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Tre nuovi presbiteri nella Chiesa di Noto

Consacrati da Cristo e coinvolti nel suo ministero, i presbiteri non hanno un nuovo sacerdozio, ma l’unico sacerdozio di Cristo viene reso presente e operante in loro perché questi lo realizzino nella diversità dei luoghi e dei tempi».
Il sacerdozio di Cristo non è fatto di riti esteriori ma è un sacerdozio vissuto nella vita, nel dono di sé, nella comunione e nella solidarietà. Il presbitero che vi partecipa è segno dell’amore di Dio.  Egli è uno del popolo, viene dal popolo, vive con il popolo, opera per il popolo santo di Dio. Il presbitero è chiamato per un ministero di mediazione, consapevole che è Cristo l’unico mediatore: questi potrà realizzarlo solo unito al suo Signore.
Con queste espressioni ieri, 12 dicembre 2011, è iniziata la solenne concelebrazione in Cattedrale, nella quale sono stati consacrati nuovi presbiteri della Chiesa di Dio, don Armando, don Nello e don Francesco. In una Cattedrale gremita di fedeli e di sacerdoti, il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò ha presieduto la Celebrazione Eucaristica e il singolare rito di consacrazione, e con la presenza sempre buona e discreta di Mons. Giuseppe Malandrino, sono stati donati alla Chiesa di Noto, tre nuovi presbiteri.
Sua Eccellenza il nostro Vescovo, ha voluto ordinare questi giovani in un giorno tutto particolare a lui caro e solenne: la memoria di Nostra Signora di Guadalupe; durante la sua omelia l’attenzione è sovente rimandata alla interpretazione dell’immagine della “Guadalupana”; Maria, la tutta santa è il modello del discepolo che ogni presbitero porta nel cuore attraverso il quale è generato nella Chiesa. I temi della figliolanza dell’uomo, dell’agire più che del fare, dell’essere presbiteri tra il popolo, sono stati oggetto di riflessione nelle parole pronunciate dal Vescovo.
Ai nuovi presbiteri l’augurio è di un fecondo e sempre creativo ministero che giunge principalmente dal Vescovo e da tutto il presbiterio, dai seminaristi e dal popolo di Dio che auspicano per la Chiesa nuove e sante vocazioni alla vita religiosa e sacerdotale perché tutti possiamo essere sostenuti nella debolezza dell’umano affinché riusciamo davvero ad essere segno di Dio.
 

Pane, lavoro e libertà: il Progetto Policoro nella diocesi di Noto

“Pane, lavoro e libertà” è stato lo slogan del convegno che ha riunito giovani e adulti della nostra diocesi il 9 Dicembre scorso, per riflettere sul delicato tema della disoccupazione giovanile e per promuovere il Progetto Policoro “speranza del Sud per il Paese”, spiraglio di luce per i giovani che vogliono mettersi in gioco e agire per il proprio futuro nel territorio e nella storia in cui sono nati e cresciuti.
Al convegno sono intervenuti Mons. Angelo Casile, direttore dell’ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro, il Prof. Giancarlo Cursi, formatore nazionale degli Animatori di Comunità e il Prof. Maurilio Assenza, tutor del Progetto per la nostra diocesi.
 Il titolo racchiude l’impegno che ci siamo assunti all’inizio dello scorso anno pastorale, seguendo la pista tracciata dal nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, di una cura integrale dell’uomo in un’ottica ecclesiale che faccia cogliere la bellezza e la concretezza del Vangelo.
Il progetto Policoro è stato presentato alla Chiesa di Noto come una seria risposta ad un’emergenza che è anzitutto spirituale e materiale delle nuove generazioni: la disoccupazione, che porta la maggior parte dei giovani del Sud ad assoggettarsi a chi promette libertà, ma in realtà rivela schiavitù.
Mons. Casile ha sottolineato una dimensione del lavoro, alla quale mira il Progetto Policoro e tutta la Chiesa, che è benedizione di Dio, che considera l’uomo, secondo la visione di Sant’Ambrogio, l’estensione della mano di Dio che continua a creare, che è espressione della sinergia degli organismi ecclesiali e di quanti si occupano di sostenere e promuovere il lavoro per l’uomo e non l’uomo per il lavoro.
I giovani, soggetti e protagonisti del Progetto Policoro, spesso vittime della rassegnazione e dello sfruttamento possono e devono diventare i protagonisti anche del rinnovamento della loro terra, permettendo un cambiamento di mentalità che scuota le coscienze degli adulti e di tutti gli altri giovani che non vedono più una possibilità per il proprio futuro se non in una valigia e un biglietto per il “nord”.
L’assemblea riunita nell’aula magna del Seminario Vescovile, non ha potuto far altro che accogliere l’invito del Prof. Cursi di sostenere gli Animatori di Comunità ed impegnarsi concretamente a diffondere il Progetto e i valori che ad esso sono legati.
La nostra diocesi ha in sé tutte le possibilità per aiutare i giovani del nostro territorio a non sottostare alle logiche attuali del mercato del lavoro, ed ha anche il dovere di sollevare e far sollevare lo sguardo dal basso per puntare all’alto che il Vangelo ci indica, alla dignità dell’uomo che nel lavoro sperimenta la con-creazione con l’opera di Dio.
 
 

COMUNICATO STAMPA – Convegno diocesano: l’intuizione fondamentale del Progetto Policoro è il lavorare insieme


Si terrà il prossimo 9 Dicembre alle ore 18.00 nell’aula magna del seminario vescovile di Noto, in via Gioberti 2, il convegno diocesano “Pane, lavoro e libertà: il Progetto Policoro nella diocesi di Noto”.


Il convegno, organizzato dal Centro servizi diocesano del Progetto Policoro e sostenuto dall’ufficio diocesano per i problemi sociali e il lavoro, dal servizio diocesano per la Pastorale giovanile e dalla Caritas diocesana, ha lo scopo di promuovere sul territorio questo progetto organico della Chiesa italiana che tenta di dare risposta concreta al problema della disoccupazione in Italia. Policoro, città in provincia di Matera, è il luogo dove si svolse il primo incontro il 14 dicembre del 1995, subito dopo il 3° Convegno Ecclesiale Nazionale tenuto a Palermo. Si vuole affrontare il problema della disoccupazione giovanile, attivando iniziative di formazione a una nuova cultura del lavoro, promuovendo e sostenendo l’imprenditorialità giovanile e costruendo rapporti di reciprocità e sostegno tra le Chiese del Nord e quelle del Sud, potendo contare sulla fattiva collaborazione di aggregazioni laicali che si ispirano all’insegnamento sociale della Chiesa.


L’intuizione fondamentale del Progetto Policoro è il lavorare insieme di diversi soggetti (ecclesiali, associativi, istituzionali) attorno allo stesso problema (la disoccupazione) nell’ottica dell’attenzione alla persona e alla società per un loro autentico sviluppo nella solidarietà, sussidiarietà e reciprocità tra le Chiese del Nord Italia e del Sud Italia.


Saranno Presenti il Direttore Nazionale della Pastorale Sociale e del Lavoro Don Angelo Casile, il Prof. Giancarlo Cursi delegato dalla Caritas Italiana per la formazione degli Animatori di Comunità del Progetto Policoro e il Prof. Maurilio Assenza Direttore della Caritas Diocesana.


Il direttore UCS


Don Rosario Sultana


Ecco ora il momento favorevole

Domenica 4 Dicembre 2011, alle ore 9,00, a Noto nel Salone del Seminario si terrà l’Assemblea diocesana dell’ACI (aperta a tutti soci e non), dal tema “ECCO ORA IL MOMENTO FAVOREVOLE” (2 Cor. 6,2) Santi nel quotidiano, relatore: Prof. GIANFRANCO AGOSTI  (Consigliere Nazionale Settore Adulti). Questo è il tema che l’ACI ha scelto per il prossimo triennio per mettere in pratica quanto è scaturito dal documento assembleare e che sarà coniugato ogni anno con un aspetto, mantenendo l’attenzione costante sul documento assembleare nel suo insieme: quest’anno l’attenzione è posta sull’essere GENEROSI, il secondo anno Accoglienti e il terzo Solidali.           
Vivere la fede, amare la vita (tema dell’ultima assemblea)  è l’impegno che l’Azione Cattolica sceglie di assumere oggi con coraggio e forza, nella certezza che solo una fede autentica è capace di cambiare le vita, solo una fede vissuta pienamente può orientare scelte di bene per la Chiesa e il Paese. E’ questo il momento favorevole! Crediamo, infatti, che questo tempo che ci viene donato è tempo buono e bello per poter ridire la nostra passione per l’uomo, per la sua storia. E’ Tempo nuovo e rinnovato dall’incontro sempre vero e unico con il Signore Gesù che cambia le nostre vite ridonando senso e significato alla nostra quotidianità. E’ tempo propizio per poter testimoniare con gioia e raccontare insieme la buona notizia del Vangelo e per spendersi nel mondo a servizio del bene comune. 
Vivere la fede, amare la vita è l’impegno di fondo che le associazioni si danno per cogliere l’urgenza e il pregio dell’attuale momento storico, contraddistinto da fragilità, precarietà, caoticità. L’Azione Cattolica vuole navigare con l’uomo contemporaneo questo mare tempestoso, sicura che il Cristo, sulla barca, sarà Parola buona per placare la burrasca.
 
 
 

PROGRAMMA DELLA GIORNATA:

 

v  Ore 9,00 Accoglienza.

v  Ore 9,30  Ora Media e Saluto del  vescovo. Mons. Staglianò

v  Ore 10 Relazione del prof. Gianfranco Agosti

v  Ore 11 Pausa .

v  Ore 11,15 Rientro in Aula e laboratori

v  Ore 12,00 Celebrazione della Santa Messa.

v  Ore 13,00 Pranzo a sacco.

v  Ore 15,00 Incontro con i Presidenti Parrocchiali.

 

Calendario degli altri incontri:

          9 dicembre  2011  Convegno  “Policoro” ore 18,00  – Seminario Vescovile  Noto

          18 dicembre 2011, giornata di spiritualità, ore 9,30 – Convento Frati minori – Ispica

          5 Febbraio 2012  giornata di spiritualità ore 9,30     “Parr. Madonna della Fiducia” –  Pozzallo

          22 Aprile 2012 ore 9,30  – Parrocchia S. Gaetano – Portopalo

 

 


Un Avvento vero, per un Natale santo

L’Avvento è un “tempo della nostra vita”, meglio è un “tempo per la nostra vera vita”. E’ comunque “un tempo”. Ricordo cosa Sant’Agostino rispose agli scettici, i quali affermavano che il tempo non esiste. “Il passato non c’è più, il presente fugge e passa all’istante e il futuro non è ancora”, dicevano; e allora, cosa è il tempo? Risposta del sapiente Padre della Chiesa: “se me lo chiedi non lo so, se non me lo chiedi lo so”. Strana risposta, eppure profonda. C’è una ignoranza effettiva sul tempo, semplicemente perché il tempo non si lascia definire in un concetto, ma è disponibile a essere vissuto. Se lo vuoi definire non sai cosa è il tempo, se lo vivi lo sai: è l’ignoranza del concetto, è l’inadeguatezza della definizione. Infatti, ognuno di noi ha il gusto del tempo, “sa del tempo”, del proprio tempo, perché vive e la sua esistenza è temporale. Questo sapere del tempo ci impedisce di identificarlo allo scorrere dell’orologio, del cronometro (letteralmente “metro”, cioè misura del kronos, tempo). Lo sanno tutti gli innamorati quando dopo essersi incontrati lamentano che il tempo è trascorso troppo velocemente. Lo sanno anche gli studenti poco appassionati alla scuola, quando percepiscono che certe ore di lezione non terminano mai. Lo sanno ovviamente alcuni parrocchiani della domenica, i quali vanno senz’altro a messa, ma dentro le inevitabili preoccupazioni della vita (il pranzo, la pulizia della casa, etc. etc.), ritengono di doversi “sbrigare” e perciò malsopportano le prediche lunghe (anche qualora fossero spiritualmente sapienti o esistenzialmente toccanti); insomma, si ha fretta e poi, alla fin fine, per tutti, “il tempo è denaro”. Lo è anche il tempo vuoto (dal lavoro) della domenica.
Il tempo non è dunque kronos, non sono i minuti che passano, ma è l’anima della persona che si distende e respira, si riposa e avanza, rallenta e riprende più spedita il cammino alla ricerca del bello, del bene, del vero, del significato delle cose che la circondano, della dignità dell’altro-persona che le sta davanti e invoca un gesto di amicizia, di vicinanza, di compassione. Quando l’Altro è Dio, allora il tempo umano è sempre l’anima della persona che attende un suo avvento, attende una sua manifestazione. Tutti noi attendiamo una illuminazione che dischiuda nuovi orizzonti al nostro esistere e ci elevi dalla pozzanghera in cui spesso ci gettiamo alla ricerca di piaceri effimeri, superficiali, futili, che non ci rendono felici, ci impediscono di arrivare svegli alla vera meta, la nostra gioia.
Allora si capisce che il tempo di Avvento non è semplicemente un certo numero di giorni che ci portano diritti al Natale (lo è anche, liturgicamente); piuttosto è attesa di un accadimento che cambi la qualità del nostro tempo e lo renda finalmente “tempo umano”. Ecco come si attiva subito un processo di umanizzazione del tempo, per il solo fatto che si attende. L’attesa apre il cuore alla speranza e rompe il cerchio del “tempo alienato” in una attitudine materialistica e consumistica che ha tutti convinto della necessità del lavoro frenetico per “far soldi”, per accumulare sempre più beni, da cui verrebbe soltanto la sicurezza: beni materiali da guadagnare, da accrescere, da tenere egoisticamente per sé, senza nessuna partecipazione sociale. Il fatto di trovarsi in emergenza economica, nella transizione di questa crisi finanziaria che sta facendo tremare un po’ tutti, rischia di ingrandire questo ripiegamento su se stessi, approfondendo nell’animo di ogni persona la tendenza sociale alla desolidarizzazione, alla indifferenza del più povero e del più disagiato. Insomma l’egoismo del narcisista e dell’edonista si offende alla sola idea che è necessario per tutti abbassare lo standard di vita, inoltrarsi verso uno sviluppo sostenibile e un commercio equosolidale. In questo vortice, però, il tempo umano si perde e nulla si attende, nemmeno un “futuro migliore”, impantanati come si è nell’attuale presente, preteso eterno.
Tuttavia, “nessun presente è degno dell’uomo”. Ecco l’importanza dell’Avvento, tempo propizio, kairòs del Dio che “avviene”. L’Avvento chiede che il tempo parli il linguaggio della speranza, dell’utopia: interrompe così la catena egoistica degli affari da proteggere e sviluppa dinamiche opposte, quelle del dono generoso, dell’apertura fraterna, del servizio umile e silenzioso, della carità. L’attesa orienta la direzione del cuore. Si deve attendere, ma non si può “aspettare Godot” (un dio che non giunge mai). La fede cristiana – nel tempo di Avvento – provoca l’attesa dell’uomo a proiettarsi su cose importanti, essenziali, profonde, divine, sulla nascita di un bimbo a Natale. L’Atteso – per i cristiani- ha un nome, Gesù il Salvatore, ha una storia, ha un messaggio di liberazione, di vita, porta una promessa di felicità. Attendiamo perché avvenga la gioia desiderata dal nostro cuore inquieto e attendiamo nelle fatiche di ogni giorno, senza stancarci mai.
Verrà, verrà, di sicuro verrà. A Natale, verrà, Lui, la Parola del Dio vivente. Verrà a “zittire chiacchiere mie” (C. Rebora) con potenza di una Parola che può dare nuovo gusto al parlare degli uomini. Verrà con la presenza di una Parola fatta carne e si presenterà davanti agli uomini per essere accolta con fede. Già! con una fede cristiana, cioè una fede che Le corrisponda, operosa nella carità. Una fede che non pretenda incontrare la persona stessa del Figlio di Dio – nel piccolo di Betlehem che nasce a Natale -, semplicemente perché vi crede con la testa e non con il cuore, vi aderisce con il sentimento e non con la ragione, si affida con l’intelligenza e non con il corpo, ma piuttosto vi crede con la totalità dell’essere umano e soprattutto vi crede per vivere e per operare.
Il tempo liturgico di Avvento ci istruisce bene su come si attende il Figlio di Dio nella carne, su come si attende il Natale del Signore della vita. L’uomo vero, perché “gloria” (manifestazione) del Dio vero. L’attesa in questo tempo punta  diritto sull’uomo nuovo che in Lui si manifesta. Una nuova aurora per l’umano dell’uomo, che sia inestinguibile, un giorno umano che non tramonti mai, per splendore e bellezza. E’ l’uomo che è tutto amore, tutto vicinanza e prossimità, amicizia e solidarietà. Dal Natale in poi, la Sua pro-esistenza rivela l’agape/carità che Dio è dall’eterno e meraviglia gli umani perché “questa umanità” – trasparenza di una presenza personale di Dio – non se ne sta negli abissi dei sottofondi marini, o nel più alto dei cieli, piuttosto abita tra le case della gente, avanza discreta per le strade degli uomini, si insinua nei crocicchi degli emarginati, penetra nelle fessure degli afflitti, si lascia ascoltare nella sordità dei morenti, là dove le tenebre scendono sulla città degli uomini, e non disdegna nemmeno di “sedere alla mensa dei peccatori”.
Tanto grande e infinita è la misericordia di Dio. D’altronde, questo è l’annuncio e così viene letto l’Evento del Natale, dell’avvicinarsi personale di Dio Padre, nel Figlio, per la potenza dello Spirito santo, agente nel grembo di Maria, il terreno fertile che dona il frutto più grande e più bello: “ha avuto misericordia”. E’ un atto di misericordia, il più grande e il più bello. Il suo messaggero, il Battista, doveva essere così nominato. “Si chiamerà Giovanni”, cioè Jo-hannah (= Dio si è piegato e ha avuto misericordia).
Tempo di Avvento? Si, un Avvento vero per un Natale santo. Che l’avvento entri nel tempo, lo qualifichi, esalti la sua dignità, lo faccia diventare “tempo umano”. Lo diventerà umano, se gli uomini impareranno ad assomigliare di più a Dio che li ha creati a propria immagine e somiglianza; se gli uomini si educheranno alla misericordia di Dio per noi umani.
Come vi ho spiegato nella mia Prima Lettera pastorale – Misericordia io voglio – la misericordia non è buonismo, anzi presuppone la capacita di indignarsi. Vi scrivevo infatti: “come si può esprimere la compassione di chi ha occhi, orecchi e cuore per vedere il dolore, sentire il gemito, provare una sincera pena spesso impotente? […] indignarsi è la garanzia della stessa misericordia, che si fa grido profetico contro l’ingiustizia proteiforme di Caino: “il sangue di tuo fratello grida verso di me”. Non si indignò Gesù quando dovette riconoscere l’ottusità e la cecità dei suoi fratelli o quando si confrontò con lo strapotere del male in tutte le sue forme degradanti? Indignarsi per il male nel mondo, per il peccato degli uomini, appare come una condizione per poter esercitare la misericordia”.  
            Per educarsi alla misericordia di Dio in questo tempo umano di Avvento e giungere da testimoni di un cristianesimo vivo al santo Natale, potremmo osare l’iniziativa di qualche “esercizio spirituale”. E’ un esercizio “secondo lo Spirito di Colui che viene” e pertanto è esercizio spirituale che si compie e si realizza nella nostra carne, nella nostra esistenza concreta, nella praticità di azioni operose che profumano di carità e misericordia. “Esercizi spirituali”, dunque, per i cristiani della Chiesa di Noto potrebbero essere i seguenti:
           
1. leggere e meditare insieme ad altri la Lettera pastorale sulla misericordia: è ovvio, la si può (e la si deve anche) leggere da soli, ma farlo insieme ad altri significa “cercare l’aiuto dell’intelligenza spirituale di altri fratelli” e quindi offrire ad altri la propria, per comunicare nella fede e sentire con la Chiesa, facendo comunione, compaginando così – anche per questa via – il corpo ecclesiale nel suo splendore, nell’amore dei fratelli che “stanno insieme” (“come è bello che i fratelli stiano/vivano insieme”);
            2. proporre suggerimenti – meditando insieme agli altri la Lettera pastorale – per superare certa “fede morta” (cfr san Giacomo) che vuole affermarsi come fede senza le opere, che si esprime come ascolto della Parola di Dio senza nessuna pratica (così illudendoci d’essere credenti), e che si manifesta come celebrazioni rituali dentro il tempio senza nessuna missione per le strade degli uomini;
            3. per i cristiani cattolici della domenica non dovrebbe bastare “andare a Messa” per obbedire al comandamento di Dio che chiede di “santificare la festa”, ma sarebbe utile  tracciare un elenco di “opere di misericordia corporali” – sempre insieme ad altri –, che nella parrocchia, tutta la comunità cristiana dovrebbe vivere per onorare realmente il comandamento del Signore e restare all’altezza della grazia eucaristica ricevuta nel sacramento del Corpo e del Sangue di Cristo, del dono della sua vita per amore.
 
            E allora, armiamoci di coraggio per combattere la buona battaglia della fede in questo Avvento. E’ una battaglia che si fa non contro i mulini a vento, ma contro il male che affligge in tutti i settori della società gli uomini e le donne di oggi. Duc in altum, dunque, si può fare sempre di più e, quanto a magnanimità, a larghezza d’animo, non c’è un limite all’apertura infinita del nostro cuore. Tocca ora a noi, per dare qualità umana al nostro tempo. Certo che è difficile l’impresa dell’amore cristiano! Non è però impossibile. Non siamo soli. Lo Spirito del Risorto è in noi. E’ Lui che ci educa ad attendere bene e a gustare l’Avvento come tempo per insistere con maggiore energia nell’educazione alla misericordia: purché non si trasformi la misericordia in dottrina, ma piuttosto cominci a diventare stile di vita, costume giornaliero, ethos civile, utopia del futuro che già viene, mentre il Figlio della misericordia avviene e ci accompagna nel nostro cammino di viandanti verso la Patria celeste.
Perciò in questo Avvento non smetteremo di pregare di giorno (e possibilmente anche di notte, perché a nessuno si proibisce di fare qualche preghiera svegliandosi di notte e a nessuna parrocchia cattolica si proibisce di organizzare qualche adorazione notturna): “mostraci o Padre la tua misericordia”.
Auguro a tutti buon tempo di Avvento per un Santo Natale.
 

La cena di Gesù, l’Eucaristia della Chiesa

Per il IV Vangelo, che racconta, al posto dell’istituzione dell’Eucaristia, “l’istituzione” della lavanda dei piedi, il significato dell’Eucaristia è evidente nel gesto di Gesù chino sulle estremità dei discepoli, come un servo. L’Eucaristia è il memoriale del dono totale della vita di Cristo per noi, è l’annuncio della sua morte e della sua risurrezione nell’attesa del suo ritorno definitivo, come ricorda Paolo nella prima lettera ai Corinzi. Per questo è cattedra dell’amore e del servizio e fonte del mutuo nesso-energia di amore per cui ognuno si fa servo degli altri. La Chiesa è la compagine, la congregatio di quanti hanno e fanno memoria di questo amore, di quanti attingono costantemente a questa cattedra. Il con-venire nella chiesa è costituito dall’amore di Dio apparso nel Crocifisso risorto: l’Eucaristia è Sacramentum unitatis. Come si esprime il Vaticano II nella Costituzione Lumen gentium, «Ogni volta che il sacrificio della croce, col quale Cristo, nostro agnello pasquale, è stato immolato (cfr. 1 Cor 5,7), viene celebrato sull’altare, si rinnova l’opera della nostra redenzione. E insieme, col sacramento del pane eucaristico, viene rappresentata ed effettuata l’unità dei fedeli, che costituiscono un solo corpo in Cristo (cfr. 1 Cor 10,17)» (n. 3).
Siamo di fronte all’effetto, potremmo dire, dell’Eucaristia, che è quello di radunare degli uomini e delle donne in una “convocazione santa” (chiesa). I discepoli di Gesù sono i convocati da Dio, perché hanno creduto alla morte e alla resurrezione di Cristo. Come affermava don Giuseppe Dossetti, fondatore di una fraternità segnata dal primato della Parola, della fractio panis e della condivisione con i “minimi”, «L’eucarestia è principalmente l’atto stesso di Cristo nella sua morte e nella sua resurrezione che si fa presente, che si fa presente in sé e nell’assemblea dei fedeli e in ciascuno dei fedeli e, pertanto, produce questo unirsi di ciascuno dei fedeli con Cristo e dei fedeli tra di loro» (Per una chiesa eucaristica).
Il tema della XL Settimana teologica vuole metter a fuoco che cosa unisce la Chiesa e nella Chiesa, che cosa unisce una diocesi, il Vescovo e il suo presbiterio, una parrocchia, una comunità di parrocchie, un gruppo ecclesiale, una fraternità religiosa, qualsivoglia comunità cristiana. Ciò che unisce è l’amore di Dio manifestato in Cristo Gesù. Per questo l’Eucaristia, innanzi tutto ed essenzialmente, è un ricevere questo amore, credere a questo amore, accoglierlo. Tutte le altre cose, dai dogmi, alle scelte pastorali – persino il Carisma sacramentale, il Sacramento dell’ordine, che serve appunto ad ordinare, a riunire, ad armonizzare – sono strumenti (in senso teologico) opportuni perché questo amore ci raggiunga e possa radunare la Chiesa.
La comunità dei discepoli di Gesù è luogo dell’accadimento di questo particolare tipo di amore. Ecco perché, come ci ha ricordato in nostro Vescovo nella sua Prima Lettera pastorale alla chiesa locale di Noto Misericordia io voglio,la parola più grande della Chiesa è la misericordia e il perdono. Le nostre comunità esistono per rendere visibile questo amore strano, anzi a dire di Paolo, questa “pazzia di Dio”, questa “follia della croce” (1Cor 1, 18), questo dono, questo amare senza sottintesi motivi, questo perdonare chi ha sbagliato, questo avere speranza per l’ultimo peccatore.
 


Un evento di grazia per la Chiesa netina

La comunità del Seminario e tutta la diocesi di Noto si stringono attorno ai diaconi don Armando Fidone, don Nello Garofalo e don Francesco Ingegneri che il prossimo 12 Dicembre, festa di Nostra Signora di Guadalupe, saranno ordinati presbiteri dal nostro vescovo, Mons. Antonio Staglianò, alle ore 18.30 a Noto nella Chiesa Cattedrale.
Altri tre presbiteri nella Chiesa Netina sono un dono dello Spirito Santo al popolo di Dio: tre uomini che hanno accolto l’invito del Signore e che alla Sua chiamata hanno risposto: “Attirami dietro a te, corriamo!” (Ct 1,3) e hanno fatto della loro vita un canto d’amore e di lode al Signore; chiamati per amore, servi per amore!
Affidiamo a Maria i nostri tre giovani diaconi, perché li protegga e li guidi in questi giorni di preparazione e nel loro ministero sacerdotale.
 
I novelli sacerdoti presiederanno per la prima volta la celebrazione eucaristica nelle loro parrocchie d’origine: don Armando Fidone il 13 dicembre 2011 alle ore 18,30 nella Chiesa SS.Annunziata in Ispica; don Nello Garofalo il 14 dicembre 2011 alle ore 18,30 nella Chiesa di S.Bartolomeo Apostolo in Scicli; don Francesco Ingegneri il 18 dicembre 2011 alle ore 10,00 nella Chiesa S.Maria della Lettera in Galati Marina – Messina.
 
 

Presto il rientro a Noto della comunità dei seminaristi

Il nostro Vescovo, Mons. Antonio Staglianò, sin dal suo ingresso in Diocesi ha riservato particolari attenzioni al cammino di formazione di quanti il Signore chiama al servizio del Vangelo nel ministero sacerdotale, ed ha subito manifestato l’intenzione di avere vicino, e quindi a Noto, i giovani seminaristi. Il Vescovo ha sempre avuto a cuore il Seminario e non ha mai smesso di sentirsi, secondo una affermazione di Pastores dabo vobis, “il primo rappresentante di Cristo nella formazione al sacerdozio”. Il prossimo anno, a conclusione dei lavori di ristrutturazione dei locali del nostro Seminario, che tanti sacrifici costarono a Mons. Calabretta per poterlo costruire nell’immediato dopo guerra, per espresso desiderio di Mons. Staglianò, avremo la gioia di avere tra noi i nostri seminaristi. Con il Vescovo è la Diocesi che sente il bisogno di avere vicini i Seminaristi, per seguirne il cammino e accompagnarli con la preghiera, l’amicizia, la carità, considerandoli parte viva della famiglia diocesana, speranza della nuova evangelizzazione. Ci si è convinti sempre più che, se il Seminario è un tempo e uno spazio, una comunità educativa in cammino, non può esserlo senza la Comunità diocesana. Lo scorso 5 novembre Sua Eccellenza ha costituito una Commissione di studio che elabori una regola di vita per la Comunità del Seminario “in vista del percorso formativo che guiderà i nostri seminaristi una volta rientrati in Diocesi, per risiedervi stabilmente”. Così il Vescovo nel Decreto di Costituzione della suddetta Commissione: “Individuo essenzialmente due motivi per i quali ritengo importante l’elaborazione di una regola di vita, ambedue sono riferibili alle parole del Vangelo “Pregate il padrone della messe, perché mandi operai nella sua messe” (Mt 9,37; Lc 10,2): il primo riguarda la necessità di pregare e di operare per le vocazioni sacerdotali e religiose, oltre che per ogni tipo di vocazione nella Chiesa a servizio della nuova evangelizzazione; il secondo è relativo al discernimento sulla vocazione degli operai che il Signore vorrà donare alla nostra Diocesi”. Il Vescovo, in sintonia con la tradizione e la prassi anche attuale della Chiesa, vuole dare uno strumento che serva al processo di maturazione della persona umana verso la propria autonomia e verso il servizio generoso alla Chiesa. Ciò che la Commissione ha il compito di preparare è un percorso che, attento alle esigenze del momento storico e in comunione con gli Orientamenti della Congregazione per l’Educazione Cattolica e della Conferenza Episcopale Italiana, aiuti a guardare con chiarezza il cammino da percorrere. La presenza in Diocesi della Comunità del nostro Seminario è determinata dal desiderio di un inserimento pieno all’interno di un clima autenticamente ecclesiale. Il seminarista che è stato chiamato nella Comunità, cammini con la Comunità, al servizio della quale si prepara ad offrire, sul modello di Gesù buon Pastore, venuto a dare la vita per le pecore, tutto il proprio essere, per sempre. La Commissione, che è composta da don Rosario Gisana, don Corrado Lorefice, don Tonino Lorefice, don Luigi Vizzini, don Nello Garofalo, acc. Gabriele Di Martino, “lavorerà per elaborare una bozza di testo che verrà offerta all’attenzione del Consiglio presbiterale, all’attuale Comunità del Seminario e ad altri sacerdoti che potranno dare il loro contributo, apportando necessari suggerimenti, perché il testo sia completo e frutto di una condivisione il più possibilmente ampia”.
 
 
 

Pane, lavoro e libertà

Il prossimo 9 dicembre, alle ore 18.00 nell’aula magna del seminario di Noto si terrà il primo convegno diocesano sul Progetto Policoro; nel contesto dell’avvento riflettere sul senso del lavoro alla luce del Vangelo, così come anche proposto dai Vescovi negli orientamenti pastorali per il prossimo decennio, è un’occasione per prepararsi al Natale vivendo un avvento che ci spinga a ricondurre il lavoro alla dimensione etica e personale, un lavoro che serva all’incremento della persona e della vita sociale in cui essa è inserita. Dopo più di 15 anni di esperienza e oltre 500 realtà imprenditoriali il Progetto Policoro può essere considerato un’iniziativa ecclesiale che mira a cancellare la divaricazione tra pratica religiosa e vita civile e sollecita i giovani a una conoscenza più approfondita dell’insegnamento sociale della Chiesa, che aiuti a coniugare l’annuncio del Vangelo con la testimonianza delle opere di giustizia e di solidarietà. Saranno presenti Mons. Angelo Casile, direttore dell’ufficio Nazionale per il problemi sociali ed il lavoro, il Prof. Giancarlo Cursi, formatore Nazionale e il Prof. Maurilio Assenza, tutor del Progetto per la nostra diocesi. Auspichiamo la presenza degli operatori di pastorale giovanile, di gruppi di giovani e di quanti vogliano approfondire la conoscenza e la concretezza del progetto stesso.
 
 
 
 

Notizie dalla Diocesi di Butembo-Beni

Pubblichiamo alcune notizie dalla Diocesi gemella di Butembo- Beni relative al mese di Ottobre
 
Lunedì 3 ottobre: A Buniuka 10 nuove postulanti sono entrate a far parte e delle Piccole Suore della Presentazione, congregazione religiosa diocesana fondata il 3 ottobre 1948 da Mons. Henri Pierrard, Congo, e a Kasese in Uganda. Due comunità si trovano anche in Sicilia, a Mazara del Vallo ed Agrigento.
 
Martedì 4 ottobre: 11° anniversario della morte di Mons. Emmanuel Kataliko, indimenticabile pastore che con tanto coraggio guidò il popolo di Dio durante la dittatura di Mobutu. In tutte le parrocchie della diocesi si è celebrata una messa di suffragio. Il vescovo di Butembo-Beni, mons. Sikuli Melchisedech ha celebrato in Cattedrale alle ore 7 del mattino. Nella città di Beni ha avuto luogo la posa della prima pietra di un monumento intitolato a mons. Kataliko. Da ricordare che un monumento analogo è stato costruito a Butembo lo scorso anno.
 
Martedì 4 ottobre: La Commissione diocesana per la Giustizia e la Pace ha pubblicato un documento di 8 pagine, intitolato “Progetto di società:una lettura cristiana”, con il quale si cerca di proporre degli orientamenti di dottrina sociale della chiesa in vista delle elezioni presidenziali e politiche di novembre.
 
Mercoledì 5 ottobre: A Roma, dopo breve malattia, è morta suor Masika Kimywasi lwanzo Marie Julie, della Congregazione delle Suore Riparatrici del Santo Volto, originaria di Butembo.
 
Giovedì 6 ottobre: Un uragano ha devastato la località di Manbowa, 50 km a ovest di Butembo, nella parrocchia di Mangouredjipa. Oltre ad una trentina di abitazioni sono state distrutte la scuola e l’ospedale. Non si sono registrate vittime.
 
Domenica 9 ottobre: Il vescovo Mons. Sikuli Melchisedech, in occasione dell’apertura del nuovo anno accademico 2011-2012, ha celebrato la messa solenne nel seminario S.Ottavio e nel seminario Regina Pacis. Nel primo, dove si studia teologia, sono presenti 49 alunni. Nel secondo, dove si studia filosofia, sono presenti 55 alunni.
 
Sabato 15 ottobre: due frati dell’Ordine dei Benedettini Silvestrini hanno emesso i voti semplici di castità, povertà e obbedienza. La celebrazione ha avuto luogo nel monastero di Wayene, a Butembo. I Benedettini Silvestrini sono presenti nella diocesi di Butembo-Beni da 5 anni.
 
Mercoledì 19 ottobre: Mons. Sikuli Melchisedech, presso il Centro Catechistico Diocesano, ha celebrato la messa per l’inaugurazione del nuovo anno di formazione dei catechisti. Quest’anno gli iscritti, che seguiranno un corso di formazione teologico di tre anni, sono 50, di cui 44 uomini e 6 donne.
 
 Venerdì 21 ottobre: ha avuto luogo il conferimento dei diplomi di laurea per 147 studenti dell’Università Cattolica del Graben. Il vescovo di Butembo-Beni, in qualità di Gran Cancelliere dell’Università, ha tenuto un discorso ai neolaureati, imperniato sui caratteri della sapienza cristiana.
 
Venerdì 28 ottobre: in tutta la Repubblica Democratica del Congo è cominciata la campagna elettorale pe le elezioni presidenziali e legislative 2011. Il presidente uscente Joseph Kabila ha lanciato la sua campagna a Kindu, nella provincia di Maniema.
 
Domenica 30 ottobre: 7 novizie delle Congregazione Santa Famiglia di Spoleto hanno emesso i voti semplici di povertà, castità e obbedienza. La celebrazione, presieduta da mons. Sikuli Melchisedech, ha avuto luogo nella cappella della scuola di Mapendano. Le suore della Santa Famiglia di Spoleto sono presenti da 7 anni nella diocesi di Butembo-Beni.
 
Domenica 30 ottobre: l’assassinio di un catechista nella parrocchia di Lubero, gemellata con San Giorgio di Modica. La vittima, Kambale Alberic, 43 anni, padre di 8 figli, prima di essere ucciso con un colpo di arma da fuoco, è stato torturato con frusta e machete. Il delitto è avvenuto a circa 5 km dalla parrocchia. Si presume che gli autori del crimine siano soldati ruandesi che da un anno operano violenze nella zona, allo scopo di intimidire e cacciare la popolazione locale, per allargare i confini del Ruanda verso territori ricchi di giacimenti minerari. I caschi blu dell’ONU, pur presenti nella zona, non sono mai intervenuti.