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SANTUARIO DI SAN CORRADO FUORI LE MURA

Il santuario è edificato in quello che, tra il fino al 1351, fu il luogo di eremitaggio di S. Corrado Confalonieri, Patrono della Città di Noto, e per questo definito “La Valle dei miracoli”. Si accede alla chiesa, dalla facciata in stile barocco, dopo aver percorso un lungo viale ricco di vegetazione. L’interno, piccolo ma riccamente decorato, custodisce una statua marmorea di S. Corrado dello scultore G. Pirrone posta nella “Grotta di S. Corrado”, luogo di preghiera e di penitenza dell’eremita; una tela della Madonna col Bambino di Sebastiano Conca (1759) sull’altare maggiore, a sinistra un Crocifisso ligneo (sec. XVIII) e il corpo di S. Leonzio Martire. All’interno dell’Eremo è allestito un museo che raccoglie ex-voto dei fedeli. (Località collinare a 5 Km da Noto)

 

Messaggio del Santo Padre Benedetto XVI

 In occasione della solenne cerimonia di riapertura della insigne Cattedrale di Noto, crollata improvvisamente il 13 marzo 1996 e ricostruita dopo anni di intenso lavoro, mi unisco spiritualmente a Lei ed ai Vescovi della Sicilia presenti a così significativo evento religioso e culturale. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, estendendolo ai sacerdoti e alle persone consacrate, come pure alle Autorità civili e militari, ed a tutti coloro che prendono parte alla celebrazione. Esprimo sentita riconoscenza a quanti, con la loro tenacia e il loro ammirevole impegno, hanno contribuito alla necessaria e urgente opera di ricostruzione del massimo Tempio della città di Noto, vero capolavoro del barocco siciliano, “patrimonio dell’umanità”. So che quest’opera monumentale ha richiesto il coordinato apporto delle competenti Istituzioni statali e locali, di valenti progettisti e di esperte maestranze. A tutti il mio plauso per l’apprezzata sensibilità dimostrata nei confronti di un intervento tanto imponente e delicato.

Un pensiero speciale rivolgo a Lei, venerato Fratello, per la sollecitudine e la costante dedizione con le quali ha incoraggiato e seguito i lavori sin dai primi momenti del Suo arrivo in codesta Diocesi, proseguendo il cammino intrapreso dal suo predecessore, il Vescovo Salvatore Nicolosi, che tale ristrutturazione aveva fortemente auspicata. A lui indirizzo con affetto uno speciale e beneaugurante saluto.
Non si poteva non solennizzare la ricostruzione della monumentale Cattedrale, che ora torna a risplendere riaffermandosi come riconosciuto gioiello di valore storico e di bellezza barocca tipica del sud-est siciliano. Dedicata a San Nicolò, essa si staglia sulla Città con la sua straordinaria scalinata e ne costituisce il cuore e il centro della vita spirituale. Tempio maestoso, mirabile opera d’arte e singolare testimonianza di fede, la rinata Cattedrale sia per l’intero Popolo di Dio richiamo costante alla propria vocazione e missione. Ammirandolo, tutti i cristiani ricordino l’esortazione dell’apostolo Pietro: “Voi siete pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio” (1 Pt 2, 5). Per questo, al fascino “esteriore” del Duomo restituito al suo splendore, si unisca ora quello “interiore” di coloro che in esso si riuniscono per lodare Dio. In effetti, ciascun credente in Cristo e ogni Comunità ecclesiale sono chiamati a brillare per la santità e per l’amore con cui testimoniano la loro fedeltà evangelica. In definitiva, per la Comunità diocesana di Noto la ricostruita Cattedrale sia, nella sua bellezza, invito a crescere nella comunione e nel fervore apostolico. A tal fine, assicuro volentieri la mia preghiera specialmente perché, attorno al rinnovato Tempio sacro, cresca la Chiesa Netina come edificio spirituale di cui Cristo è salda pietra angolare. E il felice evento della riapertura al culto della Cattedrale possa suscitare nel popolo di Noto, per intercessione della Vergine Santa e del patrono San Corrado Confalonieri, un rinnovato entusiasmo spirituale ed una coraggiosa testimonianza missionaria.
Con tali voti, di cuore invio a Lei, venerato Fratello, a quanti sono affidati alle sue cure pastorali e ai partecipanti tutti alla solenne cerimonia inaugurale l’implorata Benedizione Apostolica, pegno di copiosi favori celesti.
 
Dal Vaticano, 15 Giugno 2007
 

Omelia del Card. Giovanni Battista Re

 

1.         Questa splendida Cattedrale, monumento di fede e di arte del 1700, che il 13 marzo 1996 era crollata per un cedimento strutturale, ora è rinata: è stata ricostruita esattamente come era prima, utilizzando la stessa pietra lavorata a mano e in gran parte col medesimo materiale.
Ora è identica nella forma esterna all’originale e, in più, è a forte resistenza sismica e, pertanto, più solida perché dotata di speciali tecniche che possono farla resistere anche ai terremoti. All’interno, poi, artisti di fama internazionale ricupereranno il filo conduttore stilistico della Cattedrale originale, ma con il linguaggio proprio dell’uomo moderno.
Questa Cattedrale, collocata nel cuore di Noto e simbolo dell’identità civile e religiosa di questa città e di questa diocesi, ora riaperta al culto, continuerà ad essere nei secoli luogo di incontro di una comunità che è ad un tempo civile ed ecclesiale, unita nelle gioie e nei dolori, nelle speranze e nelle preoccupazioni.
Il primo sentimento che sgorga dall’animo è quello della gratitudine a coloro che hanno merito per quanto in questi 11 anni è stato realizzato.
Esprimo viva gratitudine innanzitutto al Vescovo di Noto, nominato a questa Sede subito dopo il crollo della Cattedrale.
Un grazie cordiale al Governo Italiano, qui rappresentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, per i fondi messi a disposizione nel corso di questi 11 anni.
Grazie alla Protezione Civile, e in special modo al Dr. Bertolaso e ai suoi collaboratori, per la dedizione con cui hanno aiutato a superare le difficoltà.
Grazie a tutte le Autorità locali: a quanti a Noto, nella Regione e in campo nazionale hanno dato il loro contributo ed appoggio.
Grazie all’Architetto, all’Ingegnere e a quanti hanno studiato e progettato.
Un grazie a quanti hanno realizzato i lavori o in qualche modo hanno dato il loro appoggio.
 
2.         Come sappiamo, la Cattedrale è il punto di riferimento della fede e dell’impegno di vita cristiana di una diocesi, della quale è il centro ecclesiale e spirituale.
Intimamente legata alla persona del Vescovo, la Cattedrale è madre di tutte le chiese della diocesi – e la vostra ne ha di veramente belle – ed espressione dell’unità intorno a Cristo e intorno al Vescovo.
Questa Cattedrale, che esiste sulla piccola chiesa costruita subito dopo il terremoto del 1963 nel nuovo sito della città, ci collega ad una tradizione religiosa che ha radici lontane nel tempo e ci riporta agli albori del cristianesimo. Richiama la storia e ne custodisce le memorie.
Qui vita umana e vita religiosa si sono intrecciate ed i valori religiosi sono stati i motivi ispiratori anche dell’impegno sociale e civile. Molta parte della vostra storia è congiunta da stretti vincoli con questo tempio (e con quelli a cui esso è collegato), perché la fede cristiana è stata fin dall’inizio una componente fondamentale della gente di questa terra.
Collocata nel centro di Noto, questa Cattedrale è segno di una fede che non si estranea dalla storia, ma si è sempre inserita nel tessuto sociale per animarlo alla luce dei valori cristiani.
Collocata al vertice di una grandiosa scalinata, questa Cattedrale, con la sua bella cupola, è un invito a guardare in alto, a guardare oltre i tetti delle case, non per sfuggire alle responsabilità che abbiamo su questa terra, ma per attingere dall’alto luce e forza per i nostri impegni. Il cielo non toglie nulla alla terra: il cielo infonde vigore e dà animo al nostro operare sulla terra.
 
3.         Questa Cattedrale nel cuore della città è invito ad aprire i nostri cuori a Dio per essere pietre vive, edificate attorno a Cristo, pietra angolare, come ci ha ricordato la prima lettura di questa Messa. Ed è invito ad aprirci al riconoscimento di Dio, che – come abbiamo ascoltato nel Vangelo – va adorato in spirito e verità.
Dio occupa poco posto nelle preoccupazioni degli uomini e delle donne di oggi. Purtroppo, non si sa più riconoscere la mancanza di Dio come… una mancanza. Oggi la grande tentazione è di vivere prescindendo da Dio. Le cose terrene si sono fatte affascinanti. La loro attrattiva è diventata sempre più suggestiva. Molte sono le occupazioni urgenti e che assorbono il nostro tempo.
Se, però, ci rendiamo conto che Dio è il nostro Creatore, che Dio è ciò che esiste di più reale, di più importante e di più grande, sorprende che gli uomini e le donne diano tanta importanza a cose in sé piccole e così poca a Dio.
Certo, l’attenzione a Dio nel mondo contemporaneo non si è spenta. Di Dio si parla anche oggi. Ne parlano la teologia, la filosofia, la letteratura, l’arte: accettandolo o rifiutandolo, ma senza potere mai “disfarsi” di lui.
Ne parlano tanti credenti, che a lui si rivolgono e da lui attingono luce, forza e guida nelle decisioni della vita. Ne parlano tanti che lo cercano e magari credono di non credere. Sì, molti cercano Dio con la mente, col cuore, con tutto il proprio essere, perché il cuore umano – come diceva Sant’Agostino – “è inquieto fino a che non riposa in Dio”(Confessioni I,1). La tensione che porta alla ricerca di Dio è ineludibile nel cuore di ogni uomo e di ogni donna.
In pari tempo, dobbiamo riconoscere che per molti Dio è soltanto un’idea astratta, un’ombra, un nome. E, pertanto, molti sono lontani dalla certezza espressa da Santa Teresa d’Avila, la quale esclamava “Dio è tutto!” e giungeva a dire: “Niente ti turbi, niente ti spaventi, tutto passa. A chi ha Dio nulla manca. Dio solo basta”.
Dio è il Padre che ci ama, che ci vuol bene, che ci cerca, che ci perdona; e ci perdona perché ci ama. Si lascia anche respingere, perché rispetta la nostra libertà, ma poi ci attende e torna a cercarci.
Dio è indispensabile a noi esseri umani, perché “in lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo”, secondo l’espressione di San Paolo. Senza Dio non si può realizzare se stessi, né migliorare l’umanità. Paolo VI, nell’Enciclica Populorum Progressio, scriveva che l’uomo può costruire questo mondo senza Dio, ma in tal modo finisce per costruirlo contro se stesso, contro il vero bene dell’uomo.
Quando, infatti, l’uomo perde il senso di Dio, perde anche la consapevolezza del suo destino eterno, perde l’aspetto più bello del vivere, perde la ragione più profonda della sua esistenza, perde il significato più grande del suo donarsi.
Dove Dio non c’è, anche l’uomo smarrisce il suo valore e la sua dignità. Come ha affermato il Santo Padre Benedetto XVI, “dove Dio scompare, l’uomo non diventa più grande; solo se Dio è grande, anche l’uomo è grande”.
Ed un mese fa ad Aparecida, in Brasile, il Papa ha ribadito che dove Dio è assente la società non trova il consenso sui valori fondamentali e non trova la forza per vivere secondo il modello di questi valori, soprattutto quando il rispetto dei valori esige personali rinunce(cfr. Inaugurazione della Conferenza di Aparecida, n. 4).
Perdere il senso di Dio – il Quale “svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota la sua altissima vocazione”(Gaudium et Spes, 22) – è perdere il senso della dignità della persona umana e dei suoi diritti. L’uomo senza Dio non ha principi che lo illuminano.
Questa stupenda Cattedrale che, mantenendo la sua forma esterna originaria, risorge più splendida di prima, è la casa di Dio piantata in mezzo alle case degli uomini.
In pari tempo essa è anche casa degli uomini e delle donne, perché aperta a tutti. L’augurio è che siano molti ad entrarvi per adorare Dio. Ed uscendo da qui siano accompagnati dalla benedizione del Signore e da sentimenti di attenzione, di solidarietà, di amore per gli altri. Perché riconoscere Dio come Padre che sta nei cieli, ci porta a riconoscere gli altri come fratelli, perché figli dello stesso Padre.
 
Card. Giovanni Battista Re

La storia della Cattedrale di Noto

Tre crolli in meno di tre secoli, ma poi la cattedrale è sempre risorta dalle sue rovine, come la leggendaria fenice: due volte, nel 1780 e nel 1848 è stata colpa del terremoto; l’ultimo crollo, quello del 1996, invece, pare sia avvenuto per ragioni più complesse che gli esperti hanno definito “strutturali”. Quello che conta è che oggi la Cattedrale, riconosciuta dall’Unesco Bene culturale dell’Umanità, è ritornata al culto dei fedeli.

 

E’ il 6 giugno del 1703 quando la porta maggiore della chiesa madre di Noto costruita in forma di baracca sulle pendici del monte Meti apre i battenti e ospita la prima Messa di benedizione della nuova costruzione iniziata nel 1694, dopo il terremoto del 1693 che aveva raso al suolo l’intera Sicilia sud orientale. Il 7 gennaio del 1727 un altro terremoto fa crollare la porta maggiore e danneggia archi, pilastri e finestre, finché nel 1769 dopo diversi tentativi di restauro si decide di demolire la struttura. Già nel 1745, infatti, erano iniziati i lavori per la costruzione di una nuova chiesa, quella che sarà la celebre Cattedrale di Noto. Al lavoro ci sono mastri, muratori, manovali, fornitori di frumento e calce. In soli quattro anni, dal 1765 al 1769, vengono costruite l’area presbiteriale, le cappelle di san Corrado e del santissimo Sacramento, fianchi, pilastri, e il campanile di destra. Tra aprile e maggio del 1770 si gettano le fondamenta della facciata e nel 1771 viene costruita la scalinata. Dal 1773 al 1775 si lavora al tetto, per la cui realizzazione vengono acquistate 40mila tegole. Mentre nel 1776 tocca alle volte della navata maggiore e dell’abside, viene riparata la porta maggiore della vecchia chiesa, e ne sono commissionate altre quattro. Il 5 marzo dello stesso anno il Vescovo concede l’autorizzazione per procedere alla benedizione della nuova chiesa madre.

 

Passano altri quattro anni e nell’aprile del 1780 replicate scosse telluriche indeboliscono la struttura e a giugno crollano la cupola e la copertura dell’abside. Ai restauri segue una ulteriore fase di lavori sulla cupola, la facciata, i campanili e le finiture interne, e nel 1818 finalmente la riapertura della chiesa al culto. Già tra il 1839 e il 1841, però, si richiedono altri interventi urgenti di restauro. Intanto, l’8 giugno 1844 viene istituita la diocesi di Noto, e la chiesa madre diventa Cattedrale.

 

L’11 gennaio del 1848 un altro terremoto provoca il crollo della cupola, del presbiterio, delle cappelle di san Corrado e del santissimo Sacramento. La ricostruzione sarà conclusa nel 1862 ma è solo nel 1959 che l’opera di abbellimento della chiesa può dirsi finita. Ventinove anni dopo, il 13 dicembre del 1990 il terremoto, cosiddetto di santa Lucia, mette a dura prova i pilastri che tengono la cupola, la cui copertura originaria era stata sostituita nel 1950 con un solaio in calcestruzzo. Il 13 marzo del 1996 l’ennesimo crollo: la cupola, la navata maggiore e quella orientale non ci sono più.

Rosa e Giorgio Ruta (febbraio 2008)

Un viaggio inizia per tanti motivi, ma questo viaggio con destinazione la diocesi gemella per noi, Giorgio e Rosa, aveva un’unica motivazione: sentirci parte della universalità della Chiesa. Così questa è stata l’occasione per sperimentare che lo Spirito che anima la Chiesa non ha limiti né confini, piuttosto si espande fino agli estremi confini della terra, finanche dove talvolta ci si chiede: “ma Dio dov’è”? Abbiamo visto che vent’anni di gemellaggio hanno prodotto tantissimi benefici soprattutto per la popolazione che abita attorno alle parrocchie. Meno per i lontani che riescono ad accedere alle scuole, agli ospedali, agli aiuti materiali, al sostegno spirituale e alla possibilità di un lavoro solo dopo ore o giornate di cammino. Quella che abbiamo trovato nel nord Kivu è una Chiesa che come madre si fa carico di ogni bisogno delle persone che abitano il territorio. Certo le possibilità sono limitate, ma c’è attenzione e preoccupazione. E allora gioia, pace interiore, fiducia sono i sentimenti che hanno invaso i nostri cuori nonostante le contraddizioni che si presentavano ai nostri occhi: da una parte terreni fertili e coltivati, ricca vegetazione, un popolo con una propria identità, desiderio di progredire, generosità, clima festoso, grande senso dell’ospitalità e dell’accoglienza, senso di aggregazione e appartenenza, grande speranza e impegno, e dall’altra strade sterrate, case di fango e paglia, persone malnutrite, abiti logori, condizioni igienico sanitarie pessime, impossibilità di realizzare i propri progetti e dare risposte ai propri bisogni per mancanza di mezzi e strutture. Questi sentimenti di gioia e serenità non provenivano dall’indifferenza per quanto stavamo conoscendo, piuttosto dalla speranza che questa povertà, grande e grave che si vive nella diocesi di Butembo-Beni, possa finire e lasciare il posto ad un mondo migliore, anche attraverso il nostro contributo. Un altro sentimento che ci ha accompagnato è la tenerezza che ci ha suscitato la vista di un bambino che, all’uscita di scuola, conservava i suoi quaderni dentro il sacchetto di plastica dove, il giorno prima erano contenute le caramelle che avevamo donato loro. Forse lo considerava un regalo dei fratelli gemelli o forse è l’arte del riciclaggio che in queste condizioni aiuta a sopravvivere… Tanta tenerezza abbiamo provato inoltre per il batticuore e la meraviglia che ci ha manifestato una bimba. Ci guardava tenendo la testa bassa e coprendosi la bocca con la mano. Poi quando per rassicurarla l’ho avvicinata a me (Rosa) e le ho offerto la mia mano mi sono accorta della sua emozione: il suo cuore non batteva, ma galoppava, come se dovesse finirmi tra le mani da un momento all’altro. Tanti sorrisi ci sono rimasti impressi nel cuore e ogni volta che rivediamo quei volti, sia dei bambini, sia dei giovani che degli anziani, sul display della macchina fotografica ci rendiamo conto di come davvero li abbiamo portati con noi, di come oramai fanno parte della nostra vita. Quello che lascia l’amaro in bocca sono le ingiustizie che le persone di alcuni villaggi, soprattutto nella zona più a Sud di Butembo, hanno subito, e che ancora subiscono o potrebbero subire. La bestialità dell’uomo che si accanisce contro un altro uomo: il maschio sulla femmina, l’adulto sul bambino, il ragazzo sull’infante, l’armato sul disarmato, ci deludono profondamente. Non possiamo scordare quelli voci che chiedono di essere guarite, quei sorrisi ricchi di speranza o quegli occhi belli, grandi e gioiosi perché vedono nel fratello gemello il portatore di salvezza, e che, ben oltre dal risolvere le loro povertà, ci chiedono giustizia affinché ogni bambino possa mettere a frutto le proprie potenzialità, affinché ogni genitore possa donare ai propri figli il benessere e la serenità per affrontare la vita, affinché ogni ammalato possa essere curato. Affinché ogni persona possa ricevere giustizia ancora tantissimo lavoro rimane da compiere e non si tratta solamente di non far mancare il contentino dei “bon-bon” e l’“argent” per costruire o progettare. In virtù del gemellaggio, ma ancora di più in nome dell’universalità della Chiesa, sentiamo di appartenere al popolo di Butembo-Beni, soprattutto agli abitanti della parrocchia di Magheria gemellata con la nostra parrocchia di san Paolo a Pozzallo. Sentiamo di appartenere tanto alla loro miseria quanto alle loro ricchezze. Riteniamo dunque importante poterli chiamare per nome e non solo “fratello-gemello”, ascoltare i loro sogni e non solo vestirli, trascorrere il tempo con loro, accompagnarli e non semplicemente donare un sorriso frettoloso. Il viaggio ci ha fornito un assaggio delle povertà e delle ricchezze, qualche fratello lo abbiamo potuto chiamare per nome e ci portiamo nel cuore il desiderio di alimentare la fratellanza e la condivisione reciproca superando la tentazione di assumere atteggiamenti da genitore o peggio ancora da professore, oppure da fratello maggiore. Credendo alla frase del Vangelo “I poveri saranno sempre con voi” abbiamo sempre avuto chiaro che non sono gli sforzi umani che potranno debellare la povertà nel mondo. Forse perché dalla povertà vengono lezioni di vita, abbiamo pensato nel nostro cuore. Questo per dire che eravamo preparati alla vista della povertà. Ma non a quella delle ingiustizie, né ci eravamo interrogati a che cosa esse potessero servire. Anzi, ce lo chiediamo ancora ora.

 

Rosa Maria Padua e Giorgio Ruta,
responsabili diocesani della pastorale familiare

Patrizia e Sebastiano (febbraio 2008)

Attraversando l’Uganda verso la Repubblica democratica del Congo scopriamo un mondo nuovo: il paesaggio della foresta equatoriale. La natura ci emoziona. Rimaniamo tutto il tempo del viaggio con gli occhi aperti, tanto da farci male, a osservare dal finestrino l’ambiente e i villaggi molto vicini tra loro, piccoli agglomerati che non hanno niente a che fare con la più piccola della nostra città. Gruppetti di capanne, alcune di legno, paglia e fango, altre in muratura con i tetti in alluminio, strade inesistenti, senza rete elettrica e davanti alle abitazioni solo terra rossa e fango, bambini davanti le capanne e in cammino con altri bambini più piccoli sulle spalle, donne con carichi in testa pesantissimi a lavorare. Impressionante il loro sguardo meravigliato quando incontra il nostro, e al nostro gesto di saluto ci rispondono gioiosi. Rimaniamo esterrefatti quando al nostro arrivo troviamo l’accoglienza di una folla in festa, che canta, balla, applaude e sorride. In quel momento ci sentiamo catapultati in un’altra realtà, circondati dai nostri fratelli gemelli che hanno voglia di toccarci, di salutarci, di benedirci e di essere fotografati con noi. Ovunque andiamo ci regalano immensi sorrisi nonostante la loro povertà materiale evidente. Emozionante è ascoltare i canti di alcuni bambini in francese e i canti ben scanditi in italiano dei seminaristi e vedere le lunghissime danze tipiche tribali con il loro forte senso ritmico che si capisce è innato. Per noi è umanamente arricchente scambiare qualche parola con i nuovi amici, trascorrere del tempo insieme a loro, giocare con i bambini. Stare vicino a loro ci fa sentire accanto al Signore. Ci domandiamo se siamo noi o sono loro che ci evangelizzano nel nome del Signore….. Un momento intenso l’abbiamo vissuto quando il nostro vescovo ha posto la prima pietra per la costruzione di una “Casa del fanciullo” a Bingo, mentre migliaia di persone assisteva in piedi e sotto il sole cocente. C’erano bambini perfino arrampicati sugli alberi. Per dieci giorni abbiamo in un mondo dove regna la serenità, la tranquillità, la fraternità, la disponibilità, l’accoglienza, l’amore intenso e la fede più vera; al contrario della nostra realtà dove regna la ricchezza materiale ma sempre di più l’indifferenza verso l’altro e una fede a volte un po’ stanca. Nonostante la stanchezza fisica per le lunghe giornate trascorse in giro per i villaggi ci sentiamo sempre più sereni, con il cuore colmo di amore e gioia e partecipi dell’entusiasmo e della speranza dei nostri fratelli gemelli. In certi momenti sembra che tutti gli sguardi siano sopra di noi, ogni nostro gesto è per loro un segno speciale. Ci fanno sentire importanti, ma noi in confronto a loro ci sentiamo piccoli. Comprendiamo man mano che il vero senso del nostro viaggio non è solo quello di osservare ciò che è stato realizzato e capire i concreti bisogni nelle missioni gemellate con la diocesi di Noto, ma quello della fede e di portare un segno concreto di pace. Da quando siamo tornati flash fotografici con i volti dei nuovi amici ci vengono in mente. Adesso apprezziamo di più quello che abbiamo e ci sentiamo in dovere di non dimenticare l’esperienza vissuta.        


Patrizia e Sebastiano,
parrocchia santa Caterina da Siena, Donnalucata

Andrea Mingo (febbraio 2008)

Sono stato in visita a Butembo-Beni diverse volte. Entrando sempre di più nell’esperienza del gemellaggio, ho maturato l’idea di partecipare in maniera attiva al punto che riguarda il sostegno alla scolarizzazione. Da qui il progetto di gemellare la scuola dove insegno con una scuola di Beni Citè, maturato non perché come istituto abbiamo pensato che una classe o una scuola europea potessero aiutare economicamente una struttura di istruzione nella Repubblica democratica del Congo. Il gemellaggio è nato dal desiderio di creare un ponte, uno scambio di esperienze tra due realtà diverse proiettate verso un unico percorso di crescita. Italia e Repubblica democratica del Congo, infatti, seppure possano sembrare all’apparenza due mondi diversi, rimangono due realtà dello stesso mondo che tutti abitiamo. Allora diventa importante acquisire la coscienza del dove noi viviamo e capire se i sogni, le paure e le speranze dei nostri ragazzi sono le stesse dei loro fratelli congolesi. A questo punto della riflessione ci accorgiamo che qualcosa non funziona….i nostri ragazzi spesso sono annichiliti di fronte al futuro e mancano di progettazione, eppure hanno tutto. I loro fratelli congolesi hanno gli occhi pieni di speranza e guardano alla scuola con fiducia, eppure non hanno niente….nemmeno i quaderni dove scrivere. Ecco dunque la consapevolezza che forse questo gemellaggio serve più a noi che a loro. Ed è proprio in questa ottica di crescita che, come scuola di Avola, abbiamo inteso la raccolta di fondi da destinare all’istituto Pierrard di Butembo. Alla luce di questo, si comprende anche la scelta dei nostri ragazzini di non chiedere denaro alle proprie famiglie, piuttosto di risparmiare sulla paghetta settimanale, ognuno secondo le proprie possibilità. L’entità di quanto donare, infatti, appartiene al grado di rinuncia consapevole che ogni ragazzo può fare, alla sua sensibilità e alla sua consapevolezza che il gesto più grande che possa fare un uomo è donarsi agli altri. Ecco così come una semplice rinuncia all’acquisto di una merendina (ad esempio), si carica del significato di una rinuncia consapevole di pochi centesimi che serviranno ad aiutare un bambino e al tempo stesso faranno crescere la coscienza umana del ragazzo. Ho letto un’espressione cruda: ‘l’elemosina è il modo più sporco di lavarsi l’anima’. E allora niente elemosina, ma lo scambio per una crescita reciproca e per la costruzione di una società più consapevole di se stessa, si”.

 

Andrea Mingo,
 insegnante Istituto E. Vittorini di Avola

Mariuccia Di Raimondo Fiore (febbraio 2008)

Diciotto volontari della parrocchia Sacro Cuore di Modica, lo scorso gennaio abbiamo trascorso una settimana piena nella parrocchia gemella di Bingo. Siamo andati non come semplici benefattori, ma per fare esperienza di vero scambio pastorale. La fede, l’amicizia, le opere concrete nei vari progetti che abbiamo realizzato in comunione con i sacerdoti del luogo, secondo i loro bisogni, hanno caratterizzato la nostra permanenza. La parrocchia di Bingo è gemellata dal 1995 con la parrocchia Sacro cuore di Modica. I pionieri del gemellaggio, Maria Antonietta e Saro Sammito, mio marito Bartolo Fiore e don Salvatore Giordanella allora venivano alloggiati in un conteiner, un secchio di acqua al giorno per lavarsi. Oggi con l’aiuto di Dio e la collaborazione di tutta la nostra comunità parrocchiale tanto è cambiato. I vari progetti realizzati negli anni hanno dato la possibilità di migliorare le condizioni di vita della gente del luogo, ma soprattutto è cresciuto il vero senso del gemellaggio: quello dello scambio. Gruppi, associazioni laicali, adozioni a distanza di famiglie e bambini ci permettono di rendere attivo lo scopo del gemellaggio. Quest’anno abbiamo attuato cinque progetti utili per tutta la comunità di Bingo. Il metodo è stato quello di fare diventare la gente del luogo protagonista perché possa continuare in modo autonomo le attività dopo la nostra partenza. I progetti hanno riguardato: ristrutturazione e pittura della chiesa grazie al lavoro di una squadra di volontari, un corso di italiano che agevola la comunicazione tra le due Chiese, un corso per elettricisti a 15 giovani a cui abbiamo donato un mini kit per continuare la professione. Infine, monsignor Crociata ha posato la prima pietra per la costruzione della “Casa del fanciullo Sacro Cuore”, un piccolo ospedale per i bambini, punto di riferimento oltre che per le cure anche per la prevenzione. Un messaggio di speranza, quindi, per i nostri fratelli gemelli e per i tanti bambini che ogni giorno perdono la vita anche per un banale malessere. La struttura sarà costruita con i fondi raccolti dalla nostra parrocchia di Modica. Questo è possibile perché da anni lavoriamo sulla sensibilizzazione a livello di pastorale, nei gruppi di catechismo, nelle scuole. La gente risponde positivamente, magari evitando lo spreco dei fiori ai funerali, le bomboniere ai matrimoni e alle prime comunioni, valorizzando così lo spirito evangelico della carità. Con la presenza del medico Corrado Giuliano, specialista in otorinolaringoiatria, abbiamo effettuato circa 500 visite a bambini e adulti. Alcuni di loro presentavano gravi problemi alle orecchie, quasi tutti avevano i timpani perforati e corpi estranei nelle orecchie. Molti pensavano di essere sordi e acclamavano al miracolo dopo la visita che semplicemente aveva estratto il corpo estraneo che ostruiva il condotto uditivo. Abbiamo sentito sulla nostra pelle la loro commozione e ci siamo emozionati anche noi quando dopo anni li abbiamo visti tornare a sentire anche i sussurri. Un grazie speciale va dunque a Corrado che con spirito di donazione e da autentico missionario ha portato una luce di speranza a questa gente facendo collaborare un medico e un infermiere del luogo e regalando loro tutti gli strumenti per continuare le visite otoriniche. L’opera e i progetti iniziati non finiscono con la nostra visita ma continuano qui adesso con la nostra testimonianza nella pastorale quotidiana. Siamo grati alla diocesi per questo grande dono del gemellaggio che non è solo scambio materiale ma arricchimento di fede per ognuna delle due comunità, l’una dono per l’altra.


Mariuccia Di Raimondo Fiore,
parrocchia Sacro Cuore di Modica

Don Gaetano Colombo (febbraio 2008)

Sono venuto in Africa perché la mia parrocchia del Santissimo Crocifisso di Pachino è gemellata con la parrocchia di Mutwanga della diocesi di Butembo-Beni. Già lo scorso anno ero venuto a conoscere personalmente la realtà della gente di questo villaggio. In un primo momento, come parrocchia, a Pachino abbiamo vissuto il gemellaggio solo in forma teorica, più di sostentamento, e comunque limitato. Ma dopo la mia prima visita le cose sono cambiate. Il legame con la parrocchia gemella si è intensificato e tutta la comunità si è interessata di più a cosa succedeva a Mutwanga e a come si viveva. Grazie alla testimonianza diretta delle foto, dei video e dei miei racconti, i fratelli gemelli di Mutwanga sono entrati nella nostra vita con i loro nomi e i loro volti, ognuno diverso dall’altro, e non tutti uguali come sembrano quando osservi l’Africa solo da lontano. Mutwanga è una delle parrocchie più grandi della diocesi di Butembo-Beni ed è composta di sette settori. Se si pensa che per spostarsi da un settore all’altro possono volerci anche giorni di cammino, ci si rende conto di quanto davvero possa essere estesa. Proporzioni che non hanno nulla a che vedere con le nostre parrocchie, naturalmente. Aiutato dalla presentazione del parroco e dei membri dei collegi pastorali, ho individuato una priorità: la casa della maternità. Se c’è una cosa che mi ha colpito, quasi scioccato, girando per i villaggi, infatti, è stata proprio la condizione igienico sanitaria pessima in cui venivano al mondo i bambini. Tutta la parrocchia di Pachino si è impegnata a raccogliere fondi, e ora la casa della maternità è in costruzione. L’Africa, io penso che abbia una profonda vocazione per la vita. Basta osservare la natura, il sorriso luminoso dei bambini, il modo con cui anche gli adulti si rapportano tra di loro, sempre disponibile e generoso. Allora quello che noi dobbiamo fare è proprio difendere questa vita, anche attraverso la costruzione di strutture adeguate per farla venire al mondo, per curarla, e per accompagnarla nel processo di crescita: quindi ospedali e scuole. Soprattutto la vita nascente è dono di Dio che deve essere accolta e protetta. Il prossimo obiettivo è quello di tornare presto a visitare i fratelli gemelli di Mutwanga, magari accompagnato da una rappresentanza della comunità parrocchiale del Santissimo Crocifisso di Pachino.  


don Gaetano Colombo,
 parroco del Santissimo Crocifisso di Pachino gemellato con Mutwanga


 

Don Maurizio Novello (febbraio 2008)

E’ fondamentale che anche i giovani oggi possano conoscere la Chiesa africana, in particolare questo gemellaggio che vuole sigillare il rapporto tra due Chiese sorelle che si sostengono. Ciò che è importante nel cammino della nostra formazione cristiana, infatti, è la possibilità di incontrare e conoscere altri modi di vivere la stessa fede cristiana. Il viaggio che la pastorale giovanile ha fatto a Butembo-Beni, in particolare è stato un’occasione per ripensare il nostro modo di parlare ai giovani di oggi, attraverso la testimonianza concreta di una terra di missione quale è la diocesi di Butembo-Beni. L’indirizzo che ci viene da questa esperienza, allora, è che la nostra scelta, come Chiesa e come pastorale giovanile, deve essere a favore degli ultimi. D’altra parte, di fronte alle difficoltà che oggi abbiamo di annunciare Cristo ai giovani il messaggio che incide di più e che i giovani percepiscono meglio è proprio quello della testimonianza che nasce dall’occasione di stare accanto a coloro che hanno bisogno. La carità e il linguaggio dell’amore sono gli unici che riescono a raggiungere i giovani. Da qui l’idea di  organizzare dei viaggio per i ragazzi della nostra diocesi, che possano durare almeno tre settimane, per dare loro la possibilità di conoscere queste realtà di povertà materiale ma di grande amore. In questi luoghi, infatti, noi non andiamo investiti di qualche potere particolare. Noi andiamo solo nel nome del Signore. Ecco, i giovani hanno bisogno di conoscere questo aspetto della Chiesa: la sua potenza che non è umana ma dello Spirito che riesce a superare le barriere politiche, di frontiera e culturali, poiché tutto viene unificato e accolto nell’amore che ognuno di noi è chiamato a condividere con gli altri. Affinché tutto ciò abbia un senso, però, è molto importante, fondamentale, che questo cammino porti ad una conversione da attuare e continuare nella nostra Chiesa. Noi non abbiamo la possibilità di cambiare le sorti di questo popolo, ma abbiamo l’opportunità e nello stesso tempo il dovere di annunciare e di portare la speranza di Cristo che diventa poi anche cambiamento sociale, economico, politico e dello stato di vivere. Questa esperienza concreta nella missione aiuta di più noi a rivedere il nostro cammino interiore e soprattutto il nostro modo di essere di fronte alla povertà del mondo. Ciò che importa in questo viaggio, insomma, è la dimensione del cuore che non serve tanto al popolo che oggi vive qui, che è un popolo gioioso e accogliente. La lezione è per noi, per l’occidente, perché possiamo riscoprire le radici cristiane della nostra cultura e nello stesso tempo possiamo cominciare a rivedere ciò che stiamo facendo come Chiesa e come giovani nella nostra diocesi, e il nostro cammino di conversione. Un cammino che deve essere riportato alle sue origini attraverso la testimonianza concreta della fede che deve essere chiarita dinnanzi al relativismo che oggi si impone nella cultura occidentale, in modo particolare nei giovani che spesso nel confronto si affannano a fare tanta opinione ma tralasciano la Verità dell’amore.

 

don Maurizio Novello,
responsabile della pastorale giovanile diocesana