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SS. SALVATORE

Distrutta dal terremoto del 1693, la chiesa del “SS. Salvatore” fu ricostruita nel secolo XVIII, con trasformazioni databili tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento. La facciata è molto semplice e vi si affianca un campanile ove si trova una campana del 1536. L’interno presenta uno spazio interessantissimo dal punto di vista architettonico in cui sono contenute rilevanti opere d’arte. Tra i dipinti segnaliamo: Pietro Spinosa, l’Immacolata, olio su tela, 1765; Stefano Ragazzi, S. Caterina, olio su tela, 1770; Stefano Ragazzi, S. Antonio, olio su tela 1774; Cristo resuscitato, olio su tela, seconda metà sec. XVIII; Transito di S. Giuseppe, olio su tela, 1667. Sono da segnalare, inoltre, preziosi argenti e paramenti sacri, il gruppo scultoreo in cartapesta e argento, Cristo alla colonna, sec. XVIII; i confessionali, fine sec. XIX; l’organo a canne, fine sec. XIX; 5 medaglioni marmorei, seconda metà sec. XVIII; gli stalli del coro, 1790-1791.

MADONNA DELLA CATENA

L’edificio sacro è collocato nel centro storico di Modica ed è stato edificato nel sec. XVI e successivamente, dopo i danni subiti dal terremoto del 1693, riedificato nel sec. XVIII. All’esterno si notano le antiche fabbriche e la base del primitivo campanile.La chiesa è ad unica navata ed al suo interno si conservano opere pregevoli. In particolare si segnalano i dipinti su tela: Crocifissione, Transito di S. Giuseppe, Madonna del latte (Sec. XVIII) e le  sculture: Madonna della Catena, Sacro Cuore, S. Antonio da Padova.

S. MARIA DI BETLEM

Si trova lungo Via Marchesa Tedeschi, ed è il terzo edificio sacro per importanza in città dopo quelli delle chiese di San Giorgio e San Pietro.La chiesa si presenta come il risultato di interventi che vanno dal Cinquecento all’Ottocento. La facciata, a due ordini, è il risultato di due fasi costruttive, il primo ordine è da collocare tra il secondo Cinquecento e il primo Seicento, mentre il secondo ordine fu realizzato nell’Ottocento.Tra le testimonianze architettoniche precedenti al terremoto del 1693 segnaliamo, lungo il prospetto laterale sinistro, una lunetta in calcare, la Lunetta del Berlon (sec. XV-XVI), pregevole bassorilievo di ignoti artisti locali raffigurante una Adorazione dei Pastori, e all’interno, in fondo alla navata di destra, la Cappella Cabrera, una delle più significative testimonianze artistiche tra tardogotico e Rinascimento. La Chiesa di santa Maria di Betlem presenta nella facciata tre portali nell’ordine inferiore e un finestrone in quello superiore.All’interno, a tre navate con un tetto a capriate interamente dipinto, segnaliamo la cinquecentesca Madonna in trono con Bambino in pietra dipinta posta sull’altare della Cappella Cabrera. Una cappella laterale della navata sinistra della chiesa, ospita il magnifico presepe realizzato nel 1882 con oltre 60 statue di terracotta provenienti da Caltagirone, ambientato nella suggestiva cava di S. Maria. Parecchi i dipinti, tra cui segnaliamo quello della Madonna del Carmine tra S. Agata e S. Carlo Borromeo (metà sec. XVII) attribuito a Giuseppe Reati. Infine, spiccano nella navata centrale l’organo a canne ed il monumentale pulpito in legno scolpito.

S. PIETRO – CHIESA MADRE

La Chiesa di San Pietro è collocata nel cuore della città bassa e rappresenta un mirabile esempio di architettura tardobarocca. L’origine, molto probabilmente, risale all’epoca di San Marziano, discepolo di San Pietro e primo vescovo di Siracusa. A causa del terremoto del 1693 la chiesa subì parecchi danni e nel 1697 il progetto e la direzione dei lavori vennero affidati ai capimastri Mario Spata e Rosario Boscarino. La chiesa fu ricostruita sulle stesse fondamenta della chiesa del Seicento. Dell’edificio seicentesco rimane, all’interno, la Cappella dell’Immacolata, attualmente sacrestia, dove è ancora leggibile la data 1620. La cappella è un vano quadrangolare con un’interessante copertura che rimanda a modelli costruttivi rinascimentali, analoghi a quelli della volta della cappella di San Mauro all’interno della Chiesa di Santa Maria di Betlem.I lavori di costruzione e decorazioni continueranno fino alla fine dell’Ottocento; la sistemazione della scalinata esterna a rampe rettilinee è il risultato di vari adattamenti che si concludono nel 1876.Tra gli elementi architettonici interessanti della facciata piana notiamo le lesene del primo ordine e del secondo ordine, il finestrone centrale, le volute di raccordo a motivi floreali, dalle statue sistemate sul primo ordine e nella cuspide.L’interno è a tre navate; molto ampia quella centrale rischiarata da grandi finestre laterali che presenta delicati stucchi ottocenteschi e nella volta otto riquadri con scene e figure del Vecchio e del Nuovo Testamento di Giovan Battista Ragazzi (seconda metà sec. XVIII). Interessanti l’altare del Sacro Cuore, del Crocifisso, quelli di S. Lucia, di S. Giuseppe, dell’Addolorata e la cappella del SS. Sacramento. Tra le opere d’arte segnaliamo in primo luogo la Madonna di Trapani, posta nella cappella di destra, scultura in marmo (sec. XVI), la scultura lignea policroma della Madonna nella nicchia dell’altare maggiore e ai lati, all’interno di due nicchie, le statue di San Pietro e San Paolo tutte opera di Pietro Padula, artista napoletano, che le eseguì tra il 1773 e il 1775, l’altra scultura lignea di S. Pietro e il paralitico del palermitano Pietro Civiletti (1893). Interessanti tele secentesche sono conservate nella Cappella Mazzara, prima cappella della navata sinistra. Due mausolei sono posti all’ingresso della chiesa: quello di Giuseppe Campailla (1858) e di Don Carlo Interlandi (1797). Alla metà del sec. XVII risale l’Urna reliquiaria in argento con i dodici apostoli rappresentati in altorilievo sui quattro lati in nicchie incorniciate da lesene con cariatidi.

S. GIORGIO – CHIESA MADRE

La Chiesa di San Giorgio è posta tra la parte alta e la parte bassa della città, in posizione scenografica con il prospetto rivolto verso occidente e si caratterizza sia per l’imponente l’architettura, sia per la sua collocazione urbanistica che le conferiscono un singolare effetto scenografico e ne fanno una tra le più significative opere del barocco europeo. Nel 1660 lo storico Rocco Pirri fornisce informazioni sulla chiesa citandola come la più antica e la più celebre della Contea di Modica. Molto poco ci resta di quel momento storico distrutto dal terremoto del 1693. A partire dal 1716 cominciarono i lavori per la ricostruzione della facciata di San Giorgio, ma il primo ordine della facciata fu realizzato seguendo il progetto del netino Paolo Labisi a partire dal 1761. La facciata fu completata nel 1848 e la data finale si legge in un cartiglio sopra il terzo ordine, dunque, il secondo e il terzo ordine potrebbero essere collocati tra il terzo e il quinto decennio dell’Ottocento e potrebbero essere stati progettati da Carmelo Cultraro uno dei protagonisti dell’architettura iblea di questi decenni.Lo spazio antistante San Giorgio doveva avere, nel ‘700, una diversa sistemazione con terrazze naturali, orti e gradini che sono stati trasformati nell’Ottocento quando fu costruita l’attuale scalinata (progettata tra il 1874-75 dall’architetto Alessandro Iudica Cappellani) che ormai è parte integrante dello spazio scenografico di San Giorgio.L’interno, a croce latina, presenta cinque navate divise da colonne e pilastri con una cuola che sovrasta il transetto. Tutta la parete di fondo dell’abside è occupata da un grandioso polittico attribuito a Bernardino Niger e datato 1573. E’ il più grande polittico di tradizione medievale-rinascimentale presente in Sicilia se si fa eccezione di quello marmoreo del Gagini nella Cattedrale di Palermo, andato perduto. È composto da nove tavole rettangolari disposte su tre ordini e da una lunetta di coronamento (1° ordine: S. Giorgio, Sacra Famiglia, S. Martino; 2°ordine: Presentazione al tempio, Adorazione dei Magi, Gesù tra i dottori; 3° ordine: Pentecoste, Resurrezione, Ascensione; lunetta: Dio Padre). Di notevole pregio è la cornice in legno scolpito e dorato.Tra le più rilevanti opere d’arte custodite nella chiesa di S. Giorgio, segnaliamo l’Assunta, olio su tela di Filippo Paladini (1610), una delle ultime opere del maestro toscano, uno dei maggiori esponenti della pittura italiana di inizio Seicento che opera all’interno del manierismo toscano con echi caravaggeschi, la Natività olio su tavola di Ignoto del (sec. XVI), la Vergine che intercede presso la Trinità per le anime purganti olio su tela (sec. XVIII), i Santi Fanzio e Deodata, olio su tela (secc. XVII-XVIII), uno stemma ligneo dipinto con il tema di San Giorgio e il Drago datato 1576, una tela secentesca anonima raffigurante una Deposizione conservata in sacrestia; tra le sculture la Madonna della neve, scultura marmorea della scuola dei Gagini, due sarcofagi del Seicento conservati nel transetto, la Crocifissione, gruppo ligneo (secc. XVII-XVIII), la statua di S. Giorgio; tra gli argenti l’Urna reliquiaria di S. Giorgio (secc. XVIII – XIX) e l’Altare maggiore (secc. XVII-XVIII).Nella seconda metà dell’Ottocento furono realizzati il monumentale l’organo a canne, a 4 tastiere, 80 registri e 3000 canne (1866-1888) e la Meridiana, orologio solare opera del matematico e astronomo Armando Perini (1895).

La riflessione del Vescovo di Noto, Mons. Giuseppe Malandrino

A quasi nove anni dal mio ingresso come Vescovo della Diocesi di Noto, posso rendere grazie di tutto cuore al Signore per avermi consentito di attuare pienamente, sempre con la sua Grazia e con l’intercessione dei nostri Santi Patroni Maria SS. Scala del Paradiso e S. Corrado Confalonieri, quanto allora avevo programmato circa la ricostruzione della Cattedrale netina.
Infatti, nell’omelia che pronunciai allo Stadio Comunale di Noto il 29 agosto 1998, in occasione della celebrazione eucaristica solenne per il mio ingresso, ebbi a dire fra l’altro: «Quale compito il Signore ci assegna da portare avanti insieme, nella storia concreta di oggi e nel luogo specifico della nostra Chiesa particolare? Due priorità si impongono tra loro: la ricostruzione della nostra Cattedrale, senza dimenticare gli altri edifici sacri dissestati della Città di Noto e di tutta la Diocesi, e l’attuazione, già del resto in atto, del nostro ottimo Sinodo diocesano. Per il primo obiettivo occorrerà certamente un impegno ancor più sollecito, sinergico, motivato e generoso, bandendo qualsiasi forma ingiustificata di ritardo, di speculazione e di interesse privato. Pertanto, faccio vivamente appello a tutte le singole persone e a tutte le istituzioni, civili e religiose, perché sappiano superare l’atavica nostra tentazione del “particolarismo” e del tornaconto privato che hanno spesso appesantito e ritardato soprattutto le opere pubbliche, lasciandole spesso “eternamente incompiute”. Senza ombra di dubbio – e ne è testimone il mondo intero – non intendiamo ricostruire una delle tante “Cattedrali nel deserto”, ma una Cattedrale nella Città e nella storia».
Il miglior commento di quelle parole è la sollecita – meno di sette anni! – riapertura della grandiosa Cattedrale di Noto. Ed è un bene evidenziare che si tratta di una ricostruzione tutta in pietra. Oltre il buon Dio, allora, è più che giusto ringraziare anche coloro – istituzioni, direzione dei lavori, impresa, maestranza, singole persone – che, accogliendo il mio appello di allora, hanno veramente contribuito alla ricostruzione della Cattedrale, senza lesinare energie ed impegno, in uno sforzo corale e sentito che trova ora il suo giusto coronamento. Le immancabili difficoltà sono state superate con senso di responsabilità e corale slancio: e, così, la Cattedrale è venuta fuori – ancor più “forte” di prima – come frutto rigoglioso della preghiera e dell’apporto operoso di tutti quanti vi hanno creduto e operato. Ovviamente, sono stati innumerevoli i momenti in cui, soprattutto nelle varie conferenze di servizio, sono dovuto intervenire per offrire una parola di mediazione e d’incoraggiamento; spesso ho dovuto indossare il casco di sicurezza e la tuta di lavoro per entrare nel cantiere. Francamente, ho sempre trovato un pronto e sincero riscontro alle mie sollecitazioni ed esortazioni, con un’alacrità veramente encomiabile da parte dei tecnici ed operai. E, così, questa alacrità in cantiere avrà trovato un buon incoraggiamento dal vedere un Vescovo che, nonostante i suoi 70 e più anni, si arrampicava sui ponteggi metallici fino ad arrivare sulla cima della lanterna della cupola?
Valeva la pena affaticarsi così tanto per la ricostruzione della Chiesa “materiale”? In fondo, la Chiesa non è fatta da tutte quelle “pietre vive” (cfr. 1Pt 2,4?8) che sono i singoli battezzati? Rispondo dicendo che l’impegno profuso per la Cattedrale non ci ha distolto affatto dagli impegni nei confronti delle “pietre vive” che sono tutti i diletti figli dell’amata Chiesa di Noto. Ne sono buona prova, per esempio, la fruttuosa realizzazione della Missione Popolare e Permanente, la Visita Pastorale, le Lettere e i vari Convegni pastorali e, soprattutto, la tenacia per l’attuazione del Sinodo: impegni che hanno comportato non meno fatiche che per la ricostruzione della Cattedrale.
Desidero qui ribadire quanto ho detto e scritto ripetutamente in tutti questi anni. La ricostruzione della nostra mirabile Cattedrale ha un triplice spessore, un vero Trittico: 1) di fede, innanzitutto, perché è “casa di Dio” e, quindi dei suoi figli: per l’ascolto della sua Parola e per la preghiera; 2) di cultura: essendo, certamente, l’espressione più rinomata – una maestosa icona! – del Barocco di Noto, Patrimonio dell’Umanità; 3) di sano e fiducioso meridionalismo: per una valida spinta al superamento dell’atavico e diffuso senso di fatalismo, di rinuncia e di “delega”. Non ritengo, pertanto, del tutto temerario asserire che la ricostruzione della nostra Cattedrale di Noto se non è stato un miracolo, poco ci manca! Difatti, tutta una serie di elementi supporta questa sensazione: il superamento discretamente rapido, delle tante e comprensibili difficoltà per un’opera così imponente; l’uso e la tecnica dei lavori in pietra oggi non certamente diffusi; la durata breve di tutta l’impresa, di appena circa sei anni (2000-2007); la collaborazione – spesso anche vivace e critica – di tutte le componenti (autorità ecclesiastiche e civili, direzione dei lavori, impresa, operai); il contributo economico, questa volta abbastanza puntuale, dello Stato.
Nell’evidenziare il vitale rapporto che intercorre tra Chiesa di pietre “materiali” e Chiesa di pietre “vive”, ci sono state di aiuto e di sprone le parole dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, in occasione del millenario della Cattedrale di Magonza: «Come si rapportano costruzione in pietra e casa fatta di pietre vive? Si addice ai cristiani festeggiare la costruzione di un duomo? E nel caso di risposta favorevole, cosa festeggiamo veramente? Lo Spirito edifica le pietre, non viceversa. Lo Spirito non lo si può sostituire con il denaro o con la storia. Dove lo Spirito non edifica, le pietre diventano mute. Dove lo Spirito non è vivo, non opera e non guida, i duomi diventano musei, monumenti del passato, la cui bellezza rende tristi, poiché è morta. Questo è in un certo senso l’ammonimento che proviene da questa celebrazione per il duomo. La grandezza del
la nostra storia e la nostra potenza finanziaria non ci salvano; entrambe possono diventare macerie in cui noi soffochiamo. Solo la fede può tener vive le cattedrali, e la domanda che il duomo vecchio di mille anni pone a noi oggi è se noi abbiamo la forza della fede per dargli un presente e un futuro» .
In verità, potendo mostrare a Benedetto XVI le foto dell’iter della ricostruzione della Cattedrale di Noto, in occasione della recente Visita ad limina, io stesso mi sono sentito di ricordargli queste stesse verità, quasi a rincuorarci scambievolmente che la Chiesa, a fronte dei recrudescenti e ripetuti attacchi contro di essa, si fonda invincibilmente su Gesù, pietra angolare scartata dai costruttori (cfr Sal. 118,22?23; Mt 21,42). Vorrei concludere con un fiducioso auspicio: abbiamo anche nel nostro caro meridione potenzialità tali, di uomini e cose, che non possono permetterci atteggiamenti gravemente rinunciatari suggeriti spesso da diffuso disfattismo. Senza alcuna presunzione, allora, vorremmo consegnare la ricostruzione della nostra bella Cattedrale alla storia, con una esortazione, ispirata all’icone evangelica del lievito: “parva favilla gran fiamma seconda”. Come avevo sollecitato in quell’Omelia d’inizio del mio ministero episcopale a Noto nel 1998, non abbiamo per nulla dimenticato, né frainteso, nella ricostruzione materiale della Cattedrale, il monito del Crocifisso a S. Francesco d’Assisi: «va’, edifica la mia Chiesa». Adesso, poi, diventa ancor più impellente.

 

Noto, 27 maggio 2007

Domenica di Pentecoste

+ Giuseppe Malandrino, Vescovo di Noto

 

La testimonianza dei progettisti

L’ingegnere Roberto De Benedictis e l’architetto Salvatore Tringali: “Crediamo che la Cattedrale ricostruita, ancor più bella, riassuma in se la storia della vecchia e la contemporaneità del nostro tempo”.

Dopo il crollo del 13 marzo 1996, l’intera comunità civile e religiosa si diede subito da fare per avviare la ricostruzione dell’edificio Sacro, secondo il principio del dove era e come era. L’incarico progettuale fu affidato, su indicazione del Vescovo Mons. Salvatore Nicolosi, all’arch. Salvatore Tringali, al prof. Antonino Giuffrè ed all’ing. Roberto De Benedictis. Il prof. Giuffrè, sotto i cui insegnamenti è nato il progetto, non potè però parteciparvi per la sua prematura scomparsa. Nel progetto furono coinvolte diverse università, sia italiane che straniere e numerosi tecnici locali, il cui contributo è risultato essere determinante nell’attività di progettazione prima e di esecuzione dopo.

Quando il cantiere fu avviato, nell’ottobre del ’99, sentimmo di avere davanti a noi una montagna da scalare. Con molte incognite, legate ad un lavoro senza precedenti, e poche certezze. Fra queste, i disegni del nostro progetto. Giorno dopo giorno, sono stati quei disegni a rappresentare la bussola di un cammino durato oltre sette anni: i disegni di com’era e di come la Cattedrale avrebbe dovuto essere ricostruita, grazie anche a quella irripetibile campagna di conoscenza che fu lo studio delle macerie crollate e delle parti rimaste in piedi. Fu quello il primo importante contatto con la chiesa, dopo il tragico 13 marzo 1996. Per mesi, infatti, durante le complesse operazioni di sgombero da quelle macerie, potemmo osservare, catalogare, fotografare e disegnare ogni concio e gli elementi rilevanti di quelle strutture, fino a capirne il modo in cui erano state realizzate, pregi e difetti compresi. Ben 5656 elementi furono numerati ed archiviati di quell’ammasso di oltre 3600 metri cubi di macerie che coprivano ogni angolo della chiesa e che formavano un cumulo alto fino a sette metri.

La ricostruzione dei pilastri sul lato destro è stata un’altra fase cruciale ed emozionante di tutto il lavoro. La Cattedrale era crollata a causa della cattiva costruzione dei suoi pilastri originari e ricostruirli voleva dire mettere le mani al cuore del problema, accettando la sfida che mai più una cosa del genere avrebbe potuto ripetersi. Per quanto ci è stato possibile, grazie anche al contributo di numerosi consulenti e specialisti, nessuna attenzione è stata risparmiata. Dalla scelta delle cave più idonee, alle prove di laboratorio sulle pietre e sulle malte, fino alla definizione di ogni dettaglio costruttivo, seguendo i disegni del progetto, la costruzione dei nuovi pilastri, a partire dalle loro fondamenta, è stata per tutti, in cantiere, un’operazione di grande importanza sia tecnica che simbolica. Rinasceva la Cattedrale, rinascevano i suoi pilastri.

Assai più difficile, perfino rischiosa, è stata la ricostruzione dei pilastri sul lato sinistro. Essi, infatti erano rimasti in piedi, ma erano costruiti esattamente come i pilastri di destra, con gli stessi difetti che il crollo avevano determinato di questi. Già in fase di progetto le numerose indagini e prove avevano dimostrato essere impossibile il loro consolidamento e fatto optare per la loro demolizione e ricostruzione; ma adesso farlo concretamente era altra cosa. Su di essi infatti poggiava l’altro muro della navata centrale nonché la copertura della navata sinistra e tutto doveva essere fatto mantenendo in equilibrio queste pesanti strutture, senza rischiarne alcuno spostamento, né causarvi lesioni. Puntellando le due arcate laterali di ciascun pilastro con imponenti strutture in acciaio si ottenne, attraverso un sofisticato sistema di sollevamento con pompe idrauliche, di liberarli dai pesi sovrastanti, fino a poterli tagliare e demolire. E poi ricostruirli, anche qui dalle fondazioni, fino al ricongiungimento con le murature sovrastanti. Tutto questo è avvenuto un pilastro per volta, per non rischiare pericolosi stati di equilibrio, con un tempo di quattro mesi per ciascuno dei quattro pilastri e sei per quello sotto la cupola: quasi due anni di lavoro solo per questa fase.
La costruzione della cupola ha coronato ogni sforzo. Sebbene di difficoltà tecniche minori rispetto alla accennata sostituzione dei pilastri non crollati, per la sua complessità geometrica e la precisione richiesta, si sono tuttavia superare non poche difficoltà esecutive, dipendenti soprattutto dalla particolare forma di ciascun blocco che ne costituiva la struttura. In totale, quasi otto mesi di lavoro per collocare oltre 1800 blocchi di diversa grandezza e forma , ciascuno sagomato e tagliato secondo la sua forma. Vederla crescere giorno per giorno è stato un vero privilegio, così come tutta l’opera della Cattedrale ricostruita. Assai interessanti sono stati i lavori di restauro della cappella della Madonna col Bambino (proveniente dalle rovine di Noto antica), delle cappelle del SS. Sacramento e di S. Corrado, quest’ultima restaurata per riaccogliere l’urna sacra del Santo Patrono di Noto, salvata dalle macerie del crollo e conservata per tutto il periodo dei lavori nella Chiesa co-cattedrale di S. Carlo al Corso.

Se con le memoria torniamo a quella montagna da scalare che ci apparve il primo giorno questo lavoro, solo guardando oggi le migliaia di fotografie che documentano le opere fatte in questi anni, ci rendiamo conto dell’impresa che, tutti insieme, in cantiere, abbiamo portato a compimento. E’ per questo che un grande orgoglio ci riempie oggi nel riconsegnare la nuova Cattedrale al Vescovo, Mons. Giuseppe Malandrino, il quale dopo undici anni di vescovado, prende possesso della sua sede naturale.

Grande commozione c’è stata nel rivedere la Cattedrale ricostruita, bianca così come era prima degli interventi degli anni ’50, un bianco quasi metafisico, che ne esalta ancor più le forme barocche; queste sembrano quasi vibrare sotto gli effetti della luce che ne accentua i chiaro scuri, e la fantasia torna, senza rammarico, alla memoria della vecchia Cattedrale andata perduta. Crediamo che la Cattedrale ricostruita, ancor più bella, riassuma in se la storia della vecchia e la contemporaneità del nostro tempo, proiettata nella speranza del futuro migliore.
 

Comunicato stampa

Si terrà il 18 giugno 2007 alle ore 11.00 la celebrazione eucaristica di apertura e benedizione della Chiesa Cattedrale di Noto. La cerimonia si aprirà con il saluto di S.E. Mons. Giuseppe Malandrino, Vescovo di Noto. La celebrazione eucaristica sarà presieduta da Sua Em.za Card. Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi. Nel corso della liturgia il Presidente dell’Assemblea compirà il rito della benedizione dell’acqua e dell’aspersione delle pareti della Cattedrale e del popolo di Dio. L’omelia sarà pronunciata dal Cardinale Giovanni Battista Re. La celebrazione eucaristica vedrà la presenza del Presidente del Consiglio dei ministri, On. Romano Prodi; del Dott. Guido Bertolaso, Capo del Dipartimento della Protezione Civile; di S.E. Mons. Giuseppe Bertello, Nunzio Apostolico in Italia; di S.E. Mons. Angelo Bagnasco, Presidente della CEI, di S.E. Mons. Giuseppe Betori, Segretario Generale della CEI, dell’Episcopato siciliano, del Presidente della Regione Siciliana, On. Salvatore Cuffaro; del Dott. Benedetto Basile, Prefetto di Siracusa in qualità di Commissario straordinario alla ricostruzione; del Sindaco di Noto, Corrado Valvo e di numerose autorità.


«Valeva la pena affaticarsi così tanto per la ricostruzione della Chiesa “materiale”? In fondo, la Chiesa non è fatta da tutte quelle “pietre vive” (cfr. 1Pt 2,4–8) che sono i singoli battezzati? – si chiede il Vescovo di Noto, Monsignor Giuseppe Malandrino -. Rispondo dicendo che l’impegno profuso per la Cattedrale non ci ha distolto affatto dagli impegni nei confronti delle “pietre vive” che sono tutti i diletti figli dell’amata Chiesa di Noto. Ne sono buona prova, per esempio, la fruttuosa realizzazione della Missione Popolare e Permanente, la Visita Pastorale, le Lettere e i vari Convegni pastorali e, soprattutto, la tenacia per l’attuazione del Sinodo: impegni che hanno comportato non meno fatiche che per la ricostruzione della Cattedrale…Desidero qui ribadire quanto ho detto e scritto ripetutamente in tutti questi anni. La ricostruzione della nostra mirabile Cattedrale ha un triplice spessore, un vero Trittico: di fede, innanzitutto, perché è “casa di Dio” e, quindi dei suoi figli: per l’ascolto della sua Parola e per la preghiera; di cultura: essendo, certamente, l’espressione più rinomata – una maestosa icona! – del Barocco di Noto, Patrimonio dell’Umanità; di sano e fiducioso meridionalismo: per una valida spinta al superamento dell’atavico e diffuso senso di fatalismo, di rinuncia e di “delega”».


Se con le memoria «torniamo a quella montagna da scalare che ci apparve il primo giorno di questo lavoro, solo guardando oggi le migliaia di fotografie che documentano le opere fatte in questi anni, ci rendiamo conto della “impresa” che, tutti insieme, in cantiere, abbiamo portato a compimento – sottolinea  l’ingegnere Roberto De Benedictis -. Quando il cantiere fu avviato, nell’ottobre del ’99, sentimmo di avere davanti a noi una montagna da scalare. Con molte incognite, legate ad un lavoro senza precedenti, e poche certezze. Fra queste, i disegni del nostro progetto. Giorno dopo giorno, sono stati quei disegni a rappresentare la bussola di un cammino durato oltre sette anni».


«Grande commozione c’è stata nel rivedere la Cattedrale ricostruita, bianca così come era prima degli interventi degli anni ’50, un bianco quasi metafisico, che ne esalta ancor più le forme barocche; queste sembrano quasi vibrare sotto gli effetti della luce che ne accentua i chiaro scuri, e la fantasia torna, senza rammarico, alla memoria della vecchia Cattedrale andata perduta – dice l’architetto Salvatore Tringali -. Crediamo che la Cattedrale ricostruita, ancor più bella, riassuma in se la storia della vecchia e la contemporaneità del nostro tempo, proiettata nella speranza per un futuro migliore. E’ per questo che un grande orgoglio ci riempie oggi nel riconsegnare la nuova Cattedrale al Vescovo, Mons. Giuseppe Malandrino, il quale dopo nove anni di vescovado, prende possesso della sua “sede” naturale».      
                                                                    
Noto, 17 giugno 2007   

MADONNA DEL CARMINE

La fondazione del convento risale al 1534. Dopo il terremoto del 1693 viene riedificato con la chiesa nel corso del secolo XVIII. Nel prospetto della chiesa, ad ordine, da notare dei bassorilievi di stile rinascimentale databili tra la seconda metà del sec. XVI e la prima metà del secolo XVII; tra i soggetti si individuano S. Alberto di Gerusalemme, S. Angelo, S. Alberto degli Abbati. E’ da notare l’inusuale ordine ionico per le lesene del portale. Un putto reggicartiglio sull’arco d’ingresso reca la data 1632. Nel 1730 fu ristrutturata la facciata (la data si legge tra lo stemma carmelitano e la base della nicchia con la statua della Madonna del Carmelo). Nell’Ottocento fu realizzata la cella campanaria. L’interno è composto da un’aula unica con otto cappelle laterali incassate. Nel nartece, dentro cornici quadrilobate, sono rappresentati in affresco S. Alberto di Gerusalemme, S. Alberto degli Abbati, S. Giovanni Battista e S. Pier Tommaso di Cipro. Gli altari sono decorati con colonne tortili e stucchi. Tra le tele del sec. XVIII segnaliamo Transito di S. Giuseppe, Madonna del Carmine tra Santi carmelitani, Maria tra i Santi Agostino e Antonio, Maria tra Santa Caterina d’Alessandria e Sant’Agnese. Da segnalare il pulpito ligneo (vi sono rappresentati i Santi Angelo, Alberto,Elia, Telesforo), il mausoleo del ven. Salvatore Statella e la scultura lignea della Madonna del Carmine, patrona civitatis, posta sull’altare maggiore (nel lembo posteriore del mantello reca la sigla PDPP e la data 1860).E’ un raro esempio della cultura figurativa prebarocca. Su un esile piedistallo sonocomposte in uno schema poligonale, intelaiato da modanature rinascimentali, gli specchi a tarsie della balaustra (vi sono rappresentati i Santi Angelo, Alberto,Elia, Telesforo). I santi sono disegnati frontalmente, con un rigore compositivo di sapore quattrocentesco. Il pulpito potrebbe essere collocato tra i secoli XVI e XVII.Interessante, sul lato destro della navata, è il monumento funebre del ven. Salvatore Statella, opera tardobarocca della seconda metà del Settecento. Padre Salvatore della SS. Trinita (al secolo Andrea Statella, 1678-1728), figlio secondogenito di Francesco IV Statella, terzo marchese di Spaccaforno, vestì l’abito carmelitano nel 1726. Viene ricordato come «promotore della Riforma carmelitana siracusana».

S. ANTONIO ABATE

La Chiesa di S. Antonio Abate fu eretta nel 1515 dal signore di Ispica Antonello Caruso e nel 1651 divenne chiesa sacramentale e gancia della chiesa madre. Dal terremoto del 1693 venne distrutta metà che fu subito ricostruita. L’attuale edificio fu completato nel 1710 Fra le opere d’arte della chiesa segnaliamo due dipinti raffiguranti i Santi Pietro e Paolo (sec. XVII), il dipinto raffigurante la Pietà (prima metà del sec. XVIII), il dipinto raffigurante i Santi Mauro Abate e Paolo Eremita (sec. XVII), il dipinto raffigurante S. Silvestro Papa e S. Isidoro (sec. XVII), la statua raffigurante S. Antonio Abate in tela-colla del 1715, la statua raffigurante S. Francesco Saverio in tela-colla del 1775, la statua lignea raffigurante S. Lucia del 1879, una cornice in legno dorato del sec. XVIII, un’acquasantiera in pietra calcarea locale del 1562, un fonte battesimale in pietra asfaltica del 1651.