Archivi della categoria: Le testimonianze

Don Rosario Sultana (febbraio 2008)

E’ la prima volta che vedo l’Africa con i miei occhi. Avevo sentito parlare della diocesi di Butembo-Beni ma constatare di persona questo tipo di realtà condividendo con la gente la vita di tutti i giorni è un’altra cosa. Sento che questa esperienza ha cambiato in me anche l’idea che avevo di questo Paese. Mi sono accorto che l’Africa ha delle risorse che vengono dalla gente, dalla vita della gente. Una vita molto semplice ma ricca perché pur vivendo nel bisogno, spesso qui si manca anche del necessario per sopravvivere, le persone trasmettono gioia, sono contente, pacificate con se stesse. Questa serenità che hanno, a partire dalle poche cose che possiedono, a noi insegna parecchio perché l’occidente vive nel benessere, che è un benessere materiale, però molta gente sperimenta forme di depressione e di malattia legate alla psiche proprio perché ha tutto ma non ha ciò che veramente fa felice l’essere umano: la fraternità, la solidarietà, il fatto di saper gioire di quello che si possiede anche se è poco. La cosa che più di tutti mi ha colpito è che questa gente è povera, ma forse noi siamo più poveri di loro. Qui, infatti, il poco che c’è rappresenta tutto il necessario. I bambini soprattutto, ma anche le donne e gli uomini, sono sempre con il sorriso. La felicità vera, infatti, non è legata al piacere e al possesso. Essere felici vuol dire saper godere delle cose semplici della vita: una carezza, un sorriso, una stretta di mano. Ecco allora la grande lezione che ci viene da questa esperienza di condivisione e di gemellaggio: imparare dalle cose semplici quanto è bella la vita e apprezzare anche quelle cose che oramai noi diamo troppo per scontate.

 

Don Rosario Sultana,

parrocchia santa Caterina da Siena, Donnalucata

Don Antonio Forgione (febbraio 2008)

Il messaggio che ci viene dall’esperienza di vita dei nostri fratelli gemelli di Butembo-Beni è rivolto soprattutto a noi adulti. A conclusione di questa breve visita nella nostra Chiesa gemella posso dire di aver fatto una esperienza di profonda spiritualità. Personalmente ho cercato di vivere la mia brevissima permanenza in terra d’Africa come il momento dell’incontro con Dio che ho scoperto attraverso gli occhi dei bambini, qui spesso malnutriti, mal vestiti e scalzi, eppure con una luce speciale che gli illumina il viso. Incrociando il loro sguardo ho scoperto la bellezza di Dio, ma anche la sofferenza del Cristo. Girando per i villaggi di questa nostra diocesi gemella ho incontrato tante persone di cui ho ammirato la capacità di accogliere sempre con un sorriso gratuito e la bellezza della natura. C’è davvero tanta bellezza in questa terra africana ma al tempo stesso tanta sofferenza: quella di un popolo intero, stremato dalla fame, dalle malattie e dalla guerra, i cui segni ancora sono visibili. Per questo posso dire che è stata un’esperienza meravigliosa e traumatica insieme. Aver visto e soprattutto aver vissuto queste contraddizioni fa sì che dopo nulla possa essere più come prima. Ai nostri fratelli gemelli di Butembo-Beni e a tutta la popolazione congolese va il mio augurio di una profonda rinascita.

 

Don Antonio Forgione

Rosa e Giorgio Ruta (febbraio 2008)

Un viaggio inizia per tanti motivi, ma questo viaggio con destinazione la diocesi gemella per noi, Giorgio e Rosa, aveva un’unica motivazione: sentirci parte della universalità della Chiesa. Così questa è stata l’occasione per sperimentare che lo Spirito che anima la Chiesa non ha limiti né confini, piuttosto si espande fino agli estremi confini della terra, finanche dove talvolta ci si chiede: “ma Dio dov’è”? Abbiamo visto che vent’anni di gemellaggio hanno prodotto tantissimi benefici soprattutto per la popolazione che abita attorno alle parrocchie. Meno per i lontani che riescono ad accedere alle scuole, agli ospedali, agli aiuti materiali, al sostegno spirituale e alla possibilità di un lavoro solo dopo ore o giornate di cammino. Quella che abbiamo trovato nel nord Kivu è una Chiesa che come madre si fa carico di ogni bisogno delle persone che abitano il territorio. Certo le possibilità sono limitate, ma c’è attenzione e preoccupazione. E allora gioia, pace interiore, fiducia sono i sentimenti che hanno invaso i nostri cuori nonostante le contraddizioni che si presentavano ai nostri occhi: da una parte terreni fertili e coltivati, ricca vegetazione, un popolo con una propria identità, desiderio di progredire, generosità, clima festoso, grande senso dell’ospitalità e dell’accoglienza, senso di aggregazione e appartenenza, grande speranza e impegno, e dall’altra strade sterrate, case di fango e paglia, persone malnutrite, abiti logori, condizioni igienico sanitarie pessime, impossibilità di realizzare i propri progetti e dare risposte ai propri bisogni per mancanza di mezzi e strutture. Questi sentimenti di gioia e serenità non provenivano dall’indifferenza per quanto stavamo conoscendo, piuttosto dalla speranza che questa povertà, grande e grave che si vive nella diocesi di Butembo-Beni, possa finire e lasciare il posto ad un mondo migliore, anche attraverso il nostro contributo. Un altro sentimento che ci ha accompagnato è la tenerezza che ci ha suscitato la vista di un bambino che, all’uscita di scuola, conservava i suoi quaderni dentro il sacchetto di plastica dove, il giorno prima erano contenute le caramelle che avevamo donato loro. Forse lo considerava un regalo dei fratelli gemelli o forse è l’arte del riciclaggio che in queste condizioni aiuta a sopravvivere… Tanta tenerezza abbiamo provato inoltre per il batticuore e la meraviglia che ci ha manifestato una bimba. Ci guardava tenendo la testa bassa e coprendosi la bocca con la mano. Poi quando per rassicurarla l’ho avvicinata a me (Rosa) e le ho offerto la mia mano mi sono accorta della sua emozione: il suo cuore non batteva, ma galoppava, come se dovesse finirmi tra le mani da un momento all’altro. Tanti sorrisi ci sono rimasti impressi nel cuore e ogni volta che rivediamo quei volti, sia dei bambini, sia dei giovani che degli anziani, sul display della macchina fotografica ci rendiamo conto di come davvero li abbiamo portati con noi, di come oramai fanno parte della nostra vita. Quello che lascia l’amaro in bocca sono le ingiustizie che le persone di alcuni villaggi, soprattutto nella zona più a Sud di Butembo, hanno subito, e che ancora subiscono o potrebbero subire. La bestialità dell’uomo che si accanisce contro un altro uomo: il maschio sulla femmina, l’adulto sul bambino, il ragazzo sull’infante, l’armato sul disarmato, ci deludono profondamente. Non possiamo scordare quelli voci che chiedono di essere guarite, quei sorrisi ricchi di speranza o quegli occhi belli, grandi e gioiosi perché vedono nel fratello gemello il portatore di salvezza, e che, ben oltre dal risolvere le loro povertà, ci chiedono giustizia affinché ogni bambino possa mettere a frutto le proprie potenzialità, affinché ogni genitore possa donare ai propri figli il benessere e la serenità per affrontare la vita, affinché ogni ammalato possa essere curato. Affinché ogni persona possa ricevere giustizia ancora tantissimo lavoro rimane da compiere e non si tratta solamente di non far mancare il contentino dei “bon-bon” e l’“argent” per costruire o progettare. In virtù del gemellaggio, ma ancora di più in nome dell’universalità della Chiesa, sentiamo di appartenere al popolo di Butembo-Beni, soprattutto agli abitanti della parrocchia di Magheria gemellata con la nostra parrocchia di san Paolo a Pozzallo. Sentiamo di appartenere tanto alla loro miseria quanto alle loro ricchezze. Riteniamo dunque importante poterli chiamare per nome e non solo “fratello-gemello”, ascoltare i loro sogni e non solo vestirli, trascorrere il tempo con loro, accompagnarli e non semplicemente donare un sorriso frettoloso. Il viaggio ci ha fornito un assaggio delle povertà e delle ricchezze, qualche fratello lo abbiamo potuto chiamare per nome e ci portiamo nel cuore il desiderio di alimentare la fratellanza e la condivisione reciproca superando la tentazione di assumere atteggiamenti da genitore o peggio ancora da professore, oppure da fratello maggiore. Credendo alla frase del Vangelo “I poveri saranno sempre con voi” abbiamo sempre avuto chiaro che non sono gli sforzi umani che potranno debellare la povertà nel mondo. Forse perché dalla povertà vengono lezioni di vita, abbiamo pensato nel nostro cuore. Questo per dire che eravamo preparati alla vista della povertà. Ma non a quella delle ingiustizie, né ci eravamo interrogati a che cosa esse potessero servire. Anzi, ce lo chiediamo ancora ora.

 

Rosa Maria Padua e Giorgio Ruta,
responsabili diocesani della pastorale familiare

Patrizia e Sebastiano (febbraio 2008)

Attraversando l’Uganda verso la Repubblica democratica del Congo scopriamo un mondo nuovo: il paesaggio della foresta equatoriale. La natura ci emoziona. Rimaniamo tutto il tempo del viaggio con gli occhi aperti, tanto da farci male, a osservare dal finestrino l’ambiente e i villaggi molto vicini tra loro, piccoli agglomerati che non hanno niente a che fare con la più piccola della nostra città. Gruppetti di capanne, alcune di legno, paglia e fango, altre in muratura con i tetti in alluminio, strade inesistenti, senza rete elettrica e davanti alle abitazioni solo terra rossa e fango, bambini davanti le capanne e in cammino con altri bambini più piccoli sulle spalle, donne con carichi in testa pesantissimi a lavorare. Impressionante il loro sguardo meravigliato quando incontra il nostro, e al nostro gesto di saluto ci rispondono gioiosi. Rimaniamo esterrefatti quando al nostro arrivo troviamo l’accoglienza di una folla in festa, che canta, balla, applaude e sorride. In quel momento ci sentiamo catapultati in un’altra realtà, circondati dai nostri fratelli gemelli che hanno voglia di toccarci, di salutarci, di benedirci e di essere fotografati con noi. Ovunque andiamo ci regalano immensi sorrisi nonostante la loro povertà materiale evidente. Emozionante è ascoltare i canti di alcuni bambini in francese e i canti ben scanditi in italiano dei seminaristi e vedere le lunghissime danze tipiche tribali con il loro forte senso ritmico che si capisce è innato. Per noi è umanamente arricchente scambiare qualche parola con i nuovi amici, trascorrere del tempo insieme a loro, giocare con i bambini. Stare vicino a loro ci fa sentire accanto al Signore. Ci domandiamo se siamo noi o sono loro che ci evangelizzano nel nome del Signore….. Un momento intenso l’abbiamo vissuto quando il nostro vescovo ha posto la prima pietra per la costruzione di una “Casa del fanciullo” a Bingo, mentre migliaia di persone assisteva in piedi e sotto il sole cocente. C’erano bambini perfino arrampicati sugli alberi. Per dieci giorni abbiamo in un mondo dove regna la serenità, la tranquillità, la fraternità, la disponibilità, l’accoglienza, l’amore intenso e la fede più vera; al contrario della nostra realtà dove regna la ricchezza materiale ma sempre di più l’indifferenza verso l’altro e una fede a volte un po’ stanca. Nonostante la stanchezza fisica per le lunghe giornate trascorse in giro per i villaggi ci sentiamo sempre più sereni, con il cuore colmo di amore e gioia e partecipi dell’entusiasmo e della speranza dei nostri fratelli gemelli. In certi momenti sembra che tutti gli sguardi siano sopra di noi, ogni nostro gesto è per loro un segno speciale. Ci fanno sentire importanti, ma noi in confronto a loro ci sentiamo piccoli. Comprendiamo man mano che il vero senso del nostro viaggio non è solo quello di osservare ciò che è stato realizzato e capire i concreti bisogni nelle missioni gemellate con la diocesi di Noto, ma quello della fede e di portare un segno concreto di pace. Da quando siamo tornati flash fotografici con i volti dei nuovi amici ci vengono in mente. Adesso apprezziamo di più quello che abbiamo e ci sentiamo in dovere di non dimenticare l’esperienza vissuta.        


Patrizia e Sebastiano,
parrocchia santa Caterina da Siena, Donnalucata

Andrea Mingo (febbraio 2008)

Sono stato in visita a Butembo-Beni diverse volte. Entrando sempre di più nell’esperienza del gemellaggio, ho maturato l’idea di partecipare in maniera attiva al punto che riguarda il sostegno alla scolarizzazione. Da qui il progetto di gemellare la scuola dove insegno con una scuola di Beni Citè, maturato non perché come istituto abbiamo pensato che una classe o una scuola europea potessero aiutare economicamente una struttura di istruzione nella Repubblica democratica del Congo. Il gemellaggio è nato dal desiderio di creare un ponte, uno scambio di esperienze tra due realtà diverse proiettate verso un unico percorso di crescita. Italia e Repubblica democratica del Congo, infatti, seppure possano sembrare all’apparenza due mondi diversi, rimangono due realtà dello stesso mondo che tutti abitiamo. Allora diventa importante acquisire la coscienza del dove noi viviamo e capire se i sogni, le paure e le speranze dei nostri ragazzi sono le stesse dei loro fratelli congolesi. A questo punto della riflessione ci accorgiamo che qualcosa non funziona….i nostri ragazzi spesso sono annichiliti di fronte al futuro e mancano di progettazione, eppure hanno tutto. I loro fratelli congolesi hanno gli occhi pieni di speranza e guardano alla scuola con fiducia, eppure non hanno niente….nemmeno i quaderni dove scrivere. Ecco dunque la consapevolezza che forse questo gemellaggio serve più a noi che a loro. Ed è proprio in questa ottica di crescita che, come scuola di Avola, abbiamo inteso la raccolta di fondi da destinare all’istituto Pierrard di Butembo. Alla luce di questo, si comprende anche la scelta dei nostri ragazzini di non chiedere denaro alle proprie famiglie, piuttosto di risparmiare sulla paghetta settimanale, ognuno secondo le proprie possibilità. L’entità di quanto donare, infatti, appartiene al grado di rinuncia consapevole che ogni ragazzo può fare, alla sua sensibilità e alla sua consapevolezza che il gesto più grande che possa fare un uomo è donarsi agli altri. Ecco così come una semplice rinuncia all’acquisto di una merendina (ad esempio), si carica del significato di una rinuncia consapevole di pochi centesimi che serviranno ad aiutare un bambino e al tempo stesso faranno crescere la coscienza umana del ragazzo. Ho letto un’espressione cruda: ‘l’elemosina è il modo più sporco di lavarsi l’anima’. E allora niente elemosina, ma lo scambio per una crescita reciproca e per la costruzione di una società più consapevole di se stessa, si”.

 

Andrea Mingo,
 insegnante Istituto E. Vittorini di Avola

Mariuccia Di Raimondo Fiore (febbraio 2008)

Diciotto volontari della parrocchia Sacro Cuore di Modica, lo scorso gennaio abbiamo trascorso una settimana piena nella parrocchia gemella di Bingo. Siamo andati non come semplici benefattori, ma per fare esperienza di vero scambio pastorale. La fede, l’amicizia, le opere concrete nei vari progetti che abbiamo realizzato in comunione con i sacerdoti del luogo, secondo i loro bisogni, hanno caratterizzato la nostra permanenza. La parrocchia di Bingo è gemellata dal 1995 con la parrocchia Sacro cuore di Modica. I pionieri del gemellaggio, Maria Antonietta e Saro Sammito, mio marito Bartolo Fiore e don Salvatore Giordanella allora venivano alloggiati in un conteiner, un secchio di acqua al giorno per lavarsi. Oggi con l’aiuto di Dio e la collaborazione di tutta la nostra comunità parrocchiale tanto è cambiato. I vari progetti realizzati negli anni hanno dato la possibilità di migliorare le condizioni di vita della gente del luogo, ma soprattutto è cresciuto il vero senso del gemellaggio: quello dello scambio. Gruppi, associazioni laicali, adozioni a distanza di famiglie e bambini ci permettono di rendere attivo lo scopo del gemellaggio. Quest’anno abbiamo attuato cinque progetti utili per tutta la comunità di Bingo. Il metodo è stato quello di fare diventare la gente del luogo protagonista perché possa continuare in modo autonomo le attività dopo la nostra partenza. I progetti hanno riguardato: ristrutturazione e pittura della chiesa grazie al lavoro di una squadra di volontari, un corso di italiano che agevola la comunicazione tra le due Chiese, un corso per elettricisti a 15 giovani a cui abbiamo donato un mini kit per continuare la professione. Infine, monsignor Crociata ha posato la prima pietra per la costruzione della “Casa del fanciullo Sacro Cuore”, un piccolo ospedale per i bambini, punto di riferimento oltre che per le cure anche per la prevenzione. Un messaggio di speranza, quindi, per i nostri fratelli gemelli e per i tanti bambini che ogni giorno perdono la vita anche per un banale malessere. La struttura sarà costruita con i fondi raccolti dalla nostra parrocchia di Modica. Questo è possibile perché da anni lavoriamo sulla sensibilizzazione a livello di pastorale, nei gruppi di catechismo, nelle scuole. La gente risponde positivamente, magari evitando lo spreco dei fiori ai funerali, le bomboniere ai matrimoni e alle prime comunioni, valorizzando così lo spirito evangelico della carità. Con la presenza del medico Corrado Giuliano, specialista in otorinolaringoiatria, abbiamo effettuato circa 500 visite a bambini e adulti. Alcuni di loro presentavano gravi problemi alle orecchie, quasi tutti avevano i timpani perforati e corpi estranei nelle orecchie. Molti pensavano di essere sordi e acclamavano al miracolo dopo la visita che semplicemente aveva estratto il corpo estraneo che ostruiva il condotto uditivo. Abbiamo sentito sulla nostra pelle la loro commozione e ci siamo emozionati anche noi quando dopo anni li abbiamo visti tornare a sentire anche i sussurri. Un grazie speciale va dunque a Corrado che con spirito di donazione e da autentico missionario ha portato una luce di speranza a questa gente facendo collaborare un medico e un infermiere del luogo e regalando loro tutti gli strumenti per continuare le visite otoriniche. L’opera e i progetti iniziati non finiscono con la nostra visita ma continuano qui adesso con la nostra testimonianza nella pastorale quotidiana. Siamo grati alla diocesi per questo grande dono del gemellaggio che non è solo scambio materiale ma arricchimento di fede per ognuna delle due comunità, l’una dono per l’altra.


Mariuccia Di Raimondo Fiore,
parrocchia Sacro Cuore di Modica

Don Gaetano Colombo (febbraio 2008)

Sono venuto in Africa perché la mia parrocchia del Santissimo Crocifisso di Pachino è gemellata con la parrocchia di Mutwanga della diocesi di Butembo-Beni. Già lo scorso anno ero venuto a conoscere personalmente la realtà della gente di questo villaggio. In un primo momento, come parrocchia, a Pachino abbiamo vissuto il gemellaggio solo in forma teorica, più di sostentamento, e comunque limitato. Ma dopo la mia prima visita le cose sono cambiate. Il legame con la parrocchia gemella si è intensificato e tutta la comunità si è interessata di più a cosa succedeva a Mutwanga e a come si viveva. Grazie alla testimonianza diretta delle foto, dei video e dei miei racconti, i fratelli gemelli di Mutwanga sono entrati nella nostra vita con i loro nomi e i loro volti, ognuno diverso dall’altro, e non tutti uguali come sembrano quando osservi l’Africa solo da lontano. Mutwanga è una delle parrocchie più grandi della diocesi di Butembo-Beni ed è composta di sette settori. Se si pensa che per spostarsi da un settore all’altro possono volerci anche giorni di cammino, ci si rende conto di quanto davvero possa essere estesa. Proporzioni che non hanno nulla a che vedere con le nostre parrocchie, naturalmente. Aiutato dalla presentazione del parroco e dei membri dei collegi pastorali, ho individuato una priorità: la casa della maternità. Se c’è una cosa che mi ha colpito, quasi scioccato, girando per i villaggi, infatti, è stata proprio la condizione igienico sanitaria pessima in cui venivano al mondo i bambini. Tutta la parrocchia di Pachino si è impegnata a raccogliere fondi, e ora la casa della maternità è in costruzione. L’Africa, io penso che abbia una profonda vocazione per la vita. Basta osservare la natura, il sorriso luminoso dei bambini, il modo con cui anche gli adulti si rapportano tra di loro, sempre disponibile e generoso. Allora quello che noi dobbiamo fare è proprio difendere questa vita, anche attraverso la costruzione di strutture adeguate per farla venire al mondo, per curarla, e per accompagnarla nel processo di crescita: quindi ospedali e scuole. Soprattutto la vita nascente è dono di Dio che deve essere accolta e protetta. Il prossimo obiettivo è quello di tornare presto a visitare i fratelli gemelli di Mutwanga, magari accompagnato da una rappresentanza della comunità parrocchiale del Santissimo Crocifisso di Pachino.  


don Gaetano Colombo,
 parroco del Santissimo Crocifisso di Pachino gemellato con Mutwanga


 

Don Maurizio Novello (febbraio 2008)

E’ fondamentale che anche i giovani oggi possano conoscere la Chiesa africana, in particolare questo gemellaggio che vuole sigillare il rapporto tra due Chiese sorelle che si sostengono. Ciò che è importante nel cammino della nostra formazione cristiana, infatti, è la possibilità di incontrare e conoscere altri modi di vivere la stessa fede cristiana. Il viaggio che la pastorale giovanile ha fatto a Butembo-Beni, in particolare è stato un’occasione per ripensare il nostro modo di parlare ai giovani di oggi, attraverso la testimonianza concreta di una terra di missione quale è la diocesi di Butembo-Beni. L’indirizzo che ci viene da questa esperienza, allora, è che la nostra scelta, come Chiesa e come pastorale giovanile, deve essere a favore degli ultimi. D’altra parte, di fronte alle difficoltà che oggi abbiamo di annunciare Cristo ai giovani il messaggio che incide di più e che i giovani percepiscono meglio è proprio quello della testimonianza che nasce dall’occasione di stare accanto a coloro che hanno bisogno. La carità e il linguaggio dell’amore sono gli unici che riescono a raggiungere i giovani. Da qui l’idea di  organizzare dei viaggio per i ragazzi della nostra diocesi, che possano durare almeno tre settimane, per dare loro la possibilità di conoscere queste realtà di povertà materiale ma di grande amore. In questi luoghi, infatti, noi non andiamo investiti di qualche potere particolare. Noi andiamo solo nel nome del Signore. Ecco, i giovani hanno bisogno di conoscere questo aspetto della Chiesa: la sua potenza che non è umana ma dello Spirito che riesce a superare le barriere politiche, di frontiera e culturali, poiché tutto viene unificato e accolto nell’amore che ognuno di noi è chiamato a condividere con gli altri. Affinché tutto ciò abbia un senso, però, è molto importante, fondamentale, che questo cammino porti ad una conversione da attuare e continuare nella nostra Chiesa. Noi non abbiamo la possibilità di cambiare le sorti di questo popolo, ma abbiamo l’opportunità e nello stesso tempo il dovere di annunciare e di portare la speranza di Cristo che diventa poi anche cambiamento sociale, economico, politico e dello stato di vivere. Questa esperienza concreta nella missione aiuta di più noi a rivedere il nostro cammino interiore e soprattutto il nostro modo di essere di fronte alla povertà del mondo. Ciò che importa in questo viaggio, insomma, è la dimensione del cuore che non serve tanto al popolo che oggi vive qui, che è un popolo gioioso e accogliente. La lezione è per noi, per l’occidente, perché possiamo riscoprire le radici cristiane della nostra cultura e nello stesso tempo possiamo cominciare a rivedere ciò che stiamo facendo come Chiesa e come giovani nella nostra diocesi, e il nostro cammino di conversione. Un cammino che deve essere riportato alle sue origini attraverso la testimonianza concreta della fede che deve essere chiarita dinnanzi al relativismo che oggi si impone nella cultura occidentale, in modo particolare nei giovani che spesso nel confronto si affannano a fare tanta opinione ma tralasciano la Verità dell’amore.

 

don Maurizio Novello,
responsabile della pastorale giovanile diocesana

Don Ignazio Petriglieri (febbraio 2008)

Venendo qui per la prima volta in Africa, sono stato colto da una sorpresa, non di compiacimento, ma di speranza. Mi ha colpito senza dubbio il triste spettacolo della povertà. ‘Il Continente africano è il mio primo pensiero’ disse Giovanni Paolo II, per le contraddizioni che in esso coesistono. Effettivamente questo Paese si è mostrato subito ai miei occhi con le lacerazioni che vengono dal divario enorme tra piccole fasce di ricchezza e gli enormi bacini di povertà. Si tratta di conciliare, perché l’Africa è un continente dalle enormi risorse, materiali e soprattutto umane. Basti pensare alla grande capacità di relazione e di apertura di questa gente nei confronti dell’altro che abbiamo sperimentato nel confronto con i nostri fratelli e amici gemelli di Butembo-Beni in questa settimana di visite nelle parrocchie e nei villaggi, e che per noi occidentali, abituati sempre di più a bastare a noi stessi, è una lezione di vita e di comunione. Qui non si respira la solitudine. Non c’è proprio la cultura della solitudine. C’è la famiglia, il clan, la comunità, il villaggio. Nelle strade e davanti alle capanne c’è sempre un assembramento di persone. Nessuno è solo. Una ricchezza di rapporti umani che invece manca nella nostra società. Noi abbiamo altre ricchezze, più materiali, forme di benessere che pure non sono da deprecare o demonizzare, perché l’attenzione all’uomo nel suo complesso è quello che anche il cristianesimo ha sempre promosso. Piuttosto è una condizione da redimere, attraverso iniezioni di valori. L’eccesso di benessere che a livello culturale ha generato nella nostra società il consumismo, infatti, è una degenerazione che porta con sé la caduta dei valori. Ecco allora perchè questo gemellaggio per noi rappresenta un’opportunità, per imparare a dare nuovamente il valore giusto alle cose e alle persone e soprattutto per rinvigorire il nostro bagaglio spirituale e umano.  


don Ignazio Petriglieri,
 direttore spirituale del Seminario diocesano


 


 

Don Salvatore Giordanella (febbraio 2008)

Il gemellaggio tra la Chiesa di Butembo-Beni e la Chiesa di Noto il 21 aprile di quest’anno compie venti anni. Si può quindi fare un bilancio di questa esperienza. All’inizio era un sogno, una sfida alla realtà del mondo diviso, nord e sud, poveri e ricchi, bianchi e neri, cultura africana e occidentale. In venti anni l’impegno è stato innanzitutto ad andare avanti. Ma non sono mancati i frutti concreti: il primo è che c’è stato veramente uno scambio spirituale, culturale, di solidarietà tra le due Chiese sorelle. Siamo partiti non come una Chiesa superiore che aiuta una Chiesa inferiore, ma con la chiarezza che due Chiese sorelle che si donano reciprocamente, si aiutano e si migliorino reciprocamente nella pace, nella serenità, nella comunione, come due gemelle. Un altro risultato concreto è che in questi venti anni 30 parrocchie della diocesi di Noto si sono gemellate con altrettante di Butembo-Beni, quindi una rete di relazioni, di lettere di comunione, di amicizia, di visite, iniziative di solidarietà e progetti di sviluppo. Questi dati ci dimostrano che il mondo ha bisogno di queste esperienze perché non esiste primo, secondo e terzo mondo, ma un’unica famiglia da amare, come l’esperienza del gemellaggio ci dimostra. L’iniziativa lanciata da monsignor Salvatore Nicolosi e da monsignor Emmanuele Kataliko, insomma, venti anni dopo possiamo dire davvero che è una sfida vinta che ci ha dato e continua a darci la gioia di sperimentare che un mondo unito è possibile pur nella varietà delle culture e degli stili di vita.

 

don Salvatore Giordanella,
direttore dell’Ufficio diocesano missionario