali, con l’incognita del dove e quando fino a qualche giorno prima, si possa trasformare in una occasione preziosa e ricca di stimoli per i diaconi permanenti convenuti alla Villa Mater Dei di Belvedere nei giorni 3 e 4 settembre per l’abituale momento di esposizione all’azione dello Spirito Santo. Poiché il Signore non ricorre spesso ad eventi straordinari, ma utilizza ordinariamente le persone che si affidano totalmente a Lui per realizzare i suoi progetti, dobbiamo essere grati immensamente alla lungimiranza del responsabile della formazione del nostro corpo diaconale, don Corrado Lorefice, che ha individuato in mons. Greco, già Vicario Generale dell’Arcidiocesi di Siracusa e sempre innamorato della Parola di Dio, la persona idonea a fondare biblicamente l’ontologia e il ministero del diacono permanente. Con l’amabilità, la chiarezza espositiva e la profondità teologica che lo contraddistinguono, mons. Greco ci ha guidati alla riscoperta del nostro essere diaconi, servi della Parola e testimoni dell’amore di Dio nella storia degli uomini del nostro tempo e del nostro territorio. Il riferimento biblico utilizzato non poteva essere più appropriato: At., 6-7, che ci presentano la vicenda umana del diacono Stefano, prototipo e figura esemplare per chiunque desideri rispondere al meglio alla chiamata al servizio nella Chiesa di Cristo con particolare attenzione agli ultimi, i prediletti del Signore.  Il diacono Stefano era, intanto, un uomo conformato a Cristo, “pieno di grazia e verità”, la sua vicenda ripercorre le tappe della Incarnazione, Passione e morte di Gesù, di Colui che è venuto per servire e non per essere servito. E’ questo il Dio cui Stefano dà testimonianza, servendo la Parola e la Carità. Quale l’oggetto verso cui il diacono deve rivolgere il servizio? Innanzitutto la società, svolgendo il proprio lavoro con competenza e impegnandosi nel campo civile e sociale; poi la Chiesa che va amata con fede, perché è di Dio e non degli uomini, anche quando le cose non vanno; “nella Chiesa c’è troppo di umano? Ma è lì che c’è Cristo” ( De Lubac ); con amore, con “viscere di misericordia”, scoprendo il volto di Cristo nei poveri e superando le difficoltà legate alla mancanza di comunione tra di noi; con la preghiera e la speranza creativa che è certezza perché fondata sulla Parola. Il diacono Stefano fu ordinato per il servizio alle mense, alla carità, ma subisce il martirio perché serve la Parola: come Cristo ai discepoli di Emmaus, sintetizza con grande competenza la storia dell’AT e la legge come preparazione all’evento cristiano, suscitando l’ira dei suoi interlocutori.  La competenza nell’utilizzo della Sacra Scrittura, un esercizio indispensabile per chi è chiamato a spezzare il pane della Parola, che non può essere affrontato con improvvisazione e superficialità e, soprattutto, senza aver prima pregato per ricevere la luce dello Spirito. La Parola è Verità e come tale può far male a chi ascolta, pertanto, bisogna mettere in conto l’opposizione, l’indifferenza e la freddezza. Il diacono è anche colui che serve il silenzio, perché indica il mistero di Dio; il silenzio predispone all’ascolto, chi non sa ascoltare non sente Dio che parla, non sente i poveri che si lamentano o non avverte il loro silenzio dignitoso. Il servizio alla Carità richiede l’essere pieni di Spirito Santo, per attingere al mistero di Dio ed evitare il rischio dell’autocompiacimento e della frenesia, che fanno perdere il senso del primato della Parola. Il diacono deve essere attento alle povertà, vecchie e nuove, ma deve saper guardare anche oltre, per risalire alle cause che le determinano ed individuare le fonti che producono le ingiustizie; dopo di che, non può restare inerte, è chiamato ad intervenire con i mezzi a disposizione, non per sostituirsi ai servizi sociali, ma per rispondere alla chiamata a collaborare alla costruzione del Regno di giustizia e di pace, inaugurato da Cristo con la sua prima venuta tra noi e che attende ancora il suo compimento escatologico.  Ecco perché il diacono è e deve essere considerato “uomo di speranza”.  Le parole ascoltate hanno avuto l’efficacia di un farmaco dell’anima, che ci ha trasmesso consapevolezza, serenità e coraggio per continuare il nostro cammino di fede e di servizio a Cristo e alla sua Chiesa, per affrontare meglio le incertezze, le incomprensioni nelle relazioni umane, per superare la tentazione della pigrizia spirituale che potrebbe farci sentire arrivati e non bisognosi di crescere in santità e grazia.  Un ottimo esercizio per prepararci ad affrontare il cammino faticoso ma esaltante del nuovo anno pastorale sorretti dalla certezza della misericordia divina.
 
 

Modica, 15 e 16 settembre: ricordo di don Puglisi

Sarà una celebrazione particolare quella dell’anniversario del martirio di don Puglisi quest’anno a Modica, dove il prete palermitano ucciso dalla mafia viene ricordato con la Casa di accoglienza a lui intitolata e, dall’anno scorso, con il “Patto educativo” legato al cantiere educativo “Crisci ranni” promosso insieme da Casa don Puglisi e Caritas diocesana. Al centro del ricordo di don Puglisi, infatti, quest’anno ci sarà l’accoglienza – nella Casa a lui dedicata – dell’icona della Madonna della tenerezza “scritta” appositamente in un lungo tempo di preghiera dalle Clarisse di Paganica (L’Aquila). Questo dono diventa il sigillo di un legame con la terra dell’Aquila segnata dal terremoto e dalla voglia di rinascere a partire dalle radici spirituali, dalla capacità di ritrovare la speranza che nasce dalla fede e dell’amore. L’icona sarà accolta nella Casa don Puglisi giovedì 15 settembre alle ore 20 con la recita dei Vespri presieduta dal vicario foraneo don Corrado Lorefice. Il giorno dopo, venerdì 16 settembre alle ore 18, l’icona sarà portata alla Fontana nell’area attrezzata Padre Basile. Si prevedono due momenti. Si inizierà con la celebrazione dell’Eucaristia presieduta dal vicario generale della diocesi don Angelo Giurdanella. Subito dopo, alle 19,30, vi sarà un confronto con gli amministratori sul futuro del quartiere e della città. Era questo legame tra messa e vita della città che stava a cuore a don Puglisi, per riscattare il nostro Sud dalla mafia ma anche da ogni forma di degrado morale e sociale. I due momenti previsti permettono un ricordo non solo rituale ma vivo con cui si rinnoverà per tutti la chiamata a non smarrire le fonti spirituali e, con l’energia della fede e dell’amore, impegnarsi per il bene comune, con particolare attenzione ai poveri e alle nuove generazioni.
 
 

Si apre il 2° Convegno di Bioetica

Il vasto consenso riscosso in occasione del primo Convegno  Internazionale di Bioetica svoltosi nel  2010 ha spinto ed incoraggiato la Nostra Chiesa locale a promuovere e realizzare un secondo Convegno Internazionale di Bioetica dal titolo” Quale spazio per la bioetica nella pratica clinica? Presenza, saggezza e umanità al servizio della persona”, che si svolgerà nei giorni 9-10 settembre prossimi. Il Convegno si aprirà in Cattedrale con la prolusione del nostro Vescovo Mons. A. Staglianò dal titolo ” La natura dell’uomo può fondare il discernimento etico?”, e proseguirà nelle sessioni successive nell’Aula Magna del Seminario Vescovile.  
Convegnisti provenienti da ogni parte della Sicilia e dal resto d’Italia, per due giorni potranno seguire diciotto relazioni, partecipare a due tavole rotonde e a vari dibattiti in aula sui temi che saranno trattati da relatori di alto spessore provenienti dalle università italiane e straniere.  
Si tratta di una grossa opportunità prima di tutto per la comunità diocesana, che con la partecipazione al convegno, ma anche attraverso i resoconti del nostro giornale, avrà la possibilità di riflettere sui temi fondamentali della vita che vengono vissuti quotidianamente nelle famiglie.
La cronaca quotidiana propone, infatti, a ritmo incalzante, vicende che richiamano l’attenzione pubblica su problematiche che hanno a che vedere con la vita e la salute del singolo e della collettività, con particolare riferimento al rapporto medico – paziente (la cosiddetta “ bioetica quotidiana”). Oggi sono tanti gli argomenti che richiedono una serie e sapiente riflessione: dagli albori della vita prenatale ( fecondazione in vitro, riduzione embrionale, interventi eugenetici, diagnosi prenatale), alle questioni relative al suo sviluppo e ai suoi stadi ( sofferenza) e alla sua fine (eutanasia, testamento biologico). La costruzione sociale e culturale del significato della scienza, deve potersi liberare contestualmente sia da facili entusiasmi sia da superficiali ostracismi, maturati talora in un humus marcatamente emotivo, per accedere ad una visione equilibrata e sapienziale della vita umana in tutte le sue fasi. Il Convegno, infatti, ha come obiettivo principale quello di fornire risposte alle tante problematiche etiche che le moderne biotecnologie e le relative antropologie di riferimento pongono. Risposte che verranno dai contenuti delle quattro sessioni in cui è strutturato il Convegno: ( Pensare la vitaIl divenire tra genetica e libertà La vita alla prova del tempoQuando il linguaggio si arresta) nelle quali l’apporto scientifico di esperti permetterà l’acquisizione di criteri essenziali per una fondata e pertinente riflessione bioetica che si caratterizza per rigore scientifico e concretezza clinica. “Il II Convegno Internazionale di Bioetica – ha spiegato Mons. Antonio Staglianò, vescovo di Noto – vede quest’anno la sua seconda edizione; con esso ci proponiamo di perseverare in una scelta di formazione e di riflessione sugli attuali temi che interessano la riflessione bioetica, favorendo il dialogo e il confronto fra svariate discipline che hanno al centro la persona”. L’iniziativa offre, infatti,  anche l’opportunità a molti professionisti che operano nelle varie strutture sanitarie ( medici, infermieri, psicologi etc) del nostro territorio, non solo di approfondire le conoscenze scientifiche necessarie all’esercizio di una professione dal profilo altamente umano, ma di soddisfare a quella esigenza di formazione prevista per il personale sanitario dalla normativa vigente. Ma non è da sottovalutare anche l’opportunità per la Città che ospita il Convegno ( Noto) e per gli altri centri della Diocesi di presentare ai tanti ospiti che parteciperanno al Convegno il loro patrimonio artistico, culturale, paesaggistico e umano ( ospitalità). 

Noto e Piacenza con San Corrado verso l’amore di Cristo

 La festa estiva 2011 celebrata a Noto in onore di san Corrado Confalonieri, compatrono della nostra diocesi, tra le manifestazioni costruttive, ben radicate o nuove (vedi ad esempio la celebrazione comunitaria del Sacramento della Penitenza, la raccolta delle offerte per la Chiesa africana gemella di Butembo-Beni e la raccolta alimentare nella “giornata della solidarietà”, nonché il pellegrinaggio penitenziale notturno all’eremo di San Corrado F.M.), ne ha avuto due molto significative e fruttuose che, seppur brevemente, è opportuno mettere in particolare luce.
Anzitutto l’Eucaristia pontificale in Cattedrale, nel giorno proprio della festa, domenica 28 agosto, è stata presieduta dal Vescovo di Piacenza, mons. Gianni Ambrosio. Con lui era presente anche una qualificata delegazione di questa Chiesa emiliana che nel secolo decimoquarto ci ha donato il Santo Eremita dei Pizzoni, fulgido esempio di preghiera, di penitenza e di carità accogliente e solidale. Della delegazione piacentina ha fatto parte anche mons. Domenico Ponzini, ideatore e coordinatore, fin dagli anni ’90, del Consolato a Piacenza dei netini residenti in Nord-Italia. Ad invitare il Vescovo di Piacenza è stato il nostro Vescovo, mons. Antonio Staglianò, nell’ambito del gemellaggio tra la Chiesa di Noto e la Chiesa piacentina, allo scopo di un reciproco arricchimento nella comunione spirituale e culturale, protesa verso la nuova evangelizzazione di cui l’Italia e l’Europa di oggi hanno un estremo bisogno, nella grave emergenza morale, economica ed educativa.
E durante l’omelia dell’Eucaristia pontificale –concelebrata insieme al nostro Vescovo mons. Staglianò e i Vescovi emeriti mons. Nicolosi e mons. Malandrino- il Vescovo di Piacenza si è soffermato proprio su questa urgenza della nuova evangelizzazione che i devoti di San Corrado siamo chiamati ad attingere dalla sua “radicale conversione a Cristo”. Conversione che Corrado, da fedele laico penitente e orante, offre ancora oggi a noi, clero e laici, suoi devoti, a Noto e a Piacenza, perché facciamo anche noi scelte evangeliche radicali controcorrente, per ottenere la vera libertà dell’amore del Signore Gesù.
Sulla stessa lunghezza d’onda dell’omelia del Vescovo di Piacenza, del resto, è stata pure quella del nostro Vescovo durante i Vespri pontificali della vigilia della festa. Mons. Staglianò, in particolare,ha stimolato l’incremento nella città di Noto della “mensa dei poveri”; di quella iniziativa, cioè, promossa dalla Caritas cittadina come antenna evangelica di vicinanza concreta, discreta ed umile davanti alle crescenti e gravi emergenze morali, economiche, lavorative e familiari. Per questa mensa –ha sottolineato il nostro Vescovo- ci è modello trainante San Corrado che “offre il pane caldo”, maturato dal suo incontro orante e penitente con Cristo sorgente d’amore.
Ed eccoci al secondo evento, molto significativo e fruttuoso che ha particolarmente caratterizzato la festa estiva 2011 di San Corrado a Noto.
Per la prima volta sono convenuti in Cattedrale per una solenne concelebrazione della Eucaristia –durante il triduo di preparazione: mercoledì 24, giovedì 25 e venerdì 26 agosto- diversi fedeli, accompagnati dai rispettivi vicari foranei da Modica, Pozzallo e Scicli; da quei vicariati cioè dove la devozione al compatrono della diocesi è meno sentita, a differenza dei vicariati di Noto, Avola, Pachino e Rosolini (di questi ultimi vicariati, in particolare, è da sottolineare il devoto e partecipato pellegrinaggio notturno nelle due notti di venerdì e sabato, fino alla S. Messa delle ore 5.00 del mattino).
I vicariati sopracitati accorsi in Cattedrale si aprono così verso la comune devozione non solo a Maria SS: Scala del Paradiso (dal novembre1963 patrona principale della nostra diocesi), ma anche a quella verso l’eroico eremita della penitenza, della sobrietà, della preghiera e della carità, con cui tutta la diocesi netina potremo insieme aprirci alla carità di Cristo attraverso l’intercessione e l’esempio di Maria e di Corrado.
 

Lasciarsi educare dalla misericordia di Dio

Sarà la misericordia di Dio, la sua energia educativa, il suo incontro con la nostra fragilità, il tema del prossimo anno pastorale ed anche della prima lettera pastorale del nostro Vescovo. Nel prossimo numero ne parleremo più diffusamente. Intanto informiamo fin d’ora che il consueto Convegno pastorale d’inizio anno si terrà il 23-24-25 novembre, dalle 19 alle 21 a Noto in cattedrale: per meglio sintonizzarci con l’anno liturgico e per avere un tempo di preparazione nelle parrocchie e negli organismi pastorali. Esso è strettamente collegato ai tre incontri unitari per tutti gli operatori pastorali (catechisti, animatori della liturgia e della Caritas, membri dei consigli pastorali parrocchiali, aggregazioni laicali, animatori della pastorale familiare e giovanile, sociale, missionaria, ecumenica). Gli incontri si terranno all’Oratorio San Domenico Savio di Rosolini dalle 19,30 alle 21 di mercoledì 28 settembre, giovedì 1° marzo, venerdì 4 maggio e saranno introdotti da padre Giovanni Salonia, cappuccino, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Gestalt Kairòs, autore di numerosi saggi di teologia e di pastorale, tra cui ricordiamo (pubblicati dalle EDB) Kairòs sulla vita comunitaria, l’accompagnamento spirituale e il discernimento, Odòs. La via della vita sui temi della relazione, dell’affettività, della corporeità. Con le edizioni “Il Pozzo di Giacobbe” sono stati recentemente pubblicati Sulla felicità e dintorni, Le sue braccia sempre aperte.
 

Mons. Staglianò Visita la comunità “netina” di Toronto

La “visita pastorale” che mons. Antonio Staglianò ha compiuto a Toronto, in Canada, lo scorso mese di agosto, si colloca in continuità armonica con due precedenti viaggi di “visita pastorale” effettuate dai due vescovi predecessori: i due viaggi pastorali di mons. Nicolosi nei mesi di agosto del 1974 e del 1992e quello successivo di mons. Malandrino nell’agosto del 2005 (in preparazione alla visita pastorale nel vicariato di Pachino-Portopalo,  il vescovo Malandrino aveva voluto incontrare prima i pachinesi emigrati a Toronto che allora erano oltre 18mila). Perché proprio nel mese di agosto? Perché la “colonia” più consistente di fedeli della nostra diocesi, da più generazioni emigrata a Toronto, è composta prevalentemente da pachinesi, i quali hanno in Maria SS. Assunta in cielo (la festa si celebra in tutto il mondo cattolico e ortodosso il 15 agosto) la loro Patrona principale. Ebbene i pachinesi a Toronto, proprio in questa data, organizzano una solenne festa durante la quale una statua dell’Assunta, scolpita con le stesse fattezze di quella di Pachino, viene portata in processione lungo alcune strade del centro storico di questa città canadese. Si rivive così in terra straniera l’identità religiosa e l’appartenenza culturale della propria città di origine. Già diverse volte l’indimenticabile mons. Vincenzo Spiraglia, che è stato il grande “profeta, costruttore ed evangelizzatore” della nuova Pachino, era andato a Toronto, ove riceveva generosa accoglienza e celebrava la festa dell’Assunta con i suoi amatissimi concittadini. Questi, insieme ad altri diocesani a Toronto (notinesi, avolesi, modicani, rosolinesi, ecc.), desideravano una “visita pastorale” anche dei loro vescovi.  Il nostro giornale sulle predette visite ha dato largo resoconto sui copiosi frutti spirituali e culturali maturati.

Come si diceva, il nostro vescovo mons. Antonio Staglianò, proseguendo la tradizione portata avanti dai suoi predecessori ha svolto dal 10 al 23 Agosto scorso una visita pastorale alla comunità di Toronto per incontrare la comunità dei Pachinesi in occasione dei festeggiamenti di Maria SS. Assunta, Patrona di Pachino e quella della città di Chiaravalle alla quale il nostro vescovo è molto legato. Mons. Antonio Staglianò, durante la sua visita in Canada ha incontrato Mons. Thomas Collins, Arcivescovo di Toronto, con il quale ha avuto uno scambio di vedute sui vari temi della Chiesa e con il quale ha trattato la possibilità di future collaborazioni tra la Diocesi di Noto e di Toronto. Di seguito, i momenti più significativi del viaggio del Vescovo che, come può notarsi dal programma qui pubblicato, è stato ricco di incontri e di momenti emozionanti.
 

L’incontro con la comunità pachinese di Toronto per la solennità di Maria SS. Assunta in cielo 
 

Nel corso della celebrazione, molto sentita dai pachinesi, il vescovo ha spiegato il “segno” che Dio ci ha voluto donare in Maria di Nazareth “assunta in cielo”. «Nel segno di Maria assunta in cielo in anima e corpo, noi sappiamo che il nostro corpo non è per il dominio o per la sopraffazione o per un vile commercio di sé dentro le tante vie impure dello sfruttamento degli esseri umani. No, il nostro corpo è fatto per il dono, per l’amore, per la dignità, per la lealtà, per l’amicizia. È stato creato come epifania del nostro essere persone, cioè uomini e donne capaci di relazione amativa, creati per amare ed essere amati. Maria assunta in cielo insegna a tutti che noi non “abbiamo” un corpo, ma che noi “siamo” il nostro corpo e che anche il nostro corpo, cioè le nostre persone corporee, staranno nell’amore di Dio per sempre».

L’incontro conviviale con la comunità italo-canadese (12 Agosto 2011)

Molto suggestivo è stato l’incontro conviviale, vissuto nella gioia e nella reciproca accoglienza con la comunità italo-canadese. Nel corso della “cena
di gala” Mons. Staglianò ha rivolto ai presenti un pensiero nel quale ha manifestato, ancora una volta, la sua gratitudine per l’accoglienza ricevuta. “Porto
con me, per voi -ha detto tra l’altro il Vescovo- anche i saluti di tutti i fedeli della diocesi di Noto e in particolare quelli di Pachino, che vi sentono come parte
della loro comunità civile e cristiana. È una comunità umana, bella, ricca di tante risorse, creativa in tanti settori lavorativi, artistici e culturali, nell’edilizia e nell’agricoltura.
Tutto questo fa ben sperare per il futuro. Speriamo nella possibilità di risalire la crisi del momento, non senza l’aiuto di Dio.[…] Il messaggio di Gesù
e della Chiesa cattolica ha un grande signifi cato sociale e umano: se veniamo a sapere da Gesù che il nostro Dio è amore dall’eterno e che noi siamo stati creati
a sua immagine e somiglianza, allora sappiamo che anche noi siamo “amore”, e dobbiamo vivere amandoci. Quest’amore non è astratto. È amore che ha sempre
un “corpo”, cioè ha sempre delle manifestazioni corporee: si tratta di dar da mangiare agli affamati, da bere agli assetati, di vestire i nudi e avvicinare quelli che
si trovano nelle affl izioni, nel pianto, per malattie o particolari debolezze della loro esistenza. […] Nella Diocesi di Noto, da anni stiamo predicando un cristianesimo
più sociale perché più mistico. Così ho sostenuto nella mia Quarta Lettera ai Presbiteri, affi nché i sacerdoti –guide della comunità cristiane– andassero
convinti e coraggiosi in questa direzione. […] Carissimi, voi conoscete molte di queste problematiche perché le avete sofferte in prima persona. Avete sofferto
lo “sradicamento” dalla vostra terra e avete contribuito con il vostro sacrifi cio e il vostro impegno di lavoro (creatività e competenza) a far crescere questo Paese che
vi ha accolto, imprimendo in esso un “carattere tutto italiano”. Ora appartenete a questo popolo del Canada –ed è giusto che ne siate orgogliosi– benché le vostre
radici, il vostro “DNA umano” resti sempre italiano e siciliano. Allora voi siete per noi un segno di grande speranza, perché custodite e condividete con noi siciliani
quella forza d’animo, quella generosità di cuore e quell’apertura d’intelligenza che saranno le vere risorse per risorgere continuamente da questa crisi e da ogni crisi.

L’incontro con i Chiaravallesi per la festa della Madonna della Pietra (21 Agosto 2011)

Particolarmente sentito da mons. Staglianò è stato l’incontro con la comunità calabrese proveniente da Chiaravalle, paese d’origine della sua famiglia. Il
vescovo si è così espresso: «Amici carissimi, per molti di voi questa “seconda Patria” è divenuta orami “la prima”, ma non l’unica. Il riferimento all’Italia
e a Chiaravalle è insopprimibile, perché è scritto nella vostra umanità calda, laboriosa, capace di sacrificio e di dono.[…] La festa della “Madonna della
Pietra”, da voi celebrata di generazione in generazione, lo dimostra. Non è solo un ricordo di quanto si faceva e si fa a Chiaravalle, ma è una “memoria” della
vostra identità da cui sempre attingere nei momenti di difficoltà e per rilanciare il senso della vita e la gioia di guardare avanti per un futuro migliore. […]

Il saluto del parroco della parrocchia di Santa Brigida, p. Carlos A. Sierra

Come segno di gratitudine per la visita di mons. Staglianò, il parroco di Santa Brigida ha rivolto al nostro Vescovo un pensiero con il quale ha voluto esprimere
la gioia della comunità per l’incontro con il Pastore della Chiesa d’origine. In particolare p. Carlos ha detto: «Ancora una volta, e continuando con la lunga tradizione
di questa celebrazione della Chiesa Universale, e in particolare della comunità pachinese di Toronto, festeggeremo questo Dogma che riconosce nella Madonna
l’incorruttibilità del suo corpo e così la suddetta Assunzione di Maria in corpo e anima al Regno dei Cieli. Credo siano molti i motivi che ispirarono i Padri Conciliari
a dichiarare questo Dogma, non solo per la forza delle dichiarazioni precedenti riguardo alla Madonna, ma soprattutto perché prescelta da Dio, immacolata nella
sua concezione, umile nella dedizione alla volontà del Padre, essa è stata il primo “tabernacolo” di Gesù. Al di là di queste ragioni teologiche e spirituali per celebrare
questa festa, abbiamo altri motivi che ci ispirano e riempiono di gioia a sua volta,come per esempio la presenza di Monsignor Staglianò, Vescovo di Noto, e quindi di
Pachino. Lui viene tra noi, come ha promesso, a visitare gli italiani della diaspora,gli immigrati che son venuti in queste terre canadesi per fare storia e seminare
tradizione e per costatare di persona come la devozione alla Madonna Assunta,gelosamente e fedelmente osservata da questi nostri Italiani, può dare una parola
di speranza alla sua Diocesi di Noto.

 
 
 

Dal 12 al 18 settembre il Reliquario di SantaTeresa di Gesù Bambino in Diocesi

Ancora una volta, in questo mese di settembre, avremo la gioia di accogliere un’insigne reliquia diSanta Teresa di Gesù Bambino, Patrona delle Missioni e Dottore della Chiesa.
A distanza di cinque anni, la Santa ritorna a visitarci, segno tangibile di predilezione per questa porzione di Chiesa pellegrina in Noto, riproponendoci il messaggio sempre attuale della sua spiritualità: la vocazione all’Amore. La sua riscoperta della gratuitàdell’amore di Dio che ci salva non per le nostre opere, ma per misericordia, e che chiede a noi solo la fiducia incondizionata di lasciarsi guidare da Cristo, ci affascina e ci coinvolge oggi più che mai. Il suo slancio a gettarsi tra le braccia di Dio come un bambino, altro non costituisce, poi, che il fondamento della “piccola via”, che essa traccia, e la cui validitàè stata più volte riconosciuta dal Magistero della Chiesa.
Presentandoci Dio come misericordia, Teresa ci pone nel cuore della Sacra Scrittura. In questo amore, è una chiamata ad una risposta d’amore. Ma, come sappiamo, questa risposta dell’uomo è necessariamente limitata. Così, per Teresa, l’amore deve generare la speranza. Quel «Dio che è Amore»(1Gv 4,7) è pure il «Dio della Speranza»(Rm 15,13) che depone i suoi doni nelle nostre mani vuote. D’altronde, la vita di Teresa altro non è stata se non l’esperienza delle «mani vuote», l’esperienza dell’«uomo della strada», la storia di ogni cristiano. Infatti, ogni cristiano, dopo aver tentato di raggiungere, con più o meno entusiasmo, l’amore con i propri mezzi, deve passare attraverso l’impotenza che purifica e sfociare nell’abbandono al Padre che «suscita in noi il volere e l’operare secondo i suoi benevoli disegni» (Fil 2,13).
Vivendo in questa logica, Santa Teresa di G,B,  che ha promesso di iniziare la sua missione in terra dopo la sua morte, facendo amare Dio dagli uomini come lei lo ha amato e passando il “suo cielo” a fare del bene sulla terra, senza stancarsi finché ci saranno anime da salvare, vuoi dirci ancora, con chiarezza, che il Vangelo dell’Amore va incarnato nella storia a favore degli uomini per i quali Cristo èvenuto ed ai quali ha mandato la sua Chiesa missionaria.                                          
In quest’ottica e consapevolezza, la presenza del Reliquario della Santa di Lisieux fra noi, ci appare veramente come un dono foriero di grazie per la nostra esperienza e testimonianza di vita cristiana.
Approfittiamone!
 
 

1 Settembre 2011 – 6a Giornata per la Salvaguardia del creato

Il tema della 6ª Giornata per la salvaguardia del creato è assai significativo nel contesto del dibattito ecclesiale e culturale odierno. Esso si articola in quattro punti, in continuità con l’argomento trattato l’anno passato, Custodire il creato, per coltivare la pace, nella linea degli Orientamenti pastorali dell’Episcopato italiano per il decennio corrente: «La comunità cristiana offre il suo contributo e sollecita quello di tutti perché la società diventi sempre più terreno favorevole all’educazione. Favorendo condizioni e stili di vita sani e rispettosi dei valori, è possibile promuovere lo sviluppo integrale della persona, educare all’accoglienza dell’altro e al discernimento della verità, alla solidarietà e al senso della festa, alla sobrietà e alla custodia del creato, alla mondialità e alla pace, alla legalità, alla responsabilità etica nell’economia e all’uso saggio delle tecnologie» (Educare alla vita buona del Vangelo, n. 50).
La Giornata diventa così occasione di un’ulteriore immersione nella storia, per ritrovare le radici della solidarietà, partendo da Dio, che creò l’uomo a sua immagine e somiglianza, con il mandato di fare della terra un giardino accogliente, che rispecchi il cielo e prolunghi l’opera della creazione (cfr Gen 2,8-15).
 
 
 
 

La festa di S. Corrado tra Devozione e Tradizione

L’esperienza del religioso costituisce un aspetto importante della vita sociale e credente di una città. Prescindere da questo aspetto significa negare la storia e la cultura di un popolo. Si può dire che esso sia “l’anima credente” che purifica e sostiene la vita relazionale di una cittadinanza. Questa dimensione religiosa conosce vari modi di traduzione civile, sulla base di una gestualità che affonda le sue radici nella forte esperienza di una devozione, la quale nel tempo è diventata “culturale”, ovvero forma di vita che riflette l’agire e il pensare di tante persone. Dentro quest’anima credente vi è, per i netini, l’indelebile figura di S. Corrado, il cui accompagnamento, sempre vivido, ha nel mutamento delle epoche alimentato e accresciuto la fede dei suoi devoti. A lui si dedicano momenti spirituali forti, affinché l’auspicio della sua mediazione possa generare benedizione e perdono da parte di Dio su ciascuno e sull’intera città. Si crede fermamente nella forza della sua santità e soprattutto si guarda a lui per imparare ad essere dei “buoni cristiani” che sappiano praticare gli elementi essenziali del vangelo nella ferialità della vita.
La processione, che annualmente è dedicata a lui nelle forme ormai consolidate di quattro appuntamenti, si inserisce in una modalità di manifestazione molteplice. Non bisogna dimenticare che il cuore della festa religiosa è la celebrazione dell’Eucaristia attorno al Vescovo, quale momento di crescita per una comunione che travalica i confini della città. S. Corrado è patrono di Noto; ma la sua devozione si estende alle città viciniori, come Avola, Pachino e Rosolini, e progressivamente si sta tentando di far capire che la figura di S. Corrado interpella tutta la Diocesi, non soltanto perché è il compatrono, ma anche perché la sua vicenda di conversione può suggerire modi concreti di vita evangelica che mirino unicamente alla comunione. Forse è qui che la devozione si piega alla tradizione. La festa di un santo, come appunto S. Corrado, non può essere lasciata dentro gli schemi di una devozione. Occorre che le luci di santità della sua persona divengano raggi di comunione che illuminano i credenti di Noto a sentire la grandezza di essere in comunione con i credenti di altre città che fanno parte dell’unica comunità diocesana.
Accanto a questo momento centrale di vita cristiana vi è quello più personale ed intimo: la fede del netino. Anche quest’aspetto non può essere dimenticato. Esso costituisce un altro pilone importante della festa dedicata a S. Corrado. Ed anche qui la devozione cede il passo alla tradizione. Se la facies culturale di una festa è certamente la devozione, non si può, considerando il cammino di fede che muta e cresce, fermarsi ad una realtà che rischia di cristallizzarsi dentro forme che hanno sì fondamento storico, ma non riescono ad esprimere il corso mutevole di un’altra storia, quella concreta e tangibile, della vita quotidiana della gente. Quest’ultima, si deve ammettere, ha ormai cambiato il proprio modo di vivere: ha imparato a sentire voci differenti dentro una società globalizzata; ha cominciato ad esprimere, con forte senso critico, quel religioso che non può restare stantio dietro la creatività di una fede che spinge verso prospettive nuove e inaspettate. Se per devozione si intende una forma culturale di religiosità, e tutte le forme culturali sono soggette a mutevolezza, la tradizione rivela invece ciò che è inalterabile: la fede del netino. Perché soltanto la fede può essere “consegnabile” trapassando tutte quelle forme di ethos che se da una parte rappresentano l’anima credente di una cittadinanza, dall’altra subiscono l’equo e dovuto adattamento dentro lo scorrimento delle vicende umane. A questa fede, profonda e insindacabile, che è la fede del netino – quella fede che ha mantenuto nei secoli la devozione a S. Corrado – che bisogna guardare con rispetto, attenzione e fiducia. È questa la tradizione da custodire, lasciando che le forme di devozione si asserviscano alla crescita della vera fede.
La distinzione che esiste tra devozione e tradizione, la quale peraltro consente di contestualizzare con intelligente oculatezza la festa del nostro patrono, è necessaria quanto doverosa. Un chiarimento che non rileva discordanza. I due aspetti sono, da un punto di vista storico e teologico, equivalenti e referenziali. La devozione non può sussistere senza la tradizione: il suo destino sarebbe la superstizione; nondimeno la tradizione senza devozione altro sarebbe che un modo astratto di vivere il religioso. La devozione pertanto aiuta la tradizione ad essere storica, accogliendo quelle mediazioni spirituali, civili e religiose che le epoche in qualche modo determinano. La tradizione però è alquanto necessaria alla pratica devozionale. Essa infatti ha il compito di fissare ciò che è il basamento di una spiritualità che paradossalmente accomuna e favorisce la condivisione di forme culturali differenti e talvolta contrastanti. Si pensi, per esempio, al modo come si vive la fede nel continente europeo e come essa si esprime nelle variegate forme culturali del continente africano o asiatico. La tradizione è certamente la forza trainante delle devozioni religiose, ma queste ultime non possono identificarsi con quella che rappresenta il credo religioso di un popolo. È nella tradizione infatti che la fede deve cercare il proprio senso di espressione; con la devozione invece la medesima fede rivela quella esuberanza che genera adattamenti culturali e forme di religiosità ispirate dal succedersi delle epoche.