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Per essere “lievito buono”, anzitutto conformarsi a Cristo!

Un centinaio di animatori Caritas e di volontari si sono ritrovati all’inizio della Quaresima al Monastero delle Benedettine di Modica per «ascoltare il Signore» ed evitare di fare di “testa propria”. Rinnovando la consapevolezza che la questione centrale è la conformazione a Cristo, e subito dopo la possibilità che gli altri possano ritrovare nella comunità cristiana un lievito di speranza. Quella vera, quella che viene da una “virtù provata”! Conformarsi a Cristo che è stato “tutto per gli altri” e ha portato su di sé il peccato del mondo, ritrovare per questo un cristianesimo “mistico” e non ridurre la carità a mera filantropia: sono state le sottolineature continue da parte di don Corrado Lorefice commentando il capitolo sesto della lettera ai Galati. Chiarendo fin dall’inizio come la mentalità del mondo occidentale, che insidia pure i credenti, parte dall’opposto: dall’individualismo assoluto. Facendo perdere quel senso del “compatire” che pure era presente nella nostra gente, tradotto in un termine (e una pratica) come “cumputtare”. Eco dei tanti testi biblici, paolini, in cui è proprio di Cristo (e quindi del cristiano) prendere su di sé l’altro, ritrovando la verifica nel fatto che l’altro è peso, e così non diventa possesso! Per questo è necessario convertirsi ma la conversione è, prima che morale, culturale e teologica. Come chiariva Dossetti nel suo intervento “Sentinella quanto resta nella notte?”: «C’è da chiedersi se tali degenerazioni (ndr: la mentalità occidentale centrata sull’io assolutizzato) non siano insite nel pensiero occidentale, come sostiene Levinas. A suo parere, possono essere evitate non con un semplice richiamo all’altruismo e alla solidarietà, ma ribaltando tutta la impostazione occidentale, cioè ritornando all’impostazione ebraica originale, nella quale si dissolve proprio questa partenza dalla libertà del soggetto. I figli di Israele sul Sinai, nel momento più solenne e fondamentale di tutta la loro storia, quando Mosé propose loro la Legge, hanno detto: Faremo e udremo (Es. 24,7). Cioè essi scelsero un’adesione al Bene, precedente alla scelta tra bene e male. Questa accettazione è la nascita del senso, l’evento fondante l’istaurarsi di una responsabilità irrecusabile». Per questa conversione è necessario coltivare l’uomo interiore, l’uomo che sa fermarsi «per ridare spazio allo Spirito perché ci conformi come uomini nuovi all’Uomo nuovo». L’uomo che «guarda la storia a partire dalle cose invisibili». L’uomo che non pensa allora più a se stesso ma «partecipa alle sofferenze di Dio». Don Corrado ha concluso citando Bonhoeffer, rilevando ancora una volta come – nell’ascolto e frequentazione del Signore – leggiamo meglio “dove siamo”, ma anche cogliamo meglio la chiamata di fondo: «Gli uomini vanno a Dio nella loro tribolazione, piangono per aiuto, chiedono felicità e pane, salvezza dalla malattia, dalla colpa, dalla morte. Così fanno tutti, cristiani e pagani. Uomini vanno a Dio nella sua tribolazione; lo trovano oltraggiato, povero, senza tetto né pane. Lo vedono consunto dai peccati, da debolezza e morte. I cristiani stanno vicini a Dio nella sua sofferenza. Dio va a tutti gli uomini nella loro tribolazione; sazia il corpo e l’anima del suo pane, muore in croce per cristiani e pagani, e a questi e quelli perdona».
 
 

Iniziato l’iter per la beatificazione di un figlio di questa Diocesi, Nino Baglieri

Sabato 3 marzo 2012, con una celebrazione della Parola in Cattedrale, presieduta dal Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, è iniziato l’iter per la beatificazione di un figlio di questa Diocesi, Nino Baglieri. Una affollata assemblea, vivacizzata dalla nutrita partecipazione della “famiglia salesiana” – Baglieri apparteneva alla associazione “volontari con Don Bosco” – , ha seguito con commozione i vari interventi che hanno spiegato lo svolgimento di questo straordinario evento. 
La cerimonia, oltre all’intervento del Vescovo, ha registrato anche quello straordinario del Rettor Maggiore don Pascual Chavez Villanueva.
 
Iter canonico
L’iter canonico per la “beatificazione” prevede che il vescovo diocesano, dopo aver accettato l’istanza del postulatore (supplex libellus), consulti i vescovi della regione, renda pubblica la richiesta (Editto) in modo da avere informazioni utili per l’approfondimento della verità sul Servo di Dio, consulti la Santa Sede per verificare che non vi sia nulla contrario alla causa (Nulla osta). Espletati questi passaggi si potrà iniziare ufficialmente l’Inchiesta diocesana meditante l ascolto dei testimoni e la raccolta dei documenti.
Nessun sa quanto tempo ci vorrà per giungere alla conclusione di questo processo, che dovrebbe portare alla canonizzazione del Servo di Dio. L’invito che faccio a tutti è di accompagnare con una conoscenza documentata e meditata la testimonianza di Nino e soprattutto di intensificare la preghiera affinché lo Spirito Santo accompagni questo processo di discernimento e se è nella volontà del Signore conceda grazie, favori e miracoli per l’intercessione del suo servo.
 
Cenni sulla vita di Nino Baglieri
Nino Baglieri nasce a Modica (Ragusa) nel 1951. Dopo aver frequentato le scuole elementari e aver intrapreso il mestiere di muratore, a diciassette anni, il 6 Maggio 1968, precipita da un’impalcatura alta 17 metri. Ricoverato d’urgenza, Nino si accorge con amarezza di essere rimasto completamente paralizzato. Inizia così il suo cammino di sofferenza, passando da un centro ospedaliero all’altro, ma senza alcun miglioramento. Ritornato nel 1970 al paese natio iniziano per Nino dieci lunghi anni oscuri, senza uscire di casa, in solitudine, sofferenza e tanta disperazione. Il 24 Marzo 1978, venerdì santo, alle quattro del pomeriggio, un gruppo di persone facenti parte del Rinnovamento nello Spirito prega per lui; Nino sente in sé una trasformazione. Da quel momento accetta la Croce e dice il suo “sì” al Signore. Incomincia a leggere il Vangelo e la Bibbia: riscopre le meraviglie della fede. Aiutando alcuni ragazzini a fare i compiti, impara a scrivere con la bocca. Redige così le sue memorie, le lettere a persone di ogni categoria in varie parti del mondo, personalizza immagini-ricordo che omaggia a quanti vanno a visitarlo. Dal 6 Maggio 1982 in poi, Nino festeggia l’Anniversario della Croce e lo stesso anno entra a far parte della Famiglia Salesiana come Cooperatore. Il 31 Agosto 2004 emette la professione perpetua tra i Volontari con Don Bosco (CDB). Il 2 Marzo 2007, alle ore 8, Nino Baglieri, dopo un periodo di lunga sofferenza e di prova, rende la sua anima a Dio. Dopo la morte, viene vestito con la tuta e le scarpe da ginnastica, affinché, come aveva detto, «nel mio ultimo viaggio verso Dio, potrò corrergli incontro».
 

“I miei abbracci per voi sono abbracci sinceri di dono e di perdono”

Che festa lunedì 20 febbraio alla cattedrale di Noto per il 90° compleanno di Mons. Salvatore Nicolosi! Una festa, nel senso biblico del termine, una esperienza attuale della potenza di Dio che compie meraviglie in mezzo a noi. Una festa è stata la concelebrazione eucaristica in un’atmosfera di gioia, di famiglia, dove ti veniva voglia di gridare: “Sei grande, papà!”. Grande, non solo per 90 anni di età, ma per la sapiente e longanime saggezza. Papà, perché con mite fermezza, ha amato e ama tutti con la sua benevola paternità. È significativo, infatti, che a questa festa sono accorsi numerosi autorità civili e militari, vescovi, sacerdoti, diaconi, suore, mamme, giovani, con la gioia scolpita nel cuore e nel volto. Come in una festa di paese, mancava solo la banda musicale, supplita magnificamente dal coro diocesano. Quante attestazioni di affetto, di stima, di gratitudine! A partire dal nostro Vescovo Mons. Staglianò che, in modo magistrale, ha delineato i tratti salienti della personalità del nostro amato festeggiato. Un fremito di commozione è stato da tutti avvertito quando Mons. Staglianò l’ha definito patriarca della fede, punto di riferimento, uomo, prete e vescovo autentico, persona umanamente ricca di pensiero, di grande apertura mentale. Continueremo a camminare nel solco da Lei tracciato –ha proseguito il Vescovo Staglianò- solco fatto di comunione e di sinodalità, visibile nei segni da Lei posti: il gemellaggio pastorale con Butembo-Beni, la casa del clero, la fondazione Madre Teresa di Calcutta per gli anziani soli e i malati terminali. Solco intriso dalla fatica del credere, che non risparmia la croce e perciò irradia il Vangelo. In questo clima di gioia, di letizia, di festosità, di vibranti emozioni sono continuate le manifestazioni di affetto da parte dei sindaci di Pedara (CT), di Lipari (ME), di Noto, dell’Arcivescovo Mons. Salvatore Pappalardo, del Prof. Maurilio Assenza –Manifestazioni cariche di ricordi e di affettuosità per questo “sapiente nocchiero” che ha dilatato gli spazi della carità con amorevolezza e signorilità. Con stupore grato, infine, abbiamo ascoltato il sentito e “grazie” dell’amato festeggiato, che non solo non ha dimenticato nessuno, ma ha avuto parole di apprezzamento per tutti ed in particolare per mons. Staglianò definendo splendida la sua omelia, per mons. Pappalardo che con amabilità ha ricordato i tempi belli della giovinezza, per mons. Guccione, suo vicario generale per ben 28 anni, testimone credibile e di alta spiritualità. Poi con la sua caratteristica voce tonante e giovanile, mons. Nicolosi ha ripercorso i tratti salienti della sua lunga, gioiosa e sofferta vita, affermando che ha imparato a guardare tutti nella luce di Dio e a mantenere un legame indissolubile con la Chiesa e con la Chiesa di Noto. Ha concluso dicendo: “I miei abbracci per voi sono abbracci sinceri di dono e di perdono”. Infine il vescovo Staglianò gli ha consegnato il regalo: una maiolica raffigurante lo stemma della diocesi di Noto e la promessa di una pubblicazione in suo onore, e un’offerta in denaro per la Fondazione Madre Teresa di Calcutta. Riteniamo, senza alcuna enfasi, che questa festa –fatta ad un vescovo dal cuore di Pastore attento, altamente responsabile, immerso nella nostra storia come guida sapiente- è un piccolo grande dono: fa pensare, aiuta a ricordare, facilita l’esperienza della gioia e, con ferma benevolenza, apre il cuore a riconoscere che “Dio ha fatto e fa grandi cose per noi”.
 

Messaggio del Vescovo per la Quaresima 2012

Il viola è il colore di questo tempo. Sarebbe interessante scoprire perché si usa nei tempi forti, l’avvento e la Quaresima. Da ragazzo mi colpiva questo fatto: appariva il viola delle vesti sacre, e io capivo d’essere chiamato a un tempo di rigore, di sobrietà, di maggiore silenzio, persino di ascesi, con il digiuno. Crescendo, ho verificato nella mia personale esistenza come sia difficile convertire la mente e il cuore alla realtà vera della vita: non c’è infatti il paese dei balocchi, da nessuna parte della terra, nemmeno da noi. Eppure questo paese dei balocchi premeva con insistenza nella mia mente ed eccitava il mio desiderio. Tra l’altro era un sogno piuttosto diffuso in tutti, nei ragazzi, nei giovani e persino negli adulti: tutti in cerca del gusto della vita nel piacere della distrazione dalla realtà vera. Il divertimento – magari chiamato con altri nomi, solo apparentemente più nobili per mascherarlo, come “libertà dal lavoro” o “neutralizzazione dallo spirito di sacrificio” o “indipendenza dagli affetti dei pesanti legami” o, ancora, “autonomia nella realizzazione di sé” (e chi non ha detto almeno una volta “la vita è mia e me la gestisco io”) -, resta sempre il dogma di una vita vissuta all’insegna dell’illusione o della speranza aleatoria, del tipo, “questa volta gioco più denaro e sicuramente diventerò milionario”. Bravo: “gratta e … perdi”. Quanto è difficile ritornare alla realtà vera della vita, togliendosi le tante maschere, plurime, diversificate, tutte belle: Arlecchino, Pulcinella. Anche le più brutte.
            Non è un caso che, nella nostra tradizione, il Mercoledì delle Ceneri accada immediatamente dopo il carnevale: basta! E’ finita l’allegoria, il mascheramento. E’ ora di smettere di gozzovigliare: basta, ora è l’Ora, il tempo propizio per convertirsi alla realtà vera di ciò che siamo, di ciò che viviamo, stando con i piedi per terra e guardando in faccia la realtà.
 
            Abbandonare la stupidità dell’illusione per entrare “dalla testa ai piedi” – la Quaresima inizia dall’imposizione delle ceneri sul capo e finisce con la lavanda dei piedi del giovedì santo –, nel cammino che questo tempo forte ci propone: pentimento e servizio. Non è cosa semplice. E’ necessario un tempo di quaranta giorni, opportuno e adeguato per “svegliarsi dal sonno” e attendere con vigilanza alla salvezza, cioè alla liberazione della nostra libertà da ogni forma di schiavitù, dentro e fuori di noi.
            Il peccato è il nemico principale della nostra libertà. La lotta contro il peccato – soprattutto durante la Quaresima – deve essere fatta in nome della nostra libertà. Siamo venuti al mondo per essere liberi e non dovremmo sopportare di svenderci per niente e a nessuno. Il peccato è svilimento, deriva, disumanizzazione, lontananza dalla bellezza che è in noi, anestesia corporale e spirituale che rende immobili, atrofizzati, freddi, insopportabilmente incapaci del calore dell’amore. Eppure, per coloro i quali vogliono prendere sul serio la propria libertà in tempo di Quaresima, il dramma non sarebbe poi tanto il peccato: alla fine, chi tra noi non è un peccatore?
Il riconoscersi peccatori, questa è la tragedia. In una cultura che al limite può/vuole ammettere i propri errori – errare humanum est, sbagliare è umano -, anche il cristiano fa fatica a riconoscere il proprio peccato e a chiederne perdono. Il confessionale resta vuoto, non solo perché il prete non ci sta (e occorre invece, specie in Quaresima, dettarsi dei tempi per “stare” a disposizione per le confessioni, abitando il confessionale), ma soprattutto perché gli umani si sono convinti di non peccare, perché “i peccati tradizionali” sono diventati costume diffuso, quando non addirittura motivo di orgoglio: tradire il legame sacro dell’amore coniugale, rubare, bestemmiare, deturpare l’ambiente, sfruttare il lavoratore, calunniare, ingiuriare, smentire l’alfabeto di base dell’affetto vero etc. etc. (si potrebbe continuare in una lista infinita) non sono più identificati come “peccati” da confessare. Intanto cosa va in rovina? La qualità della nostra relazione umana e del nostro legame sociale: gli affetti più sacri sono puntualmente offesi e calpestati, i legami più veri sono di continuo infranti e disattesi, non solo tra i giovani, ma anche e soprattutto tra gli adulti (i quali per lo più vivono nell’idolatria della loro interminabile giovinezza e nella morsa della sindrome di Peter Pan: hanno paura di crescere e di invecchiare).
 
            Allo specchio di questa condizione post-umana della nostra cultura narcisistica dell’amore di sé in faccia alla sofferenza dell’altro e degli altri (fossero anche mogli e mariti o figli abbandonati per l’esigenza di “rifarsi una vita” secondo l’etica “della vita è mia e me la gestisco io”), la Quaresima resta il tempo propizio per ritornare in se stessi, cioè nella verità di sé, scoprendo le radici sostanziose e belle del proprio sé in verità: siamo dono, apertura, dedizione, cura, capacità fraterna, relazione amativa, comunione fino al sacrificio, amore. Si “noi siamo amore”. Ed è bello scoprire che è questa la rivelazione del Dio dei cristiani: “Dio è amore”. Un’affermazione su Dio che immediatamente si ripercuote nello svelamento di quello che sono io: “io sono amore”. Di meno, c’è il peccato che mi schiavizza e deturpa, di più c’è la bellezza cui sono destinato, a vantaggio di tutti e per la mia salvezza, per la mia liberazione, per l’affermazione della mia libertà.
            In Gesù, Dio mi è diventato prossimo, vicino, compagno di strada. La prima conseguenza di questa scoperta di fede è che nessuno è così solo da non essere guardato da Dio con uno sguardo di misericordia. Questa vicinanza di Dio getta luce sulla mia vera identità: “io sono fatto come Lui, prossimo, vicino, fratello per tutti, figlio suo”. Lo sguardo di Dio scopre la mia dignità, la mia bellezza. Niente e nessuno può togliere questa dignità e bellezza, perché nessuna potenza mondana potrà distogliere Dio dal guardarmi così, come un Padre vero guarda suo figlio. Lo sguardo di Gesù è il modo in cui Dio continuamente mi guarda ed è una visione di grandezza che nemmeno la morte – da cui sono stato riscattato con la sua risurrezione–, mi renderà opaca. Anche le tenebre del peccato sono vinte dalla misericordia di Dio: in Gesù, Dio resta sempre fedele al suo sguardo, continua sempre ad amare. Riconosci nel pianto di Pietro la potenza di un Dio che ama anche in faccia al tradimento più grande, perché guarda in te la bellezza e la dignità che resta nonostante ogni peccato.
 
            Da qui comincia la conversione vera: sapere che Dio è sempre disponibile al perdono e attende che un sussulto della libertà del figlio umilmente lo chieda. Non rinfacciargli questo fatto: che Dio esiga da te che tu gli chieda perdono. Non ribellarti alla necessità che sia tu stesso a “ritornare da Lui”: è una necessità dell’amore. Dio infatti ama in libertà e urge la libertà del tuo amore e non vuole essere subito, perciò non ti impone il suo amore. Te-lo-pone dinanzi, incoraggiando la tua libertà ad accoglierlo nell’assoluta gratuità del solo donarsi, senza misura, senza baratto, senz’altra intenzione se non quella di svelare la dignità e la bellezza del tuo essere figlio.
            Figlio o libero? L’essere figli in casa del proprio padre, quando è Dio ad essere Padre – secondo la rivelazione di Gesù e la predicazione del cristianesimo -, allora si è veramente liberi. Per tutti lo ha saputo e scoperto il “figliol prodigo”, per ciascuno di noi lo ha mostrato e predicato a Nazareth proprio Gesù. E’ poi straordinario il fatto che nella lingua latina “liber” significhi “figlio”. La lotta per la nostra libertà è la possibilità della conquista della verità del nostro essere figli, generati nel Figlio di Dio, “figlio nel Figlio”. Ecco l’avventura della fede a sevizio della libertà. Non è questa una chiacchiera o una teoria interessanti, è invece una forma pratica della vita, una rivoluzione sociale, un esercizio della politica.
 
            La Quaresima è tempo propizio per dire a noi stessi e a tutti che non vogliamo rassegnarci a un cristianesimo “che applaude senza convinzione e bacia senza amore”. Così non vorremo rassegnarci ad una religione che sfiocca – esibendola nei rotocalchi e nelle televisioni, come anche nelle nostre celebrazioni liturgiche – certa banale elemosina (non importa quanto sia la quantità del capitale investito) chiamandola con il nome solenne di “carità”. Charitas Christi urget nos (2 Cor 5,14), urge la carità di Cristo in noi, per noi, attraverso di noi. Solo la carità è il linguaggio del cristiano: la carità svela il figlio in noi e la nostra vera libertà. Questa carità è però coinvolgente. Esige l’immersione della vita nel gesto caritatevole, richiede di onorare la giustizia della relazione umana e si fa nella verità di sé e dell’altro. Non è poi così difficile, perché è gesto impossibile nell’autonomia delle proprie forze, ma facilissimo nel ritmo della potenza dello Spirito di Dio che ci in-abita e si rende liberi e veri. Lo ha promesso Gesù: lo Spirito ci porterà alla verità tutta intera che ci renderà liberi e allora saremo veramente liberi.
Da qui sorge un umanesimo cristiano capace di sfidare le relazioni dis-umane dell’indifferenza del tempo presente. Come è potuto accadere che l’egoismo della nostra doverosa privacy ci inoltrasse negli abissi disumani del disinteresse per l’altro (anche quando l’altro portasse il volto del proprio padre o madre, o fratello e sorella, parente amico, vicino di casa)? Come è stato possibile che la sovrabbondanza materiale, la ricchezza della nostra sazietà ci ha fatto smarrire il senso del volersi bene, dell’aprire gli occhi sui bisogni dei fratelli, rendendoci avidi e insensibili nei confronti del bene degli altri e del bene comune?
 
Ecco la sfida della Quaresima: Dio in Gesù scommette ancora su di noi. Azzarda l’ipotesi (ma, per Lui è una visione chiarissima) che la bellezza e la dignità del nostro essere figli suoi è potenziale sufficiente per ridare un’anima alla nostra vita reale e alle nostre società intristite dall’individualismo narcisistico e dalle chiusure egoistiche di chi pensa solo ai propri interessi.
In questa direzione va quanto ho appena ascoltato da un grande teologo italiano- don Pierangelo Sequeri: è indispensabile oggi “creare una nuova comunità, raccolta intorno a Gesù capace di mostrare visibilmente che l’agape di Dio vuole agire tra gli uomini e abitare il mondo e di fatto lo abita”. Questo comporta l’avventura storica dei figli di Dio (la manifestazione della libertà dei figli di Dio in gestazione in questa creazione) di “togliere l’ossigeno possibile – a cominciare dal pensiero – al monoteismo libidico del Sé e all’irreligione dispotica dell’Io”: vera e propria odierna religione del vitello d’oro che produce il disumanesimo della distanza e dell’indifferenza dall’altro, dell’immunizzazione rispetto ai suoi bisogni, nel tradimento concreto della prossimità di Dio all’uomo, inaugurata da Gesù. Insomma, di amore per se stessi si può solo morire e far morire gli altri. Solo la Carità (la pro-esistenza, la pro-affezione) ama e porta l’amore a dilatarsi, facendo vivere tutti nella gioia e nella felicità desiderata da ogni cuore. Allora, la Carità urge: ne va della vita, della nostra reale vita umana. Si, è una questione di vita o di morte. Tanto importante è la Quaresima nella vita delle persone e in particolare per i cristiani. Stando così le cose, la Quaresima non è questione di “anime belle” e di “pie devozioni”, è piuttosto profezia di una vita che si converte e cambia, che si decide una volta per tutte per il Signore, per la sua umanità, per la bellezza e dignità del proprio essere umano, figlio, libero.
 
Le profondità di questa conversione sono misurabili dall’amore sconfinato del Crocifisso, il quale non solo soffre e muore per solidarizzare con gli innocenti, ma anche e soprattutto soffre e muore per espiare per i colpevoli. A questa libertà straordinaria (l’unica “vera”) sospinge l’amore, urge la Carità. Non si può estetizzare il simbolo singolare del cristianesimo – la croce del Crocifisso -, per ridurne la “sua” verità, la “sua” bellezza a emozionalismo sentimentale o, peggio, a pietismo consolatorio. C’è là dentro una emozione infinita e soprattutto una pietà immensa, ma sono di tutt’altra natura, quella dell’amore che accoglie tutto il dolore del mondo per trasformarlo e redimerlo, cambiarlo dal di dentro, promuovendo liberazione e salvezza.  Nell’inaudita bruttezza di una condizione di condanna (e religiosamente parlando, di maledizione), causata dalla violenza dispotica del sacro, appare tutta la bellezza della “santità ospitale” di Gesù che include, nella sua richiesta di perdono rivolta al Padre, i suoi stessi carnefici – «Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34) -, mentre Lui stesso concede il perdono all’uomo malvagio pentito all’ultimo istante – «oggi sarai con me in paradiso» (Lc 23,43). Lo scandalo cristiano della misericordia ha qui le sue radici. Qui dove splende lo sconfinamento dei limiti del sacro e delle sue leggi ferree e si manifesta la bellezza umana del “santo”: la libertà dell’uomo deve giungere fin qui, se vuole guadagnare se stessa, parola di Gesù, la Parola del Dio vivente.
Qui è la verifica più grande, rispetto alla quale – forse per tutti e certo per molti – il tempo di Quaresima non potrebbe bastare: dovremmo convertirci tutti dal sacro al santo, per scrutare e godere della bellezza di Dio,  là dove si trova, senza edulcorazioni, senza ammiccamenti, ma nella “sua” verità.
 
Nel mio messaggio di Avvento ho chiesto a tutte le comunità cristiane di trascrivere “insieme”, in una lista, quelle opere di misericordia corporale e spirituale che possono essere realizzate “insieme” dopo la celebrazione domenicale dell’eucarestia, per mostrare lo stretto legame esistente tra celebrazione rituale  nella liturgia e vissuto di carità. Immagino quanto sia lunga questa lista, frutto della vostra fantasiosa creatività nella carità. Ora, la Quaresima è tempo propizio per realizzare con coraggio quel proposito. Urge la Carità come creazione (generazione, per l’appunto, siamo figli, cioè liberi) di una nuova fratellanza. Il Papa Benedetto XVI nel suo messaggio per la Quaresima di quest’anno ci ha detto che «oggi il mondo soffre soprattutto di una mancanza di fraternità» e di fronte a una cultura che «sembra aver smarrito il senso del bene e del male, occorre ribadire con forza che il bene esiste e vince […] il bene suscita, protegge e promuove la vita, la fraternità e la comunione». Occorre allora una rinnovata testimonianza cristiana che sappia accogliere l’invito a «gareggiare in carità, servizio e opere buone», poiché «il tempo che ci è dato nella nostra vita è prezioso per scoprire e compiere le opere del bene, nell’amore di Dio». Forza e coraggio, dunque. Il Papa ce lo ha detto con insistenza: la carità è «il cuore della vita cristiana» e la Quaresima è una opportunità per tutti e non solo per i cristiani per riflettere e meditare e neutralizzare «il pericolo di avere il cuore indurito da una sorta di “anestesia spirituale” che rende ciechi alle sofferenze altrui».
Il Santo Padre ci incoraggia con le sue catechesi e il suo illuminato Magistero a non indietreggiare nella manifestazione dell’amore, attraverso le opere di misericordia corporale. Un legame più stretto e un impegno più constante con il Papa – proprio nella direzione dell’esercizio della carità -, derivano alla Chiesa di Noto dall’avvenuta elevazione della nostra Chiesa Cattedrale a Basilica minore. Questa designazione non è (e non sarà mai) un orpello, ma piuttosto un appello alla nostra libertà a tradurre fattivamente quanto il Magistero universale della Chiesa ci insegna.
Muoversi nella carità con nuova fantasia e creatività è lavoro di tutti, come singoli e come comunità. Ognuno di noi può sempre “dare di più”: è uno spettacolo straordinario constatare che proprio in tempi di ristrettezza aumenti la solidarietà tra le persone e ci si riscopre fratelli nella comune dignità umana. La raccolta di generi alimentari per sopperire ai bisogni dei più poveri cresce, a testimonianza della larghezza del vostro animo. Con gioia grande constato che la festa di San Corrado si caratterizzerà quest’anno per una maggiore visibilità della carità, attraverso il gesto nobile dell’apertura della “mensa di accoglienza” per i più poveri: luogo di solidarietà e di volontariato, questa mensa potrà diventare una fucina e un laboratorio per cuori che si lascino sciogliere dall’amore-agape.
La carità però ha tante forme. Essa impegna anche a cercare, insieme agli uomini di buona volontà (specialmente quelli deputati a servire il bene comune) tutti i luoghi abitabili e gli strumenti utili per attivare processi di sviluppo reale del nostro territorio, allo scopo di risollevare il disagio economico e sociale nel quale tante nostre famiglie sono cadute. La firma del Protocollo d’intesa contro la crisi tra il vostro Vescovo e i sindaci dei nostri comuni sta già donando buoni frutti in diverse città ed è il contenitore giusto per realizzare un nuovo progetto globale e integrato con l’aiuto della Provvidenza. Ne abbiamo parlato il 14 Febbraio 2012 nella Sala degli Specchi del Comune di Noto e abbiamo aggiornato il nostro incontro al 14 Marzo prossimo. Ho molta speranza in quanto si sta facendo, mentre assicuro che la presenza del Vescovo su questi terreni (solo apparentemente estranei alla sua missione) è motivata soltanto dal servizio: è per altro un servizio di unità e di collante (amerei dire, di comunione) che esprime anche nel campo dello sviluppo sociale ed economico il sacramentum dell’unità nella Chiesa, espresso dal ministero episcopale.
 
A tutto questo vorrei aggiungere però una verifica interiore, per tutti quelli che intendono vivere un cristianesimo più generoso e vitale e non semplicemente anagrafico e superficiale. Mentre ci battiamo culturalmente (e lo faremmo fino all’effusione del sangue) – insieme a tanti uomini di buona volontà – perché il Crocifisso non venga tolto dalle scuole o da altri edifici pubblici, vogliamo verificare se proprio noi cristiani non abbiamo già tolto il Crocifisso dalla Chiese cattoliche? Come potrebbe accadere questa circostanza così irreligiosa proprio nel bel mezzo della nostra religione? Molto semplice, tanto è un rischio di una ovvietà inaudita in certo cristianesimo da parata, senza impegno serio nella vita quotidiana. Lo avremmo fatto ogni volta che la mentalità giustizialista di oggi ha impedito ai cristiani di percepire la bellezza del Crocifisso nel perdono ai propri nemici, secondo la parola di Gesù: «a voi che ascoltate, io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano» (Lc 6,27).
Ascoltiamo in merito un profeta dei nostri tempi, don Tonino Bello, defunto vescovo di Molfetta, e lasciamoci verificare interiormente dalle sue parole illuminate e sapienti, frutto del suo amore per la Chiesa e per un cristianesimo evangelico, capace di comunicare la prossimità di Gesù Cristo agli uomini di oggi, specie ai poveri, agli afflitti, ai sofferenti: «come i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo “inquadrata” nella cornice della sapienza umana e nel telaio della sublimità di parola. L’abbiamo attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi della sua logica».
I nostri denigratori incoraggiano un cristianesimo senza mordente, abbassato alle logiche mondane del loro perbenismo e non vogliono accettare lo scandalo della bruttezza della croce, nel quale può splendere la bellezza solo di Dio. La bellezza è quella dell’agape di Dio che splende nella misericordia confermata come possibile a tutti i colpevoli e i peccatori, splende nel dono del suo amore, del suo dono-per, cioè del suo per-dono, mentre la croce è brutta in ogni senso, senza la sua Carità.
In questo modo, la Croce si collega al Natale, chiedendoci di avere occhi di fede, per scrutare la bellezza di Dio nei luoghi della più cruda bruttezza: infatti, nella bruttezza amara di una grotta senza niente (“al freddo e al gelo”, nella mancanza totale di ogni compassione umana per una donna che deve partorire il figlio) si potrà notare la bellezza di un nascituro – il Figlio eterno di Dio -, il quale ci comunica la nostra vera dignità di essere umani, a prescindere dalla nobiltà del nostro nascere e del nostro possedere. Nascessimo senza niente, come Lui a Betlemme, saremmo lo stesso degni di amore, perché esseri umani, e saremmo lo stesso “amore”, capaci di dono, di amicizia, di fraternità.
 
Attenzione: quando nell’estetismo religioso si pretende “velare la bruttezza della croce”, perché se ne afferma superficialmente la bellezza, a prescindere dalla sua verità di perdono misericordioso e di riscatto salvifico dalla colpa (= unica bellezza esistente in questo segno), allora ordinariamente su quella croce vengono inchiodati – proprio dal nostro devozionismo religioso – i nostri nemici (quando non anche i nostri stessi amici). Allora, il Crocifisso non ci parla più della “bellezza scandalosa” di un Dio che muore per tutti, anche per i colpevoli, per i quali invoca il perdono, ma diventa solo un “idolo-insegna” dei nostri desideri di vendetta. E però, in questa esperienza religiosa impazzita, il cristianesimo non c’è più e, ovviamente, non c’è la croce di Cristo che invece si identifica e si riconosce in ogni gesto umano, capace di dono vero, quello che spinge il dono della vita fino a morire per amore. La bellezza dell’amore ha già salvato il mondo: nessuno infatti ci può separare da questo amore in Cristo Gesù, risorto dai morti.
 
Croce
Tu reggi il mondo
Sospiro ultimo
Ultimo e muto
Capirti Croce
Non dominarci
servici
 
Stabat mater dolorosa, sotto la croce sta Maria, là dove urge la carità di un dono smisurato e di un abbandono pieno di fiducia nel Dio che salva oltre ogni apparenza oscura. Come Maria, apprezziamo la “bellezza misteriosa” della croce di Cristo che urge in noi la carità.
Nella preghiera a Maria SS. Scala del Paradiso e a San Corrado Confalonieri, vi auguro di cuore una buona Quaresima e una santa Pasqua.

 


Patto Sociale contro la crisi

Il due luglio 2010 è stato firmato un protocollo d’intesa tra il Vescovo di Noto, Mons. Antonio Staglianò, e tutti i Sindaci del territorio della diocesi per una collaborazione sinergica nelle politiche sociali. Comunità ecclesiale e comunità civile infatti, pur restando distinte nella loro natura e missione, sono impegnate a collaborare per il bene comune, soprattutto in questo tempo di crisi sociale e antropologica, che colpisce persone e famiglie e che spinge tutti ad assolvere con particolare impegno ed efficacia gli «inderogabili doveri di solidarietà politica, economica e sociale» solennemente proclamati, unitamente ai «diritti inviolabili» dell’uomo, dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dall’art. 2 della Costituzione della Repubblica Italiana.
Per attuare il citato protocollo di carattere generale in data 19 febbraio 2012, domenica, festa di San Corrado Confalonieri, Santo Patrono della Città di Noto, si firma un documento attuativo tra la Diocesi e il Comune di Noto, che vuole avere valore specifico anche come risposta all’attuale crisi economica e sociale configurandosi in modo esemplare nella forma del Patto sociale, che di seguito si chiarisce nelle sue valenze ideali e nei suoi aspetti operativi.
La grave crisi attuale è certamente di carattere finanziario ed economico ma anche, come sopra specificato, sociale, per il crescente senso di precarietà che interessa lavoratori , famiglie e tutti i cittadini, ed antropologica, in primo luogo, per l’altrettanto crescente disorientamento esistenziale che interessa soprattutto i giovani. Sul versante dei servizi socio-sanitari, mentre la legge 328/2000 ha aperto prospettive interessanti nel campo della promozione della persona e dell’integrazione socio-sanitaria in vista di percorsi inclusivi, i tagli delle risorse rendono difficile dare risposte efficaci e pronte al moltiplicarsi dei bisogni. Per questo diventa urgente una progettualità capace di mettere insieme le energie e sostenere una corale corresponsabilità.  
 
In quest’ottica il Comune di Noto, quale ente locale chiamato ad attuare i principi costituzionali dell’uguaglianza sociale nel concreto di una storia e di un territorio preciso, e la comunità ecclesiale di Noto, impegnata dal Vangelo a condividere le gioie e i dolori di tutti, convergono in un patto comune contro la crisi. Si tratta di un impegno distinto – per la diversa identità dei soggetti promotori – ma complementare, come chiarito anche nel nuovo Concordato, in cui si afferma l’opportunità-necessità della collaborazione tra Chiesa e Stato per il bene comune nel senso più ampio di tutti i cittadini.
 
In particolare il Patto viene firmato dal Vescovo e dal Sindaco di Noto, che hanno voluto imprimere uno specifico apporto all’impegno per la crescita sociale e civile della città. Fin dall’inizio del suo ministero, nel “discorso alla civitas”, l’attuale pastore della Chiesa netina Mons. Antonio Staglianò ha assicurato l’apporto di un cristianesimo incarnato alla crescita di una città bella anzitutto nelle relazioni, con particolare attenzione ai più deboli, e con il suo magistero e il suo impulso pastorale ha inteso avviare dal Sud un Laboratorio di speranza. L’attuale sindaco di Noto, dott. Corrado Bonfanti, ha fin dall’inizio del suo mandato impresso all’azione amministrativa della sua Giunta la precisa direzione di interventi mirati a promuovere una rinnovata esperienza di welfare, non limitata a singoli interventi, ma volta a far crescere coesione sociale e attenzione ai diritti di tutti e dei più deboli in particolare. A servizio di questa comune ottica si pongono per il Comune gli uffici per i servizi e le politiche sociali e per la Chiesa i suoi organismi, ad iniziare dalla Caritas nei suoi livelli diocesano e vicariale.
 
Il Patto firmato dal Vescovo e dal Sindaco avvia una collaborazione precisa e operativa su alcuni aspetti che si scelgono come esemplari. Volendo un pronto avvio, si individuano subito alcune collaborazioni tra Diocesi e Comune, sigillate da un segno concreto come la “mensa della condivisione San Corrado”, mentre successivamente si potranno determinare ulteriori sviluppi, supportati da concrete e comuni verifiche. Si resta aperti ad ulteriori apporti delle scuole e delle agenzie educative, dell’associazionismo, del terzo settore, dei sindacati, del mondo della cultura. Soprattutto, si è idealmente aperti al contributo di tutti i cittadini nell’ottica della cittadinanza attiva e di una bellezza che si vuole certificata non solo nei monumenti ma anche nel tessuto delle relazioni sociali e civiche.
 
 

Inaugurato il 16 Febbraio il «Centro Polivalente “S. Corrado”

E’ stato inaugurato a Noto, giovedì sera 16 febbraio 2012, il «Centro Polivalente “S. Corrado” per la Carità”» con annessa  la «Mensa “San Corrado”». Una struttura voluta fortemente dal Vescovo Mons. Antonio Staglianò e realizzata dalla Caritas diocesana e cittadina di Noto assieme all’Amministrazione comunale presieduta dal Sindaco Dott. Corrado Bonfanti.Il Centro polivalente, o mensa, è ubicato nei locali, messi a disposizione dall’Amministrazione comunale di Noto, in Via Angelo Cavarra (ingresso dalla Via M. Bozzari, 52); locali rinnovati e adattati allo scopo caritativo dalla Diocesi di Noto.
Quale lo scopo di questo “ Centro” o “mensa”? Concretizzare anche nella città di Noto, come già realizzato nella città di Modica e in vista di possibili attuazioni negli altri sette comuni della Diocesi, un progetto tanto caldeggiato dal Vescovo Staglianò , particolarmente nella sua recente prima lettera pastorale “Misericordia io voglio”. Cioè : compiere “ verifiche serie circa l’esercizio del nostro cristianesimo, affinché il nostro amore per Dio e la nostra fervorosa devozione ai Santi […] si traduca in generosa carità sociale” (cfr. ivi pagg. 61-62).
In tale concretizzazione di solidarietà evangelica ed umana, il Vescovo sta insistendo che lavorino insieme la Comunità ecclesiale , animata dalla Caritas diocesana e dalle Caritas cittadine e parrocchiali, e la comunità civile, convogliata dalle singole Amministrazioni comunali.
Ecco perché tale sinergia tra le comunità dei credenti in Cristo e la comunità civile – sinergia già operante a Modica da oltre un anno – nella città di Noto è apparsa molto evidente la sera dello scorso 16 febbraio. Non solo è stato fatto, sia dal Vescovo che dal Sindaco, il “taglio del nastro”, prima dell’ingresso nei locali rinnovati e ristrutturati: sala per il “Centro ascolto”; sala mensa; cucina; stanza per deposito viveri e indumenti; sala distribuzione di tali viveri e indumenti, specialmente per bambini. Ma anche nelle brevi e infuocate sottolineature, sia del Vescovo Staglianò che del Sindaco Bonfanti, prima del rito di benedizione dei molti presenti alla cerimonia e dei locali, convergevano, tali sottolineature, sull’alto valore evangelico ed umano dell’accoglienza e del rispetto verso ogni persona, a cominciare dai più deboli, sofferenti ed emarginati.
Tutto ciò- hanno evidenziato l’uno e l’altro – col coraggio di andare controcorrente alla cultura consumistica ed egoista che ha creato nel mondo globalizzato di oggi la gravissima crisi morale, finanziaria, economica ed occupazionale sta stringendo, come in una morsa, il nostro territorio, la nostra isola, la nostra Italia e il mondo intero. Gli oltre duecento convenuti a questo importante evento di carità solidale – in prossimità della festa di S. Corrado “ operatore e modello di carità” , ha aggiunto, fra l’altro, il Vescovo – hanno potuto tutti, così, coinvolgersi verso una donazione agli altri più avvertita e fattiva. A cominciare dai dodici presbiteri e diaconi della città, dal Direttore della Caritas diocesana, dai sempre più numerosi e generosi “volontari” delle diverse parrocchie e associazioni, particolarmente dell’associazione “ Portatori di S. Corrado” impegnata in prima linea in questo campo. E non esclusi diversi componenti della Giunta e del Consiglio comunale, nonché l’Avv. Corrado Valvo, Sindaco della precedente Amministrazione, che durante il suo mandato avviò, insieme al Vescovo, la concretizzazione di questo progetto caritativo. Coinvolti apparivano pure diversi membri del mondo culturale netino e corrispondenti di alcune testate giornalistiche. Anche i parecchi “poveri”, venuti anch’essi, per essere ascoltati e soccorsi nei loro disagi economici e sociali, sono stati invitati a maturare moralmente e spiritualmente, attraverso il saggio discernimento educativo delle loro richieste e del loro stile di vita. Così il  «Centro polivalente “San Corrado” per la carità», dopo questa inaugurazione ufficiale, risulta, ormai, più dignitoso nella sede e più articolato nei servizi che offre; servizi che man mano si tende a sviluppare in misura di una crescita più numerosa del gruppo di volontari qualificati e generosi.
Intanto il “Centro di ascolto”, che già ha operato nella sede provvisoria di Sant’Andrea, continua in questa nuova sede ad essere aperto, dal lunedì al venerdì, dalle ore 9,30 alle 12,00.
 
Gli altri servizi funzioneranno, in questa prima fase di avvio, con le seguenti modalità:
– Distribuzione vestiario, specialmente per bambini: ogni martedì (per i cognomi da “A” ad  “M”) e giovedì (per i cognomi da “N” a “Z”) sempre dalle ore 9,30 alle 12,00).
– Mensa S. Corrado, a iniziare da mercoledì 25 febbraio, con la periodicità, all’ora di pranzo, di mercoledì e domenica.
Oltre ai volontari che operano nella cucina e negli altri servizi, ne sono previsti altri che porteranno il cibo presso le abitazioni dei poveri anziani e soli.
Si punta, inoltre, a dar vita al “Centro di collegamento gratuito con alcuni medici specialisti (geriatri, pediatri, dentisti, oculisti etc).
E non manca, infine il “Centro ascolto” presso il Carcere di Noto, dove le necessità materiali e morali sono gravissime e molto drammatiche.

Non c’è da dimenticare che, alla luce del Vangelo di Matteo 25, 31-46, al termine della nostra vita saremo giudicati dal Signore sulla concretezza della carità. 
 

Come Nino Baglieri l’atleta di Dio, corro verso la Santità

Era il 2 marzo del 2007 quando Nino Baglieri lascia la vita terrena per andare alla Casa del Padre, è sarà il 2 Marzo di quest’anno a cinque anni di distanza dalla sua morte che verrà avviato il processo di beatificazione in suo onore. Conosciamo meglio Nino: Nino Baglieri nasce a Modica nel 1951. Dopo aver frequentato le scuole elementari e aver intrapreso il mestiere di muratore, a diciassette anni, il 6 Maggio 1968, precipita giù da un’ impalcatura alta 17 metri. Ricoverato d’urgenza, Nino si accorge con amarezza di essere rimasto completamente paralizzato. C’è chi tra gli specialisti e i dottori arriva a proporre l’ “eutanasia”, ma la madre coraggiosamente si oppone, confidando in Dio e dichiarandosi disponibile ad accudirlo personalmente per tutta la vita. Inizia così il suo cammino di sofferenza, passando da un centro ospedaliero all’altro, ma senza alcun miglioramento. Ritornato nel 1970 al paese natio dopo i primi giorni di visite di amici, iniziano per Nino dieci lunghi anni oscuri, senza uscire di casa, in solitudine, sofferenza e tanta disperazione.        
Il 24 Marzo 1978, venerdì santo, alle quattro del pomeriggio, un gruppo di persone facenti parte del Rinnovamento nello Spirito pregano per lui; Nino sente in sé una trasformazione. Da quel momento accetta la Croce e dice il suo “si” al Signore. Incomincia a leggere il Vangelo e la Bibbia: riscopre le meraviglie della fede. Aiutando alcuni ragazzini, vicini di casa, a fare i compiti, impara a scrivere con la bocca. Redige, così, le sue memorie, le lettere a persone di ogni categoria in varie parti del mondo, personalizza immagini-ricordo che omaggia a quanti vanno a visitarlo. Grazie a un’asticella,compone i numeri telefonici e si mette in contatto diretto con tante persone ammalate e la sua parola calma e convincente li conforta. Comincia un continuo flusso di relazioni che non solo lo fa uscire dall’isolamento,ma lo porta a testimoniare il Vangelo della gioia e della speranza. Dal 6 Maggio 1982 in poi, Nino festeggia l’Anniversario della Croce e, lo stesso anno, entra a far parte della Famiglia Salesiana come Cooperatore. Il 31 Agosto 2004 emette la professione perpetua tra i Volontari con Don Bosco (CDB). Il 2 Marzo 2007, alle ore 8, Nino Baglieri, dopo un periodo di lunga sofferenza e di prova, rende la sua anima a Dio. Aveva disposto che, dopo la morte, indossasse tuta e scarpette. Così vien fatto. Migliaia di persone accorrono, per tutta la giornata, per dargli l’estremo, silenzioso, saluto. 
 
Oggi tutta la nostra chiesa netina e la famiglia salesiana si prepara a questa grande festa sulle orme di Nino. Diversi saranno i momenti che vivremo dal 2 Marzo giorno della morte di Nino fino a Domenica 4 Marzo:
·         venerdì 2 Marzo ore 21:00 veglia di preghiera presso l’oratorio San Domenico Savio di Modica Alta;
·         sabato 3 Marzo ore 17 apertura del processo di beatificazione in cattedrale a Noto con la presenza del nostro Vescovo Mons. Antonio Staglianò ed il rettor Maggiore dei Salesiani Don Pascual Chavez successore di Don Bosco;
·         domenica 4 Marzo ore 9:00 Festa Giovani presso il Pala Rizza Modica Alta.
Il nostro invito è quello di unirvi a noi come gruppo di preghiera per poter pregare per questo momento così forte che come chiesa netina vivremo ma soprattutto poter pregare il nostro Nino affinché un domani possiamo venerarlo tra i santi con Don Bosco.

I novant’anni di Mons. Nicolosi, padre conciliare e per ventotto anni nostro Vescovo

Lunedì 20 di Febbraio Mons. Nicolosi compie 90 anni di vita. La nostra Diocesi, convocata dal nostro Vescovo Mons. A.Staglianò, si raccoglierà attorno a lui in gioiosa preghiera in una Celebrazione Eucaristica che avrà luogo in Cattedrale alle ore 17,30. Così, attraverso un testo di don Stefano Trombatore, scopriamo le valenze di una ricorrenza per tutta la diocesi.
 
Novant’anni di un uomo. Un numero tondo dentro il quale è condensata una storia, vissuta per quasi metà nella nostra Diocesi.
 
Un uomo che ha dato una sterzata alla nostra chiesa locale, imprimendovi l’accelerazione rifondatrice dello Spirito del Concilio Vaticano II. Egli è da ricordare non solo come uno degli ultimi preziosi Padri Conciliari, memoria vivente di quell’evento epocale, ma soprattutto come l’uomo del post Concilio, essendo la fase essenziale della recezione da parte del Popolo di Dio impresa ancor più ardua e significativa dello stesso Concilio se si pensa a come esso, in diversi ambienti ecclesiali, rischi la marginalità, se non l’oblio. Con la sua sapiente guida la Diocesi è stata così ripensata a partire da due essenziali coordinate, quali la formazione di comunità vive fondate sulla mensa della Parola e del Pane, e l’apertura evangelica verso il territorio e la storia; con il suo discreto impulso essa ha potuto sperimentare l’accadimento altamente comunionale e innovatore del II Sinodo Diocesano, dove la Chiesa è stata esperienza, luce, profezia del futuro.
 
Un uomo certamente grande per quello che ha fatto, ma ancor più per ciò che ha sofferto, per come ha portato la sua parte del peso dell’umanità dolorante, del dulce pondus della Croce del Cristo. Mons. Nicolosi ha pagato per primo lo scombussolamento provocato dal vento impetuoso del Concilio, vedendosi svuotare il seminario di chierici e impoverirsi il presbiterio per l’abbandono di tanti preti (ben 25 in pochi anni), e pur tuttavia riuscendo a tenersi in piedi come Maria sotto la Croce e nel contempo a mostrare amorevolezza e comprensione per la vicenda individuale di ciascuno dei chiamati; ha sperimentato l’angoscia per il crollo improvviso della sua Cattedrale e parimenti l’infamia di venire rinviato a giudizio dalla Procura di Siracusa del tempo (poi prosciolto con formula piena) per quella rovinosa caduta, doppiamente vittima di errori altrui e dell’ingratitudine degli uomini, come si conviene al sacerdote di Dio, al discepolo di Cristo. E l’abbiamo visto, nuovo agnello, caricarsi in prima persona dei drammi della storia, prima che frutti luminosi di vita nuova si riversassero su di noi, segni del Dio benedicente. Non era per lui la gioia del raccolto, né la gloria di questo mondo. A lui spettava il travaglio oscuro della semina.
 
Mentre lo ricordiamo per ciò che ha fatto e ha sofferto, ci sovrasta la sua figura per quel che è per noi. Egli si è talmente immerso nella nostra storia, ha talmente sofferto per essa, scomparso per essa, peccatore con essa, da diventare la nostra storia, una cosa sola con noi, da rappresentare la nostra identità, così che non si possa pensare alla Diocesi di Noto senza pensare a lui, che non si possano progettare cose buone per essa senza rifarsi al suo insegnamento, alla sua persona.
 
A te, carissimo Padre e fratello di viaggio, la nostra stima e gratitudine; per te le nostre preghiere e le nostre manifestazioni di affetto affinchè ti accarezzino i colori tenui del tramonto e ti consegnino la dolcezza del Dio che viene, il cui volto splende come il sole al massimo del suo splendore (Ap 1,16).

Il Vescovo raduna intorno a un tavolo amministratori, imprese e esperti

Si è svolto lo scorso martedì 14 febbraio a Noto, nella “Sala degli specchi” di Palazzo Ducezio, l’incontro promosso dal Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, per gettare le basi per la costruzione di un modello di sviluppo di una rete di imprese e di Enti pubblici del Val di Noto. All’incontro presieduto da Mons. Staglianò hanno preso parte i sindaci dei nove comuni che appartengono al territorio della Diocesi: Modica, Ispica, Pozzallo e Scicli per il versante ragusano, Noto, Avola, Pachino, Rosolini e Portopalo per il versante siracusano. La riunione si è tenuta alla presenza di una èquipe di esperti, invitati appositamente dal Vescovo. Introducendo i lavori, Mons. Staglianò ha chiarito che l’iniziativa si colloca nell’alveo del percorso promosso dalla Diocesi attraverso i vari protocolli d’intesa già sottoscritti con varie amministrazioni comunali nell’ambito delle attività caritatevoli e promozionali. Il permanere della crisi economica, richiede, a parere del Vescovo, l’assunzione di ulteriori iniziative volte a favorire lo sviluppo dell’economia tramite il turismo, che costituisce il punto di forza del nostro territorio. Le sempre più insistenti richieste di aiuto alle Caritas cittadine da parte di famiglie, di giovani senza lavoro, di indigenti, hanno spinto la Chiesa di Noto a ricercare in ogni direzione iniziative in grado di offrire una risposta concreta alle varie richieste di aiuto. Approfittando di una circostanza “provvidenziale” che ha messo sui “passi” del Vescovo un gruppo di esperti, la Diocesi di Noto vuole oggi spendersi al servizio della società secondo i principi dettati dalla Dottrina sociale della Chiesa e dalla enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate”. La missione della Chiesa cattolica, ha chiarito Mons. Staglianò, non può esaurirsi in una azione che suscita emozioni; deve, piuttosto, toccare quella sfera di interessi che ha attinenza con i temi profondi dell’esistenza umana. Da qui il motivo di una iniziativa che vuole affrontare e superare la crisi economica con l’assistenza di consulenti specializzati, attraverso l’utilizzo dei fondi europei all’uopo istituiti. Una iniziativa, peraltro, che fa dell’aggregazione di soggetti diversi il suo punto di forza e che può realizzarsi attraverso la creazione di una rete di istituzioni, di imprese del settore turistico ricettivo, del terziario, dell’agricoltura, della formazione e del sociale in grado di mettere a sistema le proprie forze e competenze e di attivare una strategia comune. La proposta ha suscitato il vivo interesse dei soggetti presenti, che hanno già dato avvio alle fasi propedeutiche alla realizzazione del progetto ed hanno fissato per il 14 marzo p.v. l’incontro per la presentazione dei progetti di fattibilità.
L’incontro si è chiuso con il più vivo apprezzamento e la gratitudine espressi dal Vescovo per l’atteggiamento fattivo mostrato dai sindaci e dagli imprenditori presenti. Anche perché, ha chiarito Mons. Staglianò, l’eventuale insuccesso non potrà attribuirsi alla incapacità di operare – è garantita ogni forma di assistenza specializzata – ma alla mancanza di volontà da parte dei soggetti interpellati. Ciò comporterebbe, ha concluso Mons. Staglianò, l’assunzione di una grave responsabilità etica.
 

La carità è anzitutto relazione, stile, discernimento

La chiamata a prima vista è smisurata: manifestare l’amore stesso di Dio! Ma è anche quella propria della Chiesa. Per come appare nei testi delle Scritture, come pure nei doumenti del Concilio, nelle decisioni del Sinodo, nella lettera pastorale del Vescovo Mons. Staglianò sulla misericordia. Ecco perché, quando si parla di carità, la prima preoccupazione non è “organizzativa” ma pedagogica: non “cosa fare?”, ma “come crescere e aiutare tutta la comunità a crescere in un amore evangelico?”. Per questo, dopo il Concilio Paolo VI chiuse la Pontificia Opera Assistenza e volle la Caritas “con funzione pedagogica” (e Benedetto XVI lo ha ribadito di recente per i quarant’anni della Caritas). Nella relazione del direttore della Caritas Maurilio Assenza (si allega) e nel confronto che ne è seguito è stata allora focalizzata anzitutto la necessità di una capillare animazione alla carità grazia alle Caritas parrocchiali. Per questo è importante che esse siano costituite da animatori capaci di aiutare la comunità a rapportarsi al territorio e a rispondervi in modo evangelico. Quindi ci saranno anche i centri di aiuto per una prima assistenza, ma questa è solo un momento di un impegno più ampio, come pure in ogni vicariato ci sono i Centri di ascolto che rappresentano un “secondo livello” del’aiuto caratterizzato dall’accompagnamento e dall’orientamento. Determinanti diventano le persone: da qui l’invito  sceglierle su base vocazionale, per servizi resi con atteggiamento adulto; da qui l’impegno di formazione. Messi insieme questi tre elementi – Caritas parrocchiali, rete di aiuti qualificata dall’ascolto, scelta attenta delle persone – si configurano potenzialità belle: sarà favorita la crescita di cristiani adulti e di comunità vive, si qualificherà la capacità di testimonianza in un tempo postcristiano. Si può peraltro contare su molteplici segni di carità nei vari ambiti della vita, come pure su strumenti per l’attenzione al territorio, come l’Osservatorio delle povertà, o di strumenti per i rapporti con le istituzioni come i “Patti sociali”. Né vanno dimenticati i poveri del mondo, a cui rimanda il gemellaggio con Butembo-Beni, e gli immigrati, che sono ormai una presenza strutturale nelle nostre città. Nell’insieme risuona attuale l’invito del Sinodo: “i poveri non sono solo persone da aiutara ma il luogo dove collocarsi se si vuole stare con il Dio di Gesù”. E se si vogliono togliere veli al suo volto per chi, più o meno consapevolmente, lo cerca.