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“Chi è la donna?” e “Quale è la sua verità?”

Il 9 giugno è stata per il centro Italiano Femminile di Avola, una data importante per l’iniziativa che lo ha visto impegnato in un momento di riflessione sulla donna a partire dal pensiero illuminato del Beato Papa Giovanni Paolo II, che nel suo lungo pontificato ha elargito, a piene mani, all’associazione e al mondo intero, documenti, Encicliche, lettere dedicate proprio all’approfondimento del ruolo della donna nella Chiesa ed in ogni ambito della vita, sia essa civile, socio-politica che economica.

 
Ad aprire i lavori della serata, dedicata alla riflessione sulla donna, è stata la presidente del CIF di Avola, seguita da don Giuseppe Agosta, consulente ecclesiastico dell’associazione e dal Sindaco di Avola che ha portato al Vescovo il saluto della città.
A darci una lettura alquanto originale e moderna del tema affidatogli è stato proprio Sua Eccellenza, Mons. Antonio Staglianò, Vescovo della Diocesi, nonché poeta e scrittore, che abbiamo avuto modo di apprezzare per le sue numerose pubblicazioni.
Il nostro Vescovo, partendo da due interrogativi “Chi è la donna?” e “Quale è la sua verità?”, ci ha fatto riflettere sul fatto che conoscere ciò che ha detto Giovanni Paolo II nel suo Magistero sulla donna non può essere solo una questione dottrinale o più squisitamente culturale, ma deve significare un voler entrare nella grande verità sulla donna. Non si può allora prescindere dal chiarire “cosa è la verità” “Quid est veritas?” . Mons. Staglianò, giocando con le frasi e le parole fa l’anagramma della domanda e riferisce che la risposta sta dentro la domanda stessa “Est vir qui adest” ossia “è l’uomo che ti sta davanti”. Si capisce come allora il problema non sia semplicemente una questione femminile, come è stata considerata da più parti nel XX secolo dai movimenti e dalle associazioni femministe, ma piuttosto occorre leggere la questione in chiave antropologica. E Giovanni Paolo II riesce a leggere la donna nella sua verità, allo specchio della pienezza di umanità e di splendore della donna, Maria di Nazareth. La donna, pertanto, viene valorizzata in Maria di Nazareth, non in un mito, ma in una persona collocata nella storia e, dunque, nel tempo e nello spazio. Ed è Dio stesso che ci indica la straordinaria bellezza della verità sulla donna, concependola libera di pronunciare il suo sì o il suo no, così come fu per Maria, grazie alla quale e a partire dalla quale, possiamo comprendere la verità sulla donna e il suo corpo, fatto per accogliere, per liberare, per pacificare. A far da contro altare a questa visione della donna e della sua dignità, il Vescovo riferisce quanto la scrittrice Susanna Tamaro, sul Corriere della Sera del 17 aprile del 2010, esprime a proposito di una “mistica della promiscuità, che spinge le ragazze a credere che la seduzione e l’offerta del proprio corpo siano l’unica via per la realizzazione”, in nome di quel progetto di stampo femminista secondo il quale “il corpo è mio e me lo gestisco io”, inesorabilmente fallito.
Da qui l’esigenza di percorrere la via della questione antropologica che ci riporta a riconsiderare il concetto di relazione tra uomo e donna, che altro è rispetto alla relazione tra Adamo e le piante e gli animali del paradiso terrestre, con i quali Adamo non era in comunione. La creazione di Eva fa sperimentare ad Adamo l’unione profonda che è propria dell’unione coniugale, in cui la donna non sta accanto all’uomo, ma è tale perché gli sta di fronte, così come l’uomo può dirsi tale, quando nel vincolo con la donna, si pone di fronte a lei. A questo punto il Vescovo ritiene di doversi soffermare molto, in maniera forte, utilizzando un linguaggio diretto e a tratti fastidioso per una Chiesa che viene additata spesso come retrodatata, per le posizioni sin qui assunte, sull’amore coniugale. “E’ finita l’era del padre-padrone” dichiara Mons. Staglianò, “nell’atto amoroso c’è la fusione totale di anima e corpo e, riferendo la finezza lessicale dei Tedeschi, che utilizzano due vocaboli per indicare in modo distinto il corpo organico, il corpo-oggetto (Kӧrper) e il corpo umano, ossia il corpo-persona (Leib), accenna alla questione della comunicazione attraverso i media che portano a considerare la donna come “sospesa sul terribile crinale della sua mercificazione”, “persa nelle potenti fiumane della perversione imposta dalla nevrosi consumistica” che vede il corpo femminile, oggetto da esibire e da esporre per sedurre. Finisce il suo intervento il nostro Pastore esternando quanto gli stia a cuore che tutti noi si comprenda che occorre purificare il linguaggio dell’amore, facendo riferimento alla comunicazione dei media che utilizza in modo errato l’espressione “Fare l’amore” per sponsorizzare e pubblicizzare preservativi e alcuni passaggi di canzoni attuali, come quella di Giusy Ferreri, che sente l’esigenza invece di cantare “è da tanto tempo che non si fa più l’amore”. Il Centro Italiano femminile, assieme alle amiche ed amici intervenuti, farà tesoro delle indicazioni del suo Pastore per “puntare non tanto sulla donna o sul maschio, ma sulla persona e sulla sua dignità, custodita nel suo essere immagine di Dio”. (Ecce homo di Mons. Staglianò edito da Cantagalli, Siena 2007).
 

MEDICINA E TEOLOGIA AL CONFINE DELLA VITA

La Fondazione CARE, l’Associazione Medici Cattolici Italiani, e l’Unione Giuristi Cattolici Italiani hanno organizzato sabato 4 Giugno, presso la prestigiosa Sala degli stemmi  al Castello Vescovile di Vittorio Veneto, un Convegno di bioetica dal titolo: MEDICINA E TEOLOGIA AL CONFINE DELLA VITA, con relatori di grosso spessore. Il Prof. Alfredo Anzani, docente di Etica clinica presso l’Università “Vita e Salute” San Raffaele di Milano, ha affrontato il tema “La medicina sul confine della vita o oltre il confine della vita?”, sottolineando il diritto di morire con tutta serenità, aborrendo l’accanimento terapeutico, ove l’inutilità dell’atto medico si unisce alla sofferenza da parte del malato, quando si attuano interventi sproporzionati alla condizione clinica del paziente. Solo in un vero rapporto col malato, attraverso un’alleanza terapeutica, si compie la scelta migliore. Ma l’accanimento terapeutico non è sinonimo di insistenza terapeutica, che significa porre in atto tutte le metodiche che la moderna medicina ci offre per prenderci realmente cura del paziente, anche quando non si può più curare, andando al di là del semplice consenso informato, pena ricadere nell’atteggiamento opposto, altrettanto riprovevole, dell’abbandono terapeutico. Il rapporto medico paziente deve essere sempre una relazione tra persone, una relazione di aiuto: c’è un lasciare morire doveroso e ve ne è uno colpevole: la differenza è nel riferimento alla persona.
Le nuove tecnologie consentono di rinviare il momento della morte, prolungandolo oltre le leggi della fisiologia, creando i cosiddetti “malati terminali”, una categoria nuova, di pazienti particolari, interrogativi nuovi, inquietanti per la nostra coscienza. Le cure palliative invece sono frutto dell’attenzione e del rispetto all’ammalato come persona. Come medico cristiano devi prenderti cura dell’anima del paziente se vuoi curare il corpo. Davanti al mistero della morte si rimane impotenti, vacillano le umane certezze. Ma è proprio di fronte tale scacco che la fede cristiana,se compresa ed ascoltata nella  sua ricchezza, si propone come sorgente di serenità e di pace. (Giovanni Paolo II)
 Mons. Antonio Staglianò, Vescovo  di Noto, ha sviluppato la questione del senso: “Il fine-vita come compimento dell’esistenza”. Ha citato i grandi autori russi, da Dostojevski a Solgenitzin, che hanno affrontato nei loro personaggi la riflessione sul vivere e sul morire: la differenza la fa la speranza. Dell’uomo descriviamo, riduttivamente, l’anatomia, la fisiologia, la biochimica, ma  questa è un’astrazione: darsi la mano per esperienza di amore è l’incontro tra due persone. Ecco allora la differenza tra corpo e corpo personalizzato, quello che nella lingua tedesca sono il Körper e il Leib, per attraversare la sofferenza, come Cristo ha fatto dono di sé nell’Eucarestia. La sofferenza da enigma diventa allora mistero: Dio soffre con te e ti dona la vita. L’amore vero non è mai “platonico”: è un amore tramite la fisicità. Un concetto molte volte ribadito da Mons. Staglianò è stato inoltre quello della visione soprannaturale, dell’Escaton, dell’oltre la morte,  declinata alla luce delle encicliche degli ultimi papi, dalla Salvifici Doloris di Giovanni Paolo II alla Spe Salvi di Benedetto XVI: il senso della vita si matura dal pensiero della fine: “Insegnaci a contare i nostri giorni ed acquisteremo un cuore saggio” (Sal 90, 12). Il nostro Vescovo, Mons. Corrado Pizziolo, ha sintetizzato nel suo intervento i lavori della giornata, sottolineando come i medici hanno antropologie diverse, come atteggiamenti diversi rispetto a tali problematiche. La nostra società interpreta come regolabili l’inizio e la fine della vita, la legge diventa allora un protocollo. La vita invece è un dono, ci ha ricordato il Vescovo Corrado, ed il compito di noi medici cattolici è di testimoniarla ed annunziarla, in un contesto di relazione. Il malato ci chiede di morire non da solo, ma in una relazione: la tentazione eutanasica nasce dalla solitudine, frutto di una tecnologia esaperata ed applicata senza discernimento.  Ha moderato la giornata ed il dibattito che ne è seguito il Dott. Gian Antonio Dei Tos,  Docente di Bioetica; la partecipazione è stata nutrita, da parte di medici, giuristi, operatori sanitari, ACOS regionale, ma anche i rappresentanti di molte associazioni di volontariato.
 
 

Chi è “oggi” la donna?

Nel corso del convegno su  “Femminismo cristiano e cultura della persona. La donna nell’insegnamento di Giovanni Paolo II”, tenuto a Matera dal 2 al 4 giugno scorso, il nostro Vescovo, Mons. Staglianò, è intervenuto con una relazione su «La donna e la “sua” verità: la questione femminile come questione antropologica in Giovanni Paolo II». Il Convegno era stato organizzato dal Movimento Famiglia e Vita di Matera per celebrare il  25° anniversario della sua fondazione e in occasione della Beatificazione di Giovanni Paolo II.
Nel suo intervento, tenuto il 2 giugno, nell’ambito della prima sessione, il Vescovo ha esordito con la premessa: “Cos’è la verità? Quid est veritas? Anagrammando viene: Est vir qui adest (È l’uomo che ti sta davanti)”. Ogni verità va cercata per riferimento alla sua persona. È questa la verità centrale della fede. Vale per tutto: inesorabilmente anche per la verità della donna. La vera sfida del pensiero cristiano, sottolinea mons. Staglianò, è saper articolare questa verità “teologica” in termini razionalmente apprezzabili e perciò condivisibili anche da chi non crede come i cristiani o non crede affatto. La verità della donna è colta e approfondita da Giovanni Paolo II allo specchio della pienezza di umanità e dello splendore della donna in Maria di Nazareth. Ma “Oggi”, è tempo qualificato post-moderno, nel quale appare impossibile giungere a verità certe e condivisibili, dove l’emozione prende il sopravvento sulla ragione, il sentimentalismo e la passionalità sulla logica e la razionalità e, infine, l’educazione è smarcata dalla seduzione. Il Vescovo pone pertanto un interrogativo: «Presupponendo che sappiamo benissimo chi è “la donna” Maria di Nazareth, sappiamo però chi è “oggi” la donna? Maria di Nazareth –oltre ad essere “microstoria della salvezza”- è sintesi di valori e perciò epifania della vera umanità… ». Mons. Staglianò chiarisce come proprio “oggi” nel nostro mondo post-moderno, sia possibile e doveroso presentare Maria come modello per tutte le donne. «Alla scoperta della verità della donna, non è difficile cogliere come la questione femminile sia anzitutto questione antropologica, pertanto esiga di venir discussa sulla base di una visione dell’uomo “vera e degna” dell’umano». Il grande Papa, Giovanni Paolo II, ne ha diffusamente parlato nel suo magistero, focalizzando i punti essenziali, utilissimi e validi anche oggi. Nella Mulieris Dignitatem (Dignità della donna) al n.16 : “L’interpretazione cristiana del ruolo della donna è anzitutto basato sull’atteggiamento di rispetto e di considerazione che Gesù ha mostrato nei confronti delle donne e sulla nostra meditazione sulla figura di Maria che, per i cristiani, è il modello di verginità, maternità di fede e di attivo impegno sociale”. Per cui la figura di Maria può essere ancora oggi presentata come la “piena realizzazione possibile della donna”, e della donna cosiddetta “emancipata” se si scava nei significati profondi sia della maternità che della verginità. Maternità non solo in senso fisico, ma anche etico-personale. Verginità come modo spirituale della maternità. Si può pertanto affermare che la donna, guardando a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità ed attuare la sua vera promozione. Ella è specchio dei più alti sentimenti, di cui è capace il cuore umano: la totalità oblativa dell’amore; la forza che sa resistere ai più grandi dolori; la fedeltà illimitata e l’operosità infaticabile; la capacità di coniugare l’intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento (cfr RM 46). Maria è prototipo di pienezza umana: la prima “persona” vera della storia. 
 
 

Un nuovo diacono nella Chiesa di Noto

A conclusione di un periodo di discernimento animato dal Vicario generale, don Angelo Giurdanella, unitamente ai formatori del Seminario di Noto, domenica 29 maggio u.s., il nostro Vescovo, mons. Antonio Staglianò, ha ordinato diacono Francesco Ingegneri. L’ordinazione è avvenuta nella Chiesa Madre di Pachino a conclusione del periodo di “itineranza vocazionale” che un gruppo di seminaristi ha svolto in questo vicariato. Alla solenne concelebrazione eucaristica hanno partecipato diversi presbiteri e diaconi  della Chiesa netina, gli alunni del nostro Seminario e un gruppo di sacerdoti e fedeli provenienti dall’Arcidiocesi di Messina, Chiesa di origine del novello diacono. Francesco, che proviene da una salda esperienza formativa presso l’Ordinariato militare di Roma, da circa un anno è stato   inserito per la sua formazione pastorale nella Parrocchia della Cattedrale di Noto. Nel corso dell’omelia il Vescovo ha sottolineato la validità del servizio diaconale posto come sacramento per gli uomini che, nonostante gli inevitabili limiti umani, deve risplendere concretamente nella vita della Chiesa come segno vivo di Cristo servo di tutti per amore. (Red.)
 
 
 
 
 
 

Il Vescovo: “Il dramma dei 1000 immigrati dall’Africa sulle nostre coste ci provoca e ci interpella”

I duemila pellegrini della diocesi di fronte al dramma dei mille immigrati dell’Africa
Circa duemila i pellegrini accorsi al Santuario di Maria SS. Scala del Paradiso nel pomeriggio dello scorso 31 maggio, per il 30° pellegrinaggio mariano diocesano; e circa mille gli immigrati sub sahariani e del Bangla desh (tra cui circa 40 minori e 129 donne, fra cui alcune in avanzato stato di gravidanza), soccorsi a Portopalo di Capo Passero e condotti al porto di Pozzallo dalle motovedette della Guardia di Finanza durante la notte precedente, dopo una pericolosa traversata del Mediterraneo su un barcone arrugginito, partito dalla Libia qualche giorno prima.
 
La coraggiosa dichiarazione del Vescovo alla Radio Vaticana
Il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, raggiunto dai microfoni della Radio Vaticana, aveva già dichiarato con profetica ed evangelica determinazione: «Dobbiamo accogliere questi immigrati senza se e senza ma. Noi cristiani non possiamo non essere accoglienti, perché è in ogni prossimo sofferente che dobbiamo scorgere la presenza stessa di Cristo. Nel volto di queste mamme incinte, di questi bambini smarriti, di questi uomini distrutti nel fisico e nell’anima, si nasconde il volto di Dio».
 
La “provocatoria” omelia
Con la stessa determinazione il nostro vescovo è tornato sul gravissimo dramma di questi mille  immigrati approdati sulle nostre coste, durante la vibrante omelia della S. Messa all’aperto a conclusione del pellegrinaggio. Rivolgendosi con forte enfasi ai circa duemila pellegrini accorsi al Santuario mariano diocesano (fra cui oltre cento presbiteri, diaconi ed alunni del Seminario), ha commentato particolarmente il brano biblico paolino della lettera ai Romani (Rm 12,12-13) -proclamato poco prima- in cui l’apostolo così ci esorta: “Siate perseveranti nella preghiera, solleciti per le necessità dei fratelli, premurosi nell’ospitalità”.
 
Non far scadere le nostre messe in liturgie “bla bla”
La preghiera del nostro pellegrinaggio diocesano, e particolarmente la preghiera culminante di questa Eucaristia, – ha affermato mons. Staglianò- è chiamata ad essere autentica, ponendosi con l’audacia concreta e la coraggiosa profezia dei Santi davanti a questo dramma dei mille immigrati che sono approdati da noi. Altrimenti la nostra preghiera  -ha aggiunto il vescovo- scade in una inutile chiacchiera, la nostra Eucaristia si deteriora in un ipocrita “bla bla” che non ci mette in autentico contatto con Dio, nostro Padre e Padre di tutti gli uomini, con la forza della sua Parola, con la potenza del suo Spirito, con la trasformazione della sua grazia che preme nei nostri cuori nella celebrazione viva e interiore dei suoi sacramenti.
 
Aprirsi alla “profezia” di scelte audaci
Purtroppo – ha aggiunto mons. Staglianò (il quale, è bene saperlo, non ha esitato da oltre sette mesi ad ospitare  nel nostro seminario un immigrato tunisino)- io, i miei preti, le nostre comunità parrocchiali stentiamo spesso a dare risposte adeguate e coraggiose alle crescenti e gravi emergenze sociali che il Signore ci fa incontrare,  come questa dei mille immigrati a Pozzallo, per cui la Caritas diocesana e diverse comunità ecclesiali –specialmente a Pozzallo, Portopalo e Rosolini- non mancano di darci stimoli operativi.
Non possiamo accontentarci di belle liturgie –ha concluso- se non siamo profondamente convinti che saremo giudicati al termine della nostra vita (cfr Mt 25, 31-46) non tanto su quante belle messe avremo celebrato, ma su quante messe avremo vissuto, aprendo il nostro cuore, trasformato dalla preghiera, all’amore concreto verso i sofferenti vicini e lontani.
 
Manda,  Signore, i santi della carità!
«O Signore Gesù, per intercessione di Maria SS. Scala del Paradiso e Vergine dell’accoglienza –ha concluso il Vescovo- suscita oggi, anche nella nostra Chiesa netina, fedeli laici, religiosi e religiose, presbiteri e diaconi che ci stimolino con scelte profetiche e coraggiose ad osare nella testimonianza concreta dell’amore evangelico».
 
 
 
 
 

SAN CARLO LWANGA E COMPAGNI : MARTIRI PER DIFENDERE LA CASTITÀ

La memoria liturgica di San Carlo Lwanga e compagni, celebrata il 3 giugno, è di estrema importanza per la fede della chiesa nel Continente nero. Se è vero, infatti, che nella fede della chiesa si professa la comunione dei Santi, è vero anche che la stragrande maggioranza dei santi in calendario, agli occhi dei fedeli africani, appaiono molto distanti per origine geografica e cultura. Ed allora, proprio San Carlo Lwanga e compagni, ugandesi, si pongono come modelli esemplari di santità molto vicini alla sensibilità della chiesa in Africa.
Ciò spiega anche il perché dalla diocesi di Butembo Beni sono partiti circa 500 pellegrini (solo quelli dei gruppi organizzati, senza contare gli altri) alla volta del santuario di Namugongo, a Kampala, in Uganda, per la grande festa del 3 giugno. Il numero di cinquecento non è irrilevante se si considera che da Butembo,  occorre affrontare un viaggio di circa 24 ore per arrivare a Kampala, con un bus carico di persone e vettovaglie fino all’inverosimile. E se si considera che il costo del pellegrinaggio è di circa 150 dollari, somma corrispondente mediamente alla paga semestrale di un operaio. Ma la cosa più bella, è che molti pellegrini sono sostenuti nella spesa dalla loro comunità ecclesiale, che li manda come suoi rappresentanti, nell’attesa di avere poi da loro, al ritorno, un resoconto edificante delle meraviglie di grazia operate ancora una volta per intercessione dei santi martiri, in occasione della festa.
Ma qual è la storia di San Carlo Lwanga e compagni? Bisogna ricordare l’evangelizzazione dell’Uganda, iniziata nel 1879 ad opera dei Padri Bianchi (Congregazione dei Missionari d’Africa), guidati da padre Simon Lourdel. Il re del posto Mutesa, aveva accolto favorevolmente l’evangelizzazione, accettando il battesimo anche all’interno dei numerosi membri della sua corte. E membri della corte erano anche i cosiddetti “paggi”, adolescenti e giovani,  con il ruolo di inservienti scelti.
Ma il successore al trono di Mutesa, il figlio Mwanga, mostrò ben presto altre mire sui paggi, volendo che si prestassero alle sue voglie libidinose. Ciò fece emergere le esigenze della fede cristiana abbracciata da poco. Infatti, il capo dei paggi, Carlo Lwanga, 24 anni d’età, fece notare al re che le sue pretese erano contro l’insegnamento della chiesa e che perciò non potevano essere assecondate. Ciò fece scatenare le ire di Mwanga che ordinò la condanna a morte di Carlo Lwanga e di tutti i paggi ostinati a professare quella fede cristiana che metteva in discussione l’autorità assoluta del re. Nel giro di poco tempo furono messi a morte un centinaio di paggi, la maggior parte tra i 13 e i 24 anni d’età, con esecuzioni atroci di singoli e di gruppi che culminarono nel grande rogo di Mamugongo avvenuto il 3 giugno 1886. Le successive inchieste canoniche hanno condotto alla canonizzazione di 22 di questi martiri, avvenuta solennemente il 18 ottobre 1964. Il più piccolo è Kizito, martire a 14 anni.
Gli atti del martirio ci ricordano, per modalità e atrocità, quelli della chiesa dei primi secoli: scorticati vivi, trafitti da frecce, sbranati dai cani, arsi dal rogo, i giovani paggi cantavano e lodavano il Signore in mezzo alle sofferenze più indicibili. Al carnefice che voleva provocarlo dicendogli “Prega ora il tuo Dio e vedremo se egli ha il potere di liberarti”, San Carlo Lwanga rispose tranquillamente: “Credimi, tu mi tormenti con il fuoco, ma è come se mi versassi addosso dell’acqua per rinfrescarmi”.
 
 
         
 

Una Pasqua mancata, una Pentecoste necessaria

Ci pesano sulla coscienza i recenti centocinquanta morti nel Mar Mediterraneo: vite in cerca di libertà e di giustizia che non possiamo relegare nell’emozione di un momento. Ci vuole almeno un ricordo e, poiché “ri-cordo” vuole dire portare al cuore, dobbiamo ricordarli dilatando il nostro cuore. Ad ogni sbarco abbiamo fatto quel poco che abbiamo potuto e e nell’ordinario parrocchie e centri di ascolto moltiplicano gli sforzi per dare un aiuto malgrado la sproporzione tra mezzi e bisogni. Ma pensiamo che dobbiamo tutti fare di più. Dobbiamo offrire nell’immediato le possibilità che ci sono (a iniziare da quelle che ci sono come, per i richiedenti asilo, i Centri Sprar) e dobbiamo avere particolare cura dei minori e delle donne che portano un carico maggiore di sofferenza e di violenze. Dobbiamo però anche organizzare meglio nel coinvolgere e coinvolgerci di più, in un circolare collegamento tra livelli istituzionali, protezione civile, volontariato, città, chiesa. Dobbiamo pensare a qualcosa di costante e capace di affrontare la complessità di un processo storico che è stato già annunciato negli anni cinquanta del Novecento e che ora si sta realizzando nella forma di un esodo inarrestabile. La Caritas dopo aver offerto al territorio con il “Coordinamento nazionale” esperienze e materiali di riflessione di grande spessore, nel Convegno regionale delle Caritas di Sicilia continua a chiedere il coraggio necessario per ripensare insieme un incontro tra Sud e Nord del mondo che può tutti farci crescere in umanità. Ogni volta che un immigrato è salvato si ripete la Pasqua; ogni volta che un immigrato muore siamo all’antipasqua. Ora si avvicina Pentecoste: è la Pasqua che si dilata perché molti si lasciano immergere nella morte e resurrezione di Cristo. Immersione che per i cristiani dovrà essere concreta e che anche laicamente si può pensare come capacità di ridirci la radice del nostro essere uomini che è nella relazione. Entro la relazione ci sono pure contenimento e correzione, ma ci sono anzitutto riconoscimento, accoglienza, accompagnamento. E quindi concretezza, pazienza, perseveranza. Siamo sicuri che, se si vuole, si troveranno modi per concrentrare e coordinare sforzi e avviare cammini di convivialità e giustizia. Evitiamo di esternare facili emozioni, ma assicuriamo – in sintonia con il forte appello del Vescovo nell’omelia al pellegrinaggio della diocesi al Santuario della Madonna della Scala – che non ci daremo pace finché la pace non avrà il nome di “opere” e “parole” di accoglienza.
 
 
 

L’amore non fa calcoli

 “Voi siete la luce del mondo … così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al Padre vostro che è nei cieli”. ( cfr Mt 5, 13-16)
L’amore non fa calcoli… e i ragazzi dell’Azione Cattolica diocesana lo hanno capito e sperimentato!
La festa diocesana degli incontri, infatti, ha avuto come tema la gratuità dell’amore di Dio, che splende come luce nel mondo attraverso le nostre opere buone. I ragazzi dell’ACR, a Pachino, presso l’oratorio della parrocchia di San Corrado, hanno vissuto un intenso pomeriggio di gioia, serenità, collaborazione e tanto sano divertimento… e non possiamo nascondere che anche gli educatori si sono lasciati coinvolgere dal clima festoso che si è respirato lo scorso 29 Maggio e hanno dato il meglio nel loro servizio educativo.
In preparazione ai campi estivi, la festa degli incontri non chiude un anno associativo, anzi, spalanca le porte al Tempo Estate Eccezionale, tempo in cui con i ragazzi vivremo i campi scuola e con gli educatori i campi formativi nazionali e diocesani.
In questo momento storico così delicato, in cui la Chiesa dedica addirittura 10 anni al tema dell’educazione, l’azione cattolica dei ragazzi non può esimersi da questa necessaria riflessione, ma attraverso momenti di incontro e confronto come quello della “Festa diocesana degli incontri” sperimenta quanto sia importante aiutare i ragazzi a crescere insieme, a scoprire la loro vocazione e a condividere con i coetanei l’appartenenza alla Chiesa che spezza l’unico pane attorno all’unica Mensa.
Le attività della festa sono state pensate e realizzate non solo dagli educatori, ma dall’Equipe diocesana dei ragazzi (EDR),Erika, Martina, Giorgio e Paolo,  perché i veri protagonisti sono i ragazzi stessi e solo affidandoci alle loro originali idee è stato possibile far passare il messaggio che è bello donarsi per gli altri e mettersi al servizio per costruire qualcosa di grande.
I nostri ragazzi non sono il futuro della società, sono già il presente e in essi va posta la speranza di una Chiesa fatta di persone che sappiano far splendere la luce del Padre attraverso le opere buone, attraverso la carità e il servizio concreto al Paese.
Educare è un arte difficile, un’arte che richiede il coraggio di cambiare e solo Gesù può darci il coraggio di cambiare e di osare l’impossibile!
 
 
 

Referendum Popolare uno strumento di partecipazione

Desideriamo offrire ai nostri lettori una scheda sintetica per  leggere i quesiti referendari. Siamo convinti che la libertà di coscienza è un principio fondamentale ma non può essere consegnata alla neutralità, specie quando sono in gioco valori irrinunciabili come i doni che Dio stesso ha dato agli uomini: l’acqua, la salute e l’uguaglianza.  Dono di Dio, l’acqua è un bene di tutti e per tutti; è la vita stessa che necessita di un bene così prezioso, costitutivo dell’equilibrio naturale. Affidarne la gestione ai privati è un delitto contro natura che modificherebbe la società umana, una inversione di tendenza gravissima a favore  di appetiti difficilmente controllabili. Per quanto concerne il dilemma tra risparmio energetico e tutela della salute, siamo di fronte a due grandezze incommensurabili, due ordini di valori che possono coesistere in un sistema integrato che, ancora una volta, non metta in primo piano il lucro ma la vita. Troppi interessi ruotano attorno al problema energetico e la difesa di tali interessi è affidata alla politica, a pochissime persone che hanno il potere di determinare il destino di  intere popolazioni. Il recente disastro nucleare del  Giappone  ha mostrato l’Imperatore e il Primo ministro giapponesi in ginocchio davanti alle vittime,  davanti ad una tragedia che fa notizia per qualche settimana e poi lascia una scia  di sofferenze indicibili per decenni.  Infine una breve considerazione sulla uguaglianza tra gli uomini. Per troppo tempo gli uomini sono stati considerati diseguali  di fronte alla legge: le società schiaviste, feudali, aristocratiche hanno marginalizzato i meno abbienti e li hanno privati di un principio presente all’atto della Creazione: l’uguaglianza interfaccia della libertà. Infatti non c’è vera libertà senza uguaglianza e viceversa. Con la nascita dei sistemi democratici ogni forma di disuguaglianza  va eliminata e ovviamente non va introdotta, se l’ordinamento non la prevede.  In un momento di crisi come l’attuale, i ricchi diventano sempre più ricchi e le fasce di povertà aumentano. Le Caritas diocesane e parrocchiali ne sanno qualcosa. Non aggiungiamo altre sperequazioni come il preteso legittimo impedimento che sottrarrebbe una carica istituzionale all’imparzialità   della legge. La Costituzione ci consegna il dovere di difendere questi valori e uno strumento, il Referendum, per esprimere la volontà popolare. Il 12 e 13 giugno manifestiamo il nostro SI per questi valori universali.
 
 

Laboratorio teatrale “Crisci ranni”

Iniziano nel cantiere educativo “Crisci ranni”, promosso dalla Caritas diocesana e dalla Casa don puglisi, le attività estive. La prima a partire sarà un Laboratorio teatrale per i bambini tra i 6 e i 10 curato dalla Compagnia del Piccolo Teatro, che sarà avviato il prossimo 7 giugno. Nel mese di giugno vi saranno attività introduttive (drammatizzazione, elementi di scenografia, costruzione maschere e burattini, cenni di trucco e costumistica). A luglio vi sarà la preparazione di uno spettacolo. Ad agosto è prevista l’animazione, insieme agli attori della Compagnia del Piccolo Teatro, di “passeggiate sentimentali” nei quartieri della Vignazza. Per informazioni e iscrizioni ci si può rivolgere, dal lunedì al venerdì dalle ore 17 alle ore 19, agli animatori del cantiere educativo sito alla Fontana nell’area attrezzata Padre Basile. Si vuole ancora una volta ripensare la città, unendo impegno educativo, conoscenza del territorio, cura della bellezza, senso della comunità.