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TUTTO DA PERDERE: IN ITALIA LA POVERTÀ SI FA STRUTTURALE

l dati del rapporto Caritas 2023, con un focus sui lavoratori poveri che ammontano a 2,7 milioni su 5,7 milioni di poveri in totale. Gli stranieri, l’8,7 della popolazione, costituiscono il 30% dei poveri assoluti

In Italia, la povertà sta crescendo, consolidandosi come un fenomeno ormai “strutturale”. Dal 2021 al 2022, il numero di poveri assoluti è aumentato di 357mila unità, raggiungendo la cifra di 5 milioni e 674 mila persone, pari al 9,7% della popolazione (rispetto al 9,1% del 2021). Un residente su dieci attualmente non ha accesso a un tenore di vita dignitoso. Un quarto dei poveri assoluti ha un lavoro, evidenziando la critica situazione dei “working poor”, i lavoratori poveri. E alcune nuove forme di povertà, come quella energetica derivante dai costi delle bollette, si stanno affiancando alle vecchie problematiche.

Il Rapporto 2023 su Povertà ed esclusione sociale in Italia, diffuso dalla Caritas italiana (ce n’è una sintesi, da scaricare in .pdf a fondo pagina) offre uno sguardo approfondito sulla situazione. L’Italia si distingue come il paese europeo con la trasmissione intergenerazionale più intensa delle condizioni di vita sfavorevoli, indicando che chi nasce povero ha maggiori probabilità di rimanere tale da adulto. I dati rivelano un aumento di 357 mila persone nella povertà assoluta tra il 2021 e il 2022.
«Gli stranieri», si legge sul rapporto, «pur rappresentando solo l’8,7% della popolazione, costituiscono il 30% dei poveri assoluti. I lavoratori poveri che si rivolgono alla Caritas sono il 22,8% dell’utenza, di cui il 64,9% sono stranieri. Mentre la presenza di oltre 2,1 milioni di famiglie povere può dirsi una sconfitta per chi ne è direttamente coinvolto, ma anche per l’intera società, che si trova a dover fare i conti con la perdita di capitale umano, sociale, relazionale che produce gravi e visibili impatti anche sul piano economico. Tutti
possiamo dirci vinti di fronte a 1,2 milioni di minori in condizione di indigenza, costretti a rinunciare a tante opportunità di crescita, di salute, di integrazione sociale, e il cui futuro sarà indubbiamente compromesso».

Un focus è dedicato ai “working poor”, «caratterizzati da lavori in nero, part-time forzati e salari inadeguati», sottolineando la loro lotta per sopravvivere. I “working poor” in Italia ammontano a 2,7 milioni (11,5% degli occupati, rispetto al 8,9% della media europea). Il 47% dei nuclei in povertà assoluta ha il capofamiglia occupato, mentre questa percentuale sale all’81,1% nelle famiglie povere composte solo da stranieri.

Il rapporto evidenzia anche gli “eventi svolta” che possono portare alla vulnerabilità sociale, come diventare genitori, con l’80% degli utenti con figli minori. Riguardo alla povertà energetica, nel 2022 il 45% degli oltre 86 mila sussidi economici erogati dalla Caritas è stato destinato ai “bisogni energetici”, ovvero alle bollette.

Infine, il rapporto si esprime in maniera critica sulla riforma del Reddito di cittadinanza, sottolineando che l’abbandono del principio di universalismo selettivo e l’introduzione di nuovi requisiti lascia scoperte alcune specifiche tipologie di poveri. Le stime disponibili indicano in circa il 33% i nuclei già beneficiari di RdC che non avranno diritto all’Adi, per un numero di 400mila nuclei su 1,2 milioni di famiglie: « Nel 2022, tra i
beneficiari di Caritas, il 19% era percettore di RdC (17mila famiglie) con punte del 44% al Sud e del 50% nelle Isole. Vi sono inoltre molti dubbi sulla reale possibilità di trovare un’occupazione entro i 12 mesi di copertura economica per la formazione garantiti dall’SFL. Note positive riguardano invece i circa 50mila nuclei di stranieri che potranno accedere per la prima volta alla misura e il fatto che sommando gli importi dell’Adi con quelli dell’Assegno Universale Unico per i figli a carico, la nuova impostazione è sicuramente migliore per le famiglie numerose rispetto a quella precedente».


Una testimonianza dal Presidio Caritas di Pachino

IL COSTO DELLA VITA NELLA FASCIA TRASFORMATA

In vista della Quaresima: accogliamo il grido d'aiuto dei fratelli immigrati che affrontano ogni giorno fame, mal tempo, sfruttamento e isolamento

Dal Presidio Caritas di Pachino

Nell’era della globalizzazione, si fanno sempre più i conti con i bilanci aziendali. Le aziende moderne devono avere sotto controllo le finanze delle proprie attività per riuscire ad ottimizzare i costi di produzione. Una delle voci di costo di maggiore incidenza è legata al personale in servizio e, tra i settori maggiormente segnati da questa incombenza, c’è l’agricoltura nella quale la scarsa possibilità di meccanizzazione e la stagionalità delle produzioni obbligano ad un turn over di personale molto spinto.

Incontrando le realtà produttive del Sud-Est Sicilia per analizzare questo fenomeno più da vicino si scoprono anche altri aspetti particolari: per sopperire alla forte incidenza del costo del personale si preferisce ricercare la soluzione nel lavoro irregolare. Questa scelta permette, infatti, di risparmiare in maniera importante sulla quota contributiva dovuta ai lavoratori regolari nonché sulle spese di assunzione e mantenimento del dipendente in forza all’azienda. Continuando il viaggio si può anche scoprire che molti di questi lavoratori irregolari sono travolti nel meccanismo del caporalato.

Questo fenomeno non si limita solo all’aspetto della trattativa economica tra i caporali, i lavoratori e le aziende bensì nasconde tante altre sfaccettature altrettanto gravi e dilaganti. Infatti le squadre di lavoratori che vengono assoldate dai caporali sono per lo più costituite da extracomunitari senza dimora o ammassati all’interno di casolari sperduti per le campagne all’interno dei quali vivono in un regime di semi-schiavitù e di totale isolamento.

Basta fare una camminata tra le campagne della fascia trasformata del Sud-Est Sicilia (da Pachino a Santa Croce Camerina) per trovare tanti piccoli apprestamenti di fortuna dentro i casolari abbandonati o, peggio, sotto qualche albero secolare. In queste “abitazioni” si incontrano vite e storie di uomini tra le più disparate ma tutte caratterizzate da episodi di sofferenza, schiavitù e solitudine; basta guardarli negli occhi per cogliere il bisogno di aiuto e sentire il grido di disperazione che urla nel loro cuore.

Sono uomini fuggiti dal loro Paese a causa delle guerre e che in Italia, contro agni loro aspettativa, affrontano ogni giorno la fame, il mal tempo, lo sfruttamento e il totale isolamento.
Quando li incontri non puoi far a meno di sentire nascere dentro di te un desiderio di fare qualcosa e di aiutarli nelle maniere più semplici e impensate e di pensare che è una situazione così grande che non si sa da dove cominciare.
Poi ci si ferma un attimo a riflettere e viene da pensare: ma come può esistere una situazione del simile nel 2023, in un Paese “Occidentalizzato e civile” e sotto gli occhi di tutti? Sembra assurdo, sembra un paradosso, ma è così! E, mentre il mondo è impegnato, a buon ragione, a trovare soluzioni per i costi di produzione, nessuno discute o pone attenzione sulle situazioni di povertà estrema che una cattiva politica del lavoro e dell’accoglienza può creare. Ci si preoccupa dei costi dei dipendenti ma mai del valore della vita e della dignità umana.

Ma se sul piano politico ed amministrativo non esiste una cura rapida al problema, sul piano umano si può fare molto: basterebbe abbattere il muro di indifferenza che ognuno di noi erige nella propria vita. Non tutti possiamo essere missionari della povertà o salvatori di vite umane ma tutti possiamo dare il nostro piccolo contributo. D’altra parte il principale problema per i fratelli extracomunitari (come per tutti i poveri) è costituito proprio dall’isolamento. Servirebbe accogliere e far nostro l’invito di Papa Francesco: «Non lasciamoci contagiare dall’indifferenza». Rimanendo indifferenti, infatti, ci facciamo anche complici della cattiva politica e della cattiva umanità che ha reso quegli uomini poveri ed emarginati.

Accogliamo il cammino di Quaresima che ci si avvicina come un’occasione per far rinascere in noi il desiderio di aiutare e di essere servitori come Cristo ha fatto con noi, lavando a nostra volta i piedi a chi ha più bisogno e a quanti vivono soli ed emarginati.
«Quello che facciamo è solo una goccia nell’oceano, ma l’oceano senza quella goccia sarebbe più piccolo», diceva Madre Teresa di Calcutta.

Emanuele Blanco, operatore del Presidio Caritas Pachino


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