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Si è conclusa la V GDG 2009 a Pozzallo

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Sabato 30 maggio a Pozzallo si è svolto l’evento tanto atteso dai   giovani della nostra diocesi, la quinta giornata dei giovani.  Un anno di preparazione, una anno di aspettative.
 È stato l’evento degli eventi, celebrato nel cuore della notte giovane di Pozzallo, per dare testimonianza della nostra fede sino agli estremi confini della terra.
È stato un evento eccezionale perché è stato il primo incontro ufficiale del nostro Vescovo con i giovani, giovane  tra i giovani, ai quali  ha detto: “Non valiamo per quello che abbiamo, per le vostre tasche, ma per Lui, per Dio, valiamo per quello che siamo, persone umane”. Proseguendo il vescovo ha affermato con passione e forte calore umano: “è la nostra bellezza che dobbiamo coltivare. Noi dobbiamo essere capaci di seguire il dono della vita sino a morire. Impariamo l’Amore, l’A-morior, perchè l’amore è l’esperienza che nega la morte, infatti l’amore è più forte della morte. Il Vescovo ha concluso con un motto che è piaciuto tanto ai giovani: “seguite Gesù Cristo e dite no a Narciso”.
È stata la nostra veglia di Pentecoste celebrata nell’agorà dei giovani  di Pozzallo , Piazza delle Rimembranze, dove i giovani si incontrano abitualmente ogni sabato.
E’ stata la più bella conclusione del mese Mariano. Ed è stato l’evento conclusivo  del triennio dell’agorà dei giovani Italiani.Triennio bellissimo ed entusiasmante che ci ha insegnato ad ascoltare i giovani, ad annunciare Cristo, a comprendere che il Vangelo per essere buona notizia deve diventare cultura, la nostra cultura, il nostro linguaggio.Da qui nasce  il tema della giornata che ci ha accompagnato quest’anno in tutti i nostri appuntamenti pastorali diocesani e vicariali  : “ noi e paolo discepoli senza confini”, in sintonia con l’anno paolino e con il tema  della GMG di Sidney  “ fino agli estremi confini della terra”. I protagonisti sono stati i giovani anche con la presentazione dei cortometraggi, realizzati proprio da loro per filmare la propria fede.
Alle ore 19,00 l’intervento di fra Massimo Cavalieri ha incantato i giovani con grande maestria ed arte da vero oratore: “Paolo era una persona sicura. L’insicurezza fa parte della vita. La vita si spezza.” Una raffica di domande rivolte ai giovani – “La vita non è quella che sogni? Qual’è la realtà? Come deve essere la felicità?” – Gli ideali ti distruggono o distruggono la vita degli altri? – ha detto fra Massimo – Gli ideali che TU insegni ti fanno vedere la vita come non è. Ci sono rapporti dove non si capisce chi si ama. No ad Internet usato male, ferisci l’amore quando no sa presentare l’Amore. Quante volte noi in nome dell’amore uccidiamo l’amore, come Paolo, che aveva una relazione idolatrica con Dio prima del suo incontro con Lui – ha proseguito ancora dicendo con forza – Non riducete la Fede a Religiosità. Il Dio vero, che ci ama, che ci viene incontro, ci cerca dove siamo. Ti visita facendo verità. Diciamo si alle relazioni autentiche. Portando la sua personale esperienza fra Massimo suggerisce ai giovani – Ho trovato il senso della mia vita: Servire! Incontrando Gesù ho cambiato la mia vita, ho imparato ad amare le persone non per quello che hanno ma per quello che sono. Per essere Testimoni di Cristo devi evere il coraggio di Riconoscere Dio in qualsiasi momento. La Croce fa la verità. Siamo chiamati ad essere ad essere Gesù Cristo, non uno senza identità, ma figli prediletti. Bisogna avere un’autenticità nei rapporti d’amore perchè l’amore è affascinante e lascia senza parole.
Davvero imprensionante il modo con il quale ha parlato ai giovani pe circa un ora intera senza stancarli. Bravo fra Massimo!!!

 

 

Pellegrinaggio diocesano in Turchia sulle orme di S. Paolo

A conclusione dell’Anno giubilare Paolino e dell’anno pastorale diocesano dal tema: “Discepoli di Gesù sulle orme di Paolo”, dal 4 al 12 agosto 2009 avrà luogo il Pellegrinaggio diocesano in Turchia con la presenza del nostro Vescovo Mons. Staglianò, aperto a tutti. Per l’organizzazione l’Ufficio Diocesano Pellegrinaggi ha scelto insieme al Vescovo il Tour operator Opera Romana Pellegrinaggi. Le prenotazioni vanno fatte entro il 2 giugno. Per maggiori informazioni ci si può rivolgere a don Mario Martorina chiamando lo 0932-905844. All’atto della prenotazione bisogna corrispondere l’anticipo di € 350,00, mentre il saldo verrà corrisposto entro il 03-07-2009.
Ripercorrere i passi di S. Paolo nelle terre di Turchia rappresenta un pellegrinaggio verso le origini della diffusione del cristianesimo, per capire le caratteristiche del primo sviluppo della parola di Gesù in Asia Minore ed i modi poi attraverso i quali è giunta in Europa. Può diventare allora molto suggestivo ripercorrere le tappe della vita di S. Paolo e del suo apostolato.
In Turchia si incontrano anche i luoghi in cui Giovanni Evangelista si è recato con Maria ed i luoghi in cui ha scritto le pagine del suoVangelo.
Sempre in questa zona troviamo le vestigia di quelle città in cui si sono svolti i primi concili ecumenici; tracce di una vita monastica millenaria ed i luoghi che hanno ispirato le meditazioni e la preghiera dei primi Padri della Chiesa.
E’ esperienza molto affascinante trovare le tracce del cristianesimo nascente in mezzo ad una stratigrafia culturale che ha assorbito i popoli più diversi.
La Turchia ha conosciuto Hittiti, Frigi, Lidi, Persiani, poi successivamente Greci, Romani, Bizantini, Arabi…ed ognuno di questi ha lasciato nei paesaggi di questa terra segni del proprio cammino di conoscenza.

Scarica il programma dettagliato del Pellegrinaggio in PDF >>

 TARSO
Paolo stesso dice di sé “io sono ebreo, nato a Tarso, una città abbastanza importante della Cilicia” Al tempo della sua giovinezza, Tarso era una città dalla fiorente vita culturale. E’ questo il luogo in cui è nato Paolo ed in cui ha passato la sua giovinezza, anche se poi approfondì i suoi studi a Gerusalemme. Nel territorio attorno ancora si vedono le caratteristiche capre nere, conosciute nell’antichità per i tessuti di cilicio: Paolo stesso nella sua giovinezza era fabbricante di tende. Esite una tradizione iconografica che rappresenta S. Paolo come tessitore – in questo caso, in senso metaforico -: curava le relazioni e diffondeva la Parola attraverso i suoi dialoghi e le sue lettere, proprio come quando un tessitore cura l’ordito e la trama…così  Paolo si avvicinava all’incontro con le altre culture e con ogni uomo che incontrava nel suo cammino.
A Tarso ritroviamo le vestigia della casa natale dell’apostolo, ma anche i luoghi in cui si è ritirato in solitudine nel momento in cui la sua vita a Gerusalemme era in pericolo: ed ecco i giardini e le cascate del fiume Cidno, dove probabilmente si è raccolto in preghiera. Poi il silenzio nella vita a Tarso fu rotto dall’arrivo di Barnaba che invitava Paolo a recarsi presso la giovane comunità d’Antiochia.

SMIRNE
Izmir, l’antica Smirne, città natale di Omero, antica colonia eolica, presenta ancora le vestigia del suo passato ellenistico e romano. Ma quali sono in essa le tracce del passato cristiano?
La comunità cristiana di Smirne era una delle prime chiese in Asia Minore ed una delle sette chiese cui sono indirizzate le lettere dell’Apocalisse di S. Giovanni.
A Smirne fu vescovo Policarpo, figura dalla personalità particolarmente affascinante; con questa chiesa giunse a contatto Ireneo, considerato studioso di particolare rilevanza, a contatto con l’Oriente e l’Occidente, con la sua fede corroborata dall’esperienza delle chiese arcaiche dell’Asia.

EFESO
Ai tempi di Paolo, Efeso si trovava sul mare, città centrale dell’Asia proconsolare romana e porto fiorente dell’Asia Minore. L’ambiente culturale e religioso era il frutto dell’innestarsi delle culture ionica, persiana, ellenistica e romana sulla base sociale indigena dell’Anatolia. Efeso era fondamentale  meta di pellegrinaggio per il culto della Dea Madre, Cibele, Artemide tra i greci e Diana tra i romani. Da tutti i territori dell’Asia Minore provenivano i pellegrini che si recavano al suo santuario.
Ed oggi su un’altura suggestiva, il monte Bubul Dagi, si trova la ‘casa della Vergine’, divenuta poi chiesa della ‘dormizione’ di Maria (questo è un tema iconografico  molto diffuso in Oriente: Maria non è morta, ma si è solo addormentata profondamente, per poi essere successivamente assunta in cielo – sulla base di una certa tradizione la dormizione sarebbe avvenuta sul monte Sion, secondo un’altra invece, sarebbe avvenuta ad Efeso, dove Maria sarebbe stata portata da Giovanni, cui era stata affidata da Gesù): le tracce archeologiche sono difficili da rintracciare, ma si respira tutto il mistero della donna che fu Madre di Dio. E’ qui che Maria probabilmente seguì il discepolo Giovanni; è qui che nel 431 il III concilio ecumenico proclamò Maria Theotokos, cioè Madre di Dio; e quassù che Giovanni Paolo II è venuto come pellegrino.
In questo luogo, già meta di antichi pellegrinaggi, S. Paolo proclamò il Vangelo, generando grande scalpore: arrivò qui per la prima volta dal mare, da Corinto, insieme ad Aquila e Priscilla, e vi tornò poi nel suo terzo viaggio, rimanendovi per poco meno di tre anni. Inizialmente predicò nella sinagoga, poi nella scuola di Tiranno ed intrecciò un dialogo, profondo e paziente con gli uomini del luogo. Da Efeso Paolo, fortificato nella sua predicazione dall’esperienza, si recò ad evangelizzare altre parti del mondo.
‘In principio era il Logos’, così scrive Giovanni all’inizio del suo Vangelo, alla cui stesura sembra si dedicò proprio qui ad Efeso: Eraclito, cinque secoli prima aveva parlato del Logos come ragione eterna presente nello spirito dell’uomo, di cui però l’uomo è inconsapevole. Giovanni ad Efeso proclamerà Gesù il Verbo di Dio. Sull’Acropoli si venerano oggi le spoglie di S. Giovanni Evangelista nella Basilica fatta erigere da Giustiniano nel VI sec.

ISTAMBUL
L’antica Bisanzio, poi Costantinopoli, conserva intatto tutto il suo fascino. Costantino la inaugurò come novella Roma nel 330 d.C. e tentò di unificare le diverse culture attraverso il Cristianesimo, nel 381 fu indetto il secondo concilio ecumenico. Con Giustiniano l’impero romano si identifica con l’ecumene cristiana: fu proprio quest’imperatore a far erigere la splendida Basilica di S. Sofia, che segnò l’inizio di quell’arte nuova che diventerà poi peculiare di questa area. “Chi ha visto la chiesa di S. Sofia a Costantinopoli e si è lasciato stupire da ciò che lì si rivela, sarà per sempre arricchito da una nuova comprensione del mondo in Dio, della Sapienza divina stessa”. Così scriveva Bulgakov e davvero la Basilica colpisce per il suo splendore e per la bellezza della Vergine , la Theotokos, rappresentata nell’abside. La stessa bellezza che emana dal Pantocrator, il Signore, re dell’universo, presente nella chiesa di S. Salvatore in Chora (questa denominazione si riveste di diversi significati: “in chora”, perché la chiesa è situata in campagna, ma chora anche nel senso di terra e grembo, per l’iscrizione sotto il mosaico che indica in Gesù la terra dei viventi e  per il mosaico che presenta Maria, grembo dell’Incontenibile). A Costantinopoli vissero grandi uomini della chiesa: Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo (“bocca d’oro”) ne furono vescovi; Gregorio Magno visse insieme ai suoi monaci nel VI sec nella Domus Placidiae.

 


DUE NUOVI DIACONI NELLA CHIESA NETINA

La nostra Chiesa Diocesana giorno 23 Maggio si allieterà per l’ordinazione diaconale di due suoi figli: Salvatore Bella e Michele Iacono, seminaristi, che saranno ordinati Diaconi in vista del Presbiterato da Mons. Staglianò che per la prima volta conferisce l’Ordine sacro come XI Vescovo di Noto.
Il diacono è ordinato ” non per il sacerdozio ma per il ministero” (Lumen Gentium 29), anche se nel caso dei seminaristi il loro diaconato è transeunte, cioè in vista del presbiterato. Il ministero del diaconato serve nello stesso stile di Cristo, grazie a un carisma speciale dello Spirito Santo. “Diacono” è appunto colui che, nell’ambito della comunità cristiana, si fa “servo” modellandosi su Gesù Cristo che ” non è venuto per essere servito ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti”. Siamo sicuri che Salvo e Michele troveranno il senso autentico del ministero che stanno per assumere in queste parole di Gesù.
Diventare diaconi infatti vuol dire abbandonare la logica di questo mondo  – incentrata sull’affermazione del proprio io – per adottare quella di Dio – incentrata sul dono di sè per il bene degli altri.
Mons. Tonino Bello infatti diceva: “Il diacono è colui che deve sollecitare, stimolare il servizio di tutta la Chiesa… Lui è il segno provocatore, colui che fa di sè una provocazione. Come quelle persone che disturbano i sogni degli altri. Lui è il segno provocatore del servizio di tutta la comunità”.
Disponendo il nostro animo a partecipare con emozione e gioia al rito dell’ordinazione diaconale di Salvo e Michele, chiediamo al Signore per tutti noi e in modo speciale per questi nostri fratelli il dono del suo Spirito, perchè ci dia la forza di essere autentici servitori dei nostri fratelli per amore di Cristo e per l’edificazione della sua Chiesa, sull’esempio di Maria SS., donna di autentica carità, che nella Chiesa di Pozzallo viene venerata con il titolo di Madonna del Rosario.
A Lei chiediamo preghiera e intercessione per le vocazioni di speciale consacrazione, alla vita religiosa, appunto al diaconato e al presbiterato.

DAL SANTUARIO DELLA SCALA: ASCENDERE FINO A TOCCARE DIO

Anche quest’anno con il nuovo Vescovo Mons. Staglianò si è celebrato il tradizionale Pellegrinaggio diocesano al Santuario Maria SS. Scala del Paradiso. La processione ha avuto inizio all’altezza della prima curva lungo la Via Sacra con la presenza del Vescovo alle ore 17,30. A seguire celebrazione eucaristica con inizio alle ore 18,30 nella spianata alle spalle del santuario. Durante l’omelia il Vescovo ci ha ricordato che “ se a noi è dato di ascendere a Dio per mezzo di Maria Scala del Paradiso, Lui il Signore discende per divenire simile a noi”. Numerosa e attenta è stata la partecipazione del popolo di Dio al quale il Vescovo si è rivolto esortandolo ad imitare Maria Scala del Paradiso come icona di una vita purificata. “La devozione a Maria – ha detto il Vescovo – divenga purificazione di tutte quelle forme religiose che ci allontanano da Dio e da quei calcoli umani che possono diventare molto spesso dissidi o litigi tra noi uomini”. Una parola è stata detta anche sulle parrocchie che il Vescovo stesso ha definito come “tende” di un popolo di Dio che non è “massa amorfa”, ma comunione di cuori aperti alla missione. Poi ha invocato la Vergine chiedendogli di guardare alla nostra vita e di accoglierci nel suo grembo per divenire figli nel suo Figlio. A conclusione Mons. Staglianò ci ha ricordato alcune priorità pastorali per il futuro come la pastorale vocazionale ed è per questo che ha invitato tutti i giovani delle nostre parrocchie a partecipare alla V Giornata diocesana dei Giovani  che si terrà il 30 Maggio a Pozzallo.

 

Visita Pastorale del Vescovo a Scicli. Grande entusiasmo e spinta in avanti

Con l’incontro coi membri dei Consigli Pastorali Parrocchiali del Vicariato, si è conclusa la prima visita pastorale del Vescovo a Scicli. Un incontro, come tutti gli altri del resto, vissuto in modo colloquiale e sereno, incentrato sulle esigenze della evangelizzazione e della pastorale, con un particolare sguardo al bisogno di riconsiderare la pietà popolare, purificandola dagli elementi più legati al folklore che alla fede, attenti anche alla dimensione della carità, che è proprio lo specifico del cattolicesimo.
La visita si era aperta sabato 3 maggio, anzitutto con l’incontro del clero, presbiteri e diaconi, per un saluto e una presentazione di ognuno e delle modalità di svolgimento del proprio ministero. E’ stata anche l’occasione per una riflessione sul ministero ordinato e le sue priorità.
Il sabato pomeriggio, è stata la volta poi della consulta delle aggregazioni laicali: il saluto del vescovo è stata l’occasione per ricordare l’impegno dei laici di animazione delle realtà temporali, essendo questo proprio lo specifico di associazioni, gruppi e movimenti di ispirazione ecclesiale.
Dopo la visita agli ammalati all’ospedale Busacca di Scicli, specie degli anziani ricoverati, il momento più alto è stato vissuto nella concelebrazione eucaristica con tutti i parroci e le parrocchie di Scicli presso il Santuario cittadino di Santa Maria la Nova. Qui il vescovo, nell’omelia, ha richiamato l’icona del Buon Pastore come segno del ministero episcopale da cui discende l’esigenza di riconsiderare l’appartenenza di ciascuno al “gregge” ecclesiale nella comunione e nella testimonianza evangelica.
La domenica sera i giovani delle parrocchie di Scicli hanno avuto l’opportunità di far festa insieme al Vescovo presso il salone del Carmine: a questi il vescovo ha richiamato la bellezza dell’essere giovani e la bellezza della vita di fede come incontro col Risorto, una vita che certo richiede impegno ma che insieme è fonte di gioia.
Lunedì infine il saluto del vescovo al Sindaco, alla Giunta e al Consiglio comunale di Scicli, presso l’aula consiliare del Comune di Scicli, è stata l’occasione per una riflessione sul vero senso della laicità, declinata come interesse per l’uomo: l’appello del vescovo è stato per lavorare insieme, comunità ecclesiale e stituzioni civili appunto per il servizio dell’uomo.
Certo in tre giorni non si possono affrontare e risolvere tutti i problemi, ma certo il saluto del vescovo, ad un mese dal suo ingresso in diocesi, giacchè anzitutto solo un saluto voleva essere, è stata l’occasione per ricordare a tutti che l’impegno per l’annuncio del vangelo resta imprescindibile per la comunità cristiana.  

Mons. Staglianò al simposio su S. Anselmo a Roma

La ricorrenza del IX centenario della morte di S. Anselmo (nato ad Aosta nel 1033 e morto a Canterbury nel 1109), è stata e continua ad essere celebrata attraverso molte iniziative culturali, in Italia come all’estero, al fine di ricordare e meglio approfondire il pensiero di questo grande teologo e pastore cristiano. Per la rilevanza e la qualità dei promotori, dei relatori e dei partecipanti è da segnalare il simposio organizzato dal Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma il 21 e 22 aprile scorsi, al quale ha partecipato, in veste di conferenziere, il nostro vescovo Mons. Antonio Staglianò.  Acuto e fine studioso di S. Anselmo (ricordiamo che è autore de: La mente umana alla prova di Dio. Filosofia e teologia nel dibattito contemporaneo sull’argomento di Anselmo d’Aosta, EDB, Bologna 1996, testo di imprescindibile riferimento nel panorama della bibliografia specializzata sugli studi anselmiani), ha presentato al vasto e competente uditorio una lezione su: Preghiera e argomentazione filosofica nel Proslogion di Anselmo d’Aosta (disponibile sul nostro sito www.diocesinoto.it). Il Proslogion, composto tra il 1077 e il 1078, l’opera probabilmente più conosciuta del santo arcivescovo di Canterbury (insieme al Monologion e al Cur Deus homo), rappresenta indubbiamente uno dei testi più significativi della filosofia e della teologia medievale ma, più in generale, rimane una pietra miliare nella storia del pensiero occidentale. Deve la sua fama alla celebre prova dell’esistenza di Dio, nota come argomento a priori o – dopo Kant, per quanto impropriamente – argomento ontologico. Senza entrare nei dettagli della dimostrazione, impresa ardua per lo spazio ristretto qui a disposizione, onde evitare di abbassare l’altezza speculativa dell’argomento anselmiano (che ha comunque suscitato da quando è stato concepito ai nostri giorni un inarrestabile flusso di dibattiti, prevalentemente filosofici, sulla pertinenza logica del medesimo), diciamo sinteticamente che, per detta prova, l’esistenza di Dio risulta immediatamente chiara ed evidente alla mente solo grazie all’esercizio cor-retto della ragione che, al termine della sua riflessione, ammetterà tale esistenza addirittura come necessaria, non semplicemente come auspicabile o – come qualcuno per contro vorrebbe leggervi – il prodotto finito di una proiezione ideale. Dio viene concepito da Anselmo (in quella fase di esercizio della ragione che presuppone sì la fede ma non la chiama anzitempo in campo, quasi “strumentalizzandola” al fine di credere) come Colui del quale non si può pensare niente di più grande (id quo maius cogitari nequit). In breve: “Ciò di cui non è possibile concepire nulla di maggiore” (=Dio) non può esistere soltanto nell’intelletto, come una pura idea, ma deve esistere anche nella realtà. Infatti se ciò di cui nulla si può pensare di più grande esistesse solo nella mente, si potrebbe sempre concepire un altro essere esistente oltre che nella mente anche nella realtà maggiore del primo pensato. Ciò significa che id quo maius cogitari nequit sarebbe in effetti ciò di cui si può pensare il maggiore, il che è evidentemente contraddittorio con la premessa della perfezione divina. Per cui Dio esiste necessariamente non solo nell’intelletto del credente ma anche nella realtà esterna a tale pensiero. L’esito felice di questa “scoperta” – che per alcuni nasconderebbe tuttavia un inghippo logico – non deriva allora da un acritico e cieco fideismo, ma dal movimento intelligente della ragione che si scoprirà – anch’essa – già “capace” di Dio. È qui che Anselmo fa emergere – ed è l’aspetto che più ci interessa – lo stile e il metodo del grande pensatore quale è stato. Riprendendo e riformulando il programma agostiniano del credo ut intelligam, Anselmo – se così possiamo esprimerci – ha già risolto il dilemma moderno della impacciata, per non dire impossibile, conciliazione delle istanze della fides e di quelle della ratio. Secondo questa armonica visione sembra anzi non possano darsi da sole senza perdere ciascuna qualcosa della propria natura. Certo – come qualche critico ha sostenuto – questo “nome” di Dio potrebbe sembrare arido ed infelice: nessun rimando apparente al Dio “Amore”, nessuna tensione “emotiva” verso la sublimazione agapica dell’essere. Anche gli altri due nomi divini (summum omnium e maius quam cogitari possit), che compaiono pure nel Proslogion, sembrano subire la stessa resistenza affettiva. Ma il fine dell’argomento e dello scritto non è anzitutto di natura fervoristico-devozionale. Esso – come ha sottolineato Mons. Staglianò nella sua conferenza – non ha intenzione di “portare il non credente alla fede, ma all’intelligenza”, senza che questo itinerario impoverisca ma, anzi, avvalori l’aspetto più autenticamente affettivo della speranza certa della ricerca e della gioia gustata a meta raggiunta. Nel metodo utilizzato nella ricerca teologica, Anselmo ha fatto pertanto dell’uso di ragione non un elemento secondario o di supporto (ancillare), ma un vero e proprio criterio induttivo nell’intelligenza di ciò che già si crede, si spera, si ama. «Anselmo crede, ma vuole capire ciò che crede. Assertore di un profondo legame tra fede e intelligenza, egli apre il dialogo con il “non credente” e con l’infedele, sicuro che la mente umana dischiude un itinerario di intelligenza praticabile a chiunque usi la ragione in modo onesto. Perciò egli non teme di riflettere razionalmente pregando il suo Dio: non ha timore di approntare una prova razionale dell’esistenza di Dio nell’invocazione della grazia che deve illuminarlo nel cammino della sua scoperta. La fede viene al pensiero. Il pensiero non disdegna di avanzare nella fede stessa» (A. Staglianò). In Anselmo perciò è già attuato il dialogo tra fede e ragione, tra rivelazione divina e logica umana, dialogo che ultimamente è capacità della fede di “cogliere la sua coerenza a priori”. La ricomposta unità e identità tra il Dio creduto per fede e il Dio trovato per via razionale, è comunque preceduta e seguita da una preghiera – ed è qui l’altro punto focale della relazione di Mons. Staglianò – che manifesta da una parte il desiderio di cercare e dall’altra l’abbandono alla gioia di aver trovato ciò che l’intelligenza cercava. Ecco perché il Proslogion non è soltanto un’opera teologica o filosofica. La preghiera, in un orizzonte mistico ancora da rivalutare nella sua reale portata, è il punto di forza sul cui perno si misura la stessa capacità della ragione di attendere al suo impegno e al suo dovere. Nel Proslogion pertanto – come ha osservato il vescovo – il criterio “sola ratione” non indica il suo isolamento nell’autosufficienza paga di sé, ma si inserisce in una prospettiva globale dove tutte le componenti umane, che partano dal desiderio della conoscenza e della ricerca della verità per giungere all’esperienza della contemplazione, trovano il loro autentico compimento. «Nessuno potrà così accusare Anselmo di “criptomania” – conclude Mons. Staglianò – rispetto alla sua fede, con l’obiezione che la sua ricerca, volutamente razionale, presuppone invece metodicamente la fede, estromessa solo nelle dichiarazioni verbali. […] La preghiera di ringraziamento dopo il felice esito della prova stabilisce l’inesorabilità dell’intelligenza anche se non si volesse credere: “Ti ringrazio, Signore buono, ti ringrazio perché ciò che prima ho creduto per tuo dono, ora per la tua illuminazione lo comprendo in modo tale che, se non volessi credere che tu esisti, non potrei non comprenderlo”(Anselmo)».


Ripartire dai poveri, ritrovare il bene comune

Sono molti gli aiuti che offrono le nostre parrocchie, ma sono ancora di più coloro che chiedono. E c’è la percezione che la crisi colpisce pure chi ha redditi medi ma anche che essa possa diventare occasione per ripensare a una vita più sobria e più umana. Per questo diventa importante riflettere, perché gli interventi non si fermino al primo aiuto ma possano esprimere comunità che si ripensano per diventare più giuste e fraterne, con il lievito del Vangelo offerto dai credenti, con una più attenta partecipazione da parte di tutti. Che può diventare concreta nella scrittura dei Piani socio-sanitari di zona che sta avvenendo nei vari distretti della Sicilia (per noi Noto e Modica). Dai Piani di zona, infatti, passano i servizi del futuro e si prevede la possibilità di proposte da parte dei cittadini. Da qui l’importanza dei due incontri proposti dalla Caritas a tutta la comunità ecclesiale, ma anche al territorio, per il prossimo 15 maggio (cf. riquadro). Con un relatore che è anche un testimone, Mons. Antonio Cecconi. Già vicedirettore della Caritas italiana e ora vicario generale della diocesi di Pisa, ha sempre unito contatti con esperienze concrete e riflessione culturale, soprattutto sugli orizzonti del “dono” senza i quali si perde il senso umano ed evangelico dell’aiuto. Al mattino parlerà ai presbiteri sugli aspetti più pastorali dell’interpellanza dei poveri negli scenari dell’attuale crisi, la sera a tutti sull’impegno a “ripartire dagli ultimi, per ritrovare il bene comune”. Significativamente qualche giorno prima (il 12 maggio a Noto in Seminario, ore 18-20) si incontreranno i Centri di ascolto per una verifica dei propri interventi. Gli incontri saranno presieduti dal Vescovo, Mons. Staglianò, che non ha mancato fin dall’inizio del suo ministero di invitarci tutti ad un carità integrale ed operosa, annuncio e riflesso efficace di Dio che è Amore.

 


Il PREMIO PAOLINE COMUNICAZIONE E CULTURA A DON DI NOTO

Il Premio “Paoline Comunicazione e Cultura” è stato assegnato quest’anno a don Fortunato Di Noto, fondatore dell’Associazione Meter. La consegna del premio è avvenuta a Roma, alla Pontifica Univeristà Lateranense nel corso del convegno sul tema “Nuove tecnologie, nuove relazioni. Promuovere una cultura di rispetto, di dialogo, di amicizia”, che si è svolto il 23 aprile scorso presso l’aula “Pio XI”. Il Premio – ricordano i promotori – viene conferito annualmente a operatori dei media, registi, giornalisti, scrittori, artisti, associazioni che “si segnalano per aver dato la migliore espressione concreta, con un’opera o una attività, al messaggio del Papa per la Giornata delle comunicazioni sociali”. Il convegno, promosso dall’Istituto Pastorale Redemptor Hominis della Pontificia Università lateranense, dall’Ufficio nazionale delle Comunicazioni Sociali della Cei e dal Centro Comunicazione e Cultura delle Paoline, è stato un momento “qualificato di approfondimento del messaggio del Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali” che si inserisce nel quadro degli eventi della “Settimana della Comunicazione”, come occasione “preziosa” di incontro e di riflessione, in cui intervengono rappresentanti del mondo accademico delle altre università pontificie ed esponenti del mondo dei media.
 
 “E’ con grande senso di umiltà e nel contempo con grande senso di responsabilità – ha dichirato don Di Noto – ricevere un riconoscimento che premia la nostra professionalità e il nostro impegno per i piccoli e i deboli nella Chiesa e nella Società. Un impegno mai strombazzato, silenzioso e attento, portato avanti nel corso di questi anni con il nostro splendido gruppo di volontari”. E il sacerdote fa suo il messaggio di quest’anno scritto dal Papa, che ci richiama a “essere attenti a non banalizzare il concetto e l’esperienza di amicizia” anche sul web, a “non degradare l’essere umano, ed escludere quindi ciò che alimenta l’odio e l’intolleranza, svilisce la bellezza e l’intimità sessuale umana, sfrutta i deboli e gli indifesi”. “Un impegno forte che viene dal magistero importante di Sua Santità e che ci trova come sempre in prima linea e grati per le sue parole”, conclude.


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Associazione Meter onlus
di don Fortunato Di Noto
a tutela dell’infanzia
Via Ruggero Settimo, 56
96012 Avola (SR) – Italy
+39 931 564872 (phone)
+39 931 823160 (fax)
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Dal 2 Aprile Mons. Antonio Staglianò XI Vescovo di Noto

“Non abbiate paura di predicare il Vangelo di Cristo: Dio è amore, Dio è buono, è misericordia. Non abbiate paura di educare l’umano dell’uomo, alla sua bellezza, alla sua verità; di tradurre la vostra fede in passione per l’educazione e nel lavorio delle trasformazioni culturali, sociali e politiche. Non abbiate paura di dare spazio a questo cristianesimo e a questa comunità cristiana”. Sono state queste le prime parole di monsignor Antonio Staglianò, undicesimo vescovo di Noto, alla comunità diocesana e a tutte le autorità politiche, civili e militari che ieri lo hanno accolto alla porte della città e poi riuniti nella cattedrale di san Nicolò hanno partecipato alla solenne concelebrazione eucaristica in occasione del suo ingresso. Con lui il vescovo emerito Mariano Crociata, oggi Segretario Generale della Cei, l’arcivescovo di Siracusa Salvatore Pappalardo, metropolita della Chiesa di Noto e alcuni vescovi di Sicilia, tra cui l’arcivescovo di Palermo Paolo Romeo presidente anche della Conferenza episcopale siciliana. Presenti anche i vescovi emeriti di Noto Giuseppe Malandrino e Salvatore Nicolosi. Incentrata, invece, su una riflessione profonda della carità l’omelia del nuovo vescovo. “La carità che diventa anzitutto servizio, prossimità, vicinanza a tutti i bisogni”, ha spiegato monsignor Staglianò è una forma concreta, un “evento corporeo” dell’amore di Dio. “E’ sicuramente anche questo il senso del titolo attribuito al vescovo di Roma, chiamato servus servorum Dei, il quale nel servizio del ministero petrino deve essere sempre pronto a rispondere a chiunque domandi sulla ragione della speranza cristiana. Questo servizio è anzitutto officium amoris, il rendere presente l’amore di Dio nella vita degli uomini nella forma stessa nella quale questo amore si è manifestato e rivelato ai piccoli”, ha aggiunto monsignor Staglianò. “Vorrei allora pubblicamente rispondere alla lettera che il nostro servus servorum Dei, Benedetto XVI, ha inviato a tutti i vescovi. Da questa cattedra, che Lei Santo Padre si è degnato di affidarmi, Le esprimiamo i sensi della nostra filiale devozione, della nostra incondizionata fedeltà alla sua guida pastorale e al suo magistero dottrinale e riconosciamo il vero significato della remissione della scomunica dei quattro vescovi, ordinati validamente benché illegittimamente: è stato un gesto discreto di misericordia, di carità che vuole disporre alla riconciliazione, alla comunione e alla pace”. 

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IL VESCOVO DI NOTO RISPONDE ALLA LETTERA DEL PAPA

Nel giorno del suo ingresso a Noto, dopo aver ricordato il senso del titolo attribuito al Vescovo di Roma, chiamato servus servorum Dei, “il quale nel servizio del ministero petrino deve obbedire al comando di Gesù «Tu … conferma i tuoi fratelli» (Lc 22, 32), sempre pronto a rispondere a chiunque domandi sulla ragione della speranza cristiana (cfr. 1 Pt 3, 15)” e dopo aver sottolineato che “questo servizio è anzitutto officium amoris, il rendere presente l’amore di Dio nella vita degli uomini: la sovrabbondante misericordia del Padre, la sua gloria nel perdono dei nostri peccati e nel desiderio di riconciliare, sempre, in ogni modo, confermando i fratelli nella verità della fede e ristabilendo la comunione, là dove sia stata infranta”, monsignor Antonio Staglianò risponde pubblicamente alla lettera inviata nei giorni scorsi da Benedetto XVI a tutti i vescovi.
“Vorrei pubblicamente rispondere alla lettera che il  nostro servus servorum Dei, Benedetto XVI, ha inviato a tutti i vescovi e anche a me, ancora vescovo eletto di Noto – ha dettto Staglianò nell’omelia -. Da questa cattedra, che Lei Santo Padre si è degnato di affidarmi, Le esprimiamo i sensi della nostra filiale devozione, della nostra incondizionata fedeltà alla sua guida pastorale e al suo magistero dottrinale e riconosciamo il vero significato della remissione della scomunica dei quattro vescovi, ordinati validamente benché illegittimamente: è stato un gesto discreto di misericordia, un gesto di carità che vuole disporre alla riconciliazione, alla comunione e alla pace”.
Riferendosi alla “valanga di proteste”, aggiunge poi il vescovo di Noto esse “hanno per altro qualcosa di paradossale da registrare: il complesso antiromano si è caratterizzato nella storia della Chiesa per tanti e diversi aspetti, ma sempre riferiti alla percezione di certa implacabilità del cosiddetto potere centrale, di certo irrigidimento burocratico e di certa mancanza di misericordia nel giudicare alcune situazioni personali o comunitari. E’ paradossale e inaudito che oggi, ma forse è questa una espressione della confusione della condizione umana post-moderna-, la protesta si rivolga ad un atto di misericordia e di riconciliazione”. 

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